Partenze
Il mattino era arrivato presto nella Terra dell'Infinito.
I quattro giovani avevano passato la serata tra di loro, consapevoli che per un certo periodo non si sarebbero più visti.
Da quando erano arrivati nella Terra dell'Infinito non si erano mai divisi. Ognuno di loro aveva tratto coraggio e determinazione dal fatto di poter contare sull'appoggio di persone amiche. Ma, ora, era giunto il momento di separarsi. Da questo momento in poi avrebbero dovuto contare solo sulle proprie forze.
«Buona fortuna» augurò loro Giulio.
«Tranquillo, sono in buone mani» disse sorridente Alessandro indicando se stesso, Edoardo il Temerario e Galdor.
«E poi non è così facile liberarsi di noi» affermò scherzosamente Giovanni.
Si salutarono con una stretta di mano poi, uno a uno, si allontanarono.
«Ci rivedremo presto» si girò Sonia salutando con la mano il ragazzo dai capelli biondi.
«Più forti di prima e con nuovi alleati!» aggiunse Federico.
Giulio li osservò fino a quando non scomparvero all'orizzonte.
Era rimasto solo. I suoi amici erano partiti per intraprendere ciascuno una missione e lui era rimasto a palazzo per diventare un guerriero. Ma lui non voleva esserlo. Voleva solo... tornare a casa.
«Vieni Giulio. Devo presentarti quello che d'ora in poi sarà il tuo maestro» affermò il re avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla per rassicurarlo.
Percorsero un lungo corridoio sulle cui pareti erano esposte armi di ogni genere: spade, sciabole, mazze, pugnali, alabarde, mazzafrusti, asce e così via.
Giunsero dinanzi a una porta. Senza bussare il re la aprì ed entrò, seguito a ruota dal ragazzo.
Si trovarono di fronte un uomo sui trent'anni che si stava allenando con la spada.
Era alto e muscoloso, capelli scuri fino alle spalle e leggera barba sul viso.
Non appena si accorse dei nuovi arrivati, fece un inchino in segno di rispetto nei confronti di Filippo e poi la sua attenzione si concentrò su Giulio.
«Ti chiedo scusa per aver disturbato i tuoi allenamenti, ma ti ho portato il ragazzo di cui ti ho parlato ieri» disse il sovrano.
«E così tu sei colui che è riuscito ad impugnare il pugnale di Caio il Grande. Sei diverso da come mi immaginavo» notò l'uomo rivolgendosi al giovane.
«Sono più bello» lo schernì Giulio.
«Mmm... no. Sei meno robusto di quanto pensassi».
«Sono normale».
«Suvvia, non è il momento di parlare di cose di poco conto come queste. Siamo qui per un motivo ben preciso. Non voglio perdite di tempo. Giulio, lui è Messer Carlo, cavaliere d'onore e miglior guerriero al mondo. Ti addestrerà e ti farà diventare più forte. Ora cominciate». Detto questo il re li lasciò da soli.
Messer Carlo indossò il bracciale nell'arto destro, prese la spada e disse: «In questi giorni dovrai affrontare un allenamento estremamente impegnativo. Se supererai tutte le prove a cui ti sottoporrò potrai entrare nella stanza dell'addestramento, dove dovrai affrontare la prova più difficile. Per questo, prima che tu me lo chieda, è necessario che io ti alleni e ti faccia diventare forte a sufficienza per poter superare tutti gli ostacoli che avrai davanti. Se avrai successo nella stanza dell'addestramento diventerai un vero guerriero. Hai capito?».
Giulio non ebbe il tempo di rispondere che l'uomo lo attaccò con la spada.
Per un soffio il giovane riuscì a schivarlo.
«Però, non sei poi così male» esclamò ironicamente Messer Carlo.
«No, infatti. Sono migliore di te» sogghignò il ragazzo.
Il guerriero riprese ad attaccare e Giulio cercò di contrastarlo. All'inizio ci riuscì, ma poi l'uomo lo colpì e lo fece cadere.
«Bisogna migliorare la tua concentrazione, oltre che la tua forza. Alzati e continua a combattere».
L'allenamento durò tutta la giornata.
Giulio era stremato. Aveva combattuto con tutta la sua forza, ma nonostante ciò era riuscito a colpire il suo avversario solo due volte. Il suo corpo era esausto ed era pieno di lividi e di tagli.
Quando giunse nella sua stanza, una infermiera gli medicò e gli fasciò le ferite.
Si addormentò con il proposito di mettere al tappeto quell'uomo arrogante che era Messer Carlo.
Il mattino successivo il giovane fu svegliato dal suono di uno strumento musicale, probabilmente proveniente dal giardino che si trovava poco distante dalla sua stanza.
Incuriosito da quell'allegra melodia si vestì e si diresse nel luogo in cui proveniva quella melodia.
Vide seduto sul muretto del piccolo giardino un uomo di mezza età che suonava il liuto. Rimase in silenzio ad ascoltarlo, poi gli si avvicinò e gli fece i complimenti per la sua bravura.
«Siete troppo gentile! Io sono il musico Zeffirello e voi?».
«Mi chiamo Giulio».
«Quindi voi siete il ragazzo che possiede il pugnale di Caio il Grande e che si sta allenando con Messer Carlo? È un piacere conoscervi!».
«Non mi dia del "voi", mi può tranquillamente dare del "tu"».
«Non credevo che vi avrei mai incontrato. Sapete sono stati composti vari pezzi musicali, teatrali e letterari su di voi, o meglio, su quello che diceva la profezia» continuò Zeffirello ignorando ciò che gli aveva detto.
«E si, ho visto personalmente uno spettacolo teatrale a Selvapiana».
«Allora avrete potuto notare la bravura dei nostri artisti».
«Eh... certo».
«Se me lo permettete vorrei scrivere musicalmente un'opera che riguardi le vostre avventure d'ora in poi. Che ne dite?».
«Non saprei...».
Notando il volto pieno di aspettativa del musico si affrettò ad accettare e poi si accomiatò per andare ad allenarsi con Messer Carlo.
Mentre si dirigeva dal suo maestro guerriero incontrò un frate che correva tutto trafelato.
Quest'ultimo si fermò, lo osservò e lo salutò tutto sorridente come se fosse stato un suo amico.
«Ci rivedremo presto» gli disse e poi si allontanò.
Il giovane rimase ad osservarlo stupito.
Pensò che la giornata fosse iniziata in modo strano, ma ben presto questo pensiero fu soppiantato dal dovere che lo attendeva: diventare un vero guerriero.
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