Un doloroso risveglio




Quando Giulio si risvegliò non era più sul campo di battaglia, ma nella camera in cui aveva dormito nel periodo di allenamento con Messer Carlo.

Le finestre erano leggermente aperte e da esse filtrava la luce del sole.

Tutto intorno regnava la calma.

Il giovane notò di avere molte fasciature: a quanto pareva le ferite infertegli da Enoren erano più numerose di quanto ricordasse.

La porta della stanza si aprì e Alessandro e Coco fecero la loro comparsa.

«Ti sei svegliato!» strillò allegro lo gnomo saltando sul letto e abbracciandolo.

«Perché, quanto ho dormito?».

«Due giorni».

«Cavolo, dovevo proprio essere esausto!».

«Come ti senti?» gli chiese Alessandro.

«Direi bene, ho solo un po' male al petto, ma nulla di cui preoccuparsi».

Nella camera entrò Messer Carlo, seguito a ruota da Zeffirello. Il primo aveva una fasciatura alla mano, per il resto sembrava non avesse subito altro tipo di ferite.

«Oh Messer Giulio, finalmente vi siete svegliato! Sarete lieto di sapere che sto componendo un'opera degna delle vostre gesta. Tutti canteranno la gloria di colui che ha sconfitto il Sovrano delle Tenebre» lo elogiò il musico.

Il ragazzo sorrise.

«Perdonalo, Zeffirello è sempre troppo agitato. Comunque, complimenti. Hai combattuto bene da quello che mi hanno detto. E cosa più importante hai vinto» disse Messer Carlo.

«Grazie, ma non merito tutti questi complimenti. Mi sono comportato come avrebbe fatto chiunque di voi».

«Non proprio chiunque» lo corresse il principe.

«Gli altri dove sono? Stanno bene, vero?».

Le facce dei presenti si rattristarono di colpo e Giulio ebbe un brutto presentimento.

«Ascolta...» tentò di dire Alessandro.

«Dimmi cosa è successo» lo interruppe il giovane sempre più agitato.

«Va bene. Come sai abbiamo vinto la guerra, ma a costo di numerose perdite e di un alto numero di feriti. Mio padre ha un braccio slogato, re Giacomo ha perso un occhio ed è ferito a una gamba. Edoardo il Temerario ha dei piccoli tagli sull'avambraccio, Anna alla spalla, Galdor è stato avvelenato da una freccia, ma grazie ad un antidoto si sta riprendendo in fretta...».

Il ragazzo gli fece cenno con la testa di continuare.

«Purtroppo le cose non sono andate così bene per tutti. Giulio... Sonia e Federico sono morti, mentre Giovanni è gravemente ferito».

Giulio rimase immobile, paralizzato, il suo cuore cominciò a battere velocemente come se volesse uscirgli dal petto.

«Come...Cosa...Perché...?» balbettò.

«Non ne siamo sicuri, ma i loro corpi sono stati trovati vicino a quelli di Brandir e Bossolo, quindi crediamo che li abbiamo affrontati e...» cercò di continuare il principe, ma le parole gli morirono in gola.

«Portami da loro» affermò con voce rotta il giovane.

Alessandro, insieme agli altri, lo condusse in una stanza dove su di un letto erano adagiati i corpi inerti di Federico e Sonia.

Giulio lentamente si avvicinò e li osservò intensamente come a volersi accertare che fossero i suoi due amici.

I loro corpi erano stati puliti, ma si potevano ancora vedere le loro ferite.

«È uno scherzo, vero? Deve esserlo. Avanti, alzatevi. Dobbiamo ritornare a casa, ricordate? Dobbiamo tornare dai nostri genitori, dai nostri amici e fare ancora la nostra partita di calcio».

Messer Carlo stava per dire qualcosa, ma il figlio di Filippo il Saggio lo bloccò.

«Vi p-prego, dovete alzarvi! Dobbiamo tornare a casa. Tutti insieme come mi avete promesso. D-dobbiamo t-tornare a... casa».

«Vedrai, andrà tutto bene, come sempre».

«Esatto. Presto tutto sarà finito e potremo ritornare a casa».

«Torneremo tutti insieme».

Nella sua mente rimbombarono le ultime frasi dei suoi amici.

«Mi avete mentito, mi avete mentito!» urlò disperato incominciando a piangere.

Lui che non piangeva mai, lui che aveva sempre odiato piangere ora lo stava facendo.

Le lacrime gli scendevano copiose sul volto e non accennavano a diminuire.

Il giovane entrò nella stanza adiacente dove si trovava Giovanni.

Quest'ultimo era ancora vivo, ma le sue ferite erano gravi. I medici avevano fatto del loro meglio per curarle, ma il ragazzo non accennava a riprendersi o a svegliarsi.

«Perché? Non doveva andare a finire così. Non è giusto!».

Alessandro gli si avvicinò e lo abbracciò.

«Andiamo» gli sussurrò.

Giulio uscì e si diresse verso il giardino. Si buttò a terra e cominciò a strappare l'erba accecato dalla rabbia e dal dolore.

Un frate gli passò accanto, lo benedisse e si allontanò: era quel frate che aveva incontrato tempo addietro mentre si dirigeva da Messer Carlo per allenarsi.

Si calmò, tornò nella sua stanza e prese tra le mani il pugnale di Caio il Grande.

«È successo tutto per colpa tua. Una guerra per questo stupido oggetto. Sono morti, sono morti per un pugnale!» urlò e lanciò l'arma contro la parete.

Sentì male al petto, ma non ci badò. Il dolore per la perdita dei suoi migliori amici era più forte di una qualsiasi ferita fisica.

Nei giorni successivi fu costretto a partecipare alla cerimonia di celebrazione della vittoria: ricevette gli applausi da parte di tutto il popolo che lo acclamava come eroe. Il re gli diede in dono una gemma azzurra, appartenuta all'Armata Azzurra, scomparsa dopo la distruzione di Lucedorata causata da Enoren.

Furono poi celebrati solennemente i funerali dei caduti.

Le bare furono sepolte nella pianura dove si era tenuta la battaglia in memoria dei combattenti che erano morti con onore.

Fu una triste cerimonia. Giulio non credeva che avrebbe mai assistito ai funerali dei suoi amici. Questi ultimi non erano più lì con lui ed egli non riusciva ancora a capacitarsene, o meglio, non riusciva ad accettarlo.

Giovanni non si svegliava e le sue possibilità di sopravvivenza diminuivano sempre di più.

Giulio si trovava nella stanza del suo amico, quando gli giunse una speranza inaspettata.

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