La resa dei conti
La battaglia infuriava nella Terra dell'Infinito.
Il numero dei caduti e dei feriti era ingente da entrambe le parti.
Sangue, spade, morte, fango, fuoco erano solo alcuni dei dettagli che caratterizzavano lo scontro.
Filippo il Saggio e re Gabriele, nonostante fossero entrambi feriti, continuavano a combattere valorosamente.
La flotta di Edoardo il Temerario e di re Giacomo, dopo un iniziale svantaggio, stava avendo la meglio grazie alla strategia del primo: aveva attirato le grandi navi del Sovrano delle Tenebre in uno stretto in modo tale che non avessero grandi capacità di manovra. Molte si erano incagliate, altre erano state affondate dai cannoni delle navi avversarie.
Federico era impegnato in un duro scontro con Andromalius. Il Darkoth era un avversario temibile nonostante le sue piccole dimensioni. Continuava a lanciare sfere nere che esplodevano non appena entravano in contatto con qualcosa.
Il giovane faceva di tutto per scansarle, ma sapeva che non poteva evitarle all'infinito.
Non poteva nemmeno sperare di rimandarle indietro con la spada perché non appena l'avessero toccata sarebbero esplose.
A un certo punto notò che i draghi stavano combattendo proprio sopra di lui e gli venne un'idea: si ricordò che, quand'era a Felceazzurra, aveva trovato un libro su quelle maestose creature e aveva scoperto come riuscire a farsi obbedire. Fischiò. Il drago rosso si voltò nella sua direzione e lo guardò intensamente negli occhi.
Andromalius intanto lanciò le sue sfere, ma esse furono rispedite al mittente. Il drago, infatti, aveva aperto le sue grandi ali e aveva cominciato a muoverle nella direzione del Darkoth provocando una folata di vento che aveva rimandato indietro le sfere.
Ci fu una grande esplosione, dalla quale il servo di Enoren ne uscì sconfitto.
Federico non ebbe il tempo di esultare in quanto sentì un dolore lancinante al braccio sinistro. Si accorse che un'ascia era infilzata nel suo arto insanguinato.
«Chi si rivede» si sentì dire.
«Bossolo! Proprio tu mi hai attaccato alle spalle?».
«Non è colpa mia se tu ti sei girato».
«Io non mi sono girato!».
«Si che l'hai fatto!».
«No invece».
«Si».
«No».
«Si».
«Va beh, come vuoi tu. La tua cocciutaggine non ti farà cambiare idea».
Il giovane estrasse lentamente l'ascia dal suo braccio, dal quale uscì un getto di sangue.
Il dolore era tanto, ma doveva stringere i denti se voleva sconfiggere il nano.
«Ridammi la mia arma».
«Perché? Non ne hai un'altra?».
«Ho un mazzafrusto, ma non mi piace usarlo».
«La vuoi? Bene, vienitela a prendere!».
Bossolo scattò in avanti, ma Federico lo evitò.
Riuscì a dargli un calcio stendendolo a terra.
Si girò appena in tempo per evitare di essere colpito da un mezzo troll. Si abbassò velocemente e ferì il mostro alle gambe, facendolo cadere. Poi gli lanciò l'ascia nello stomaco aprendoglielo.
Il ragazzo fece una smorfia di ripugnanza ed estrasse l'arma, uccidendo poi un orco che si stava avvicinando.
Sentì una nuova fitta al braccio sinistro. Bossolo intanto si era rialzato e impugnava il mazzafrusto.
«L'hai voluto tu. Mi spiace eliminarti: sei diventato un buon combattente».
Giovanni nel frattempo aveva scorto l'amico e il nano e si apprestava ad andare ad aiutare il primo.
Un troll, però, gli si parò davanti.
«Non ho tempo da perdere con te, perciò levati» esclamò scocciato.
Il troll grugnì qualcosa e poi tentò di colpirlo con una mazza.
Giovanni parò il colpo con la spada e, con un rapido movimento, lo trafisse al petto.
Mentre il suo avversario cadeva privo di vita, il ragazzo vide una scena che non avrebbe mai dimenticato: Bossolo aveva colpito col mazzafrusto Federico, prima in faccia poi allo stomaco.
Il corpo – ricoperto di sangue – dell'amico cadde a terra.
Giovanni restò paralizzato, poi corse piangendo verso di lui.
«Fede, Fede, Federicooo!!».
Bossolo, che intanto aveva recuperato la sua ascia, disse: «Ormai è finita per lui».
«G-Gigia...».
«Federico! Non sforzarti a parlare, sei troppo debole. Ora trovo qualcuno che ti possa curare, così potrai rimetterti in piedi».
«È troppo tardi, o-ormai».
«No, non è vero. Maghi, streghe, dove siete? Qui c'è bisogno del vostro aiuto!!».
«G-Gigia, sappi che sono stato e sono felice. Anche se la mia v-vita è stata breve, n-non ho rimpianti. Tu, Giulio e S-Sonia siete stati i migliori amici che abbia mai avuto, ci siete sempre stati per me. Per questo... G-grazie, grazie davvero». Detto questo la sua vita volò via. Un'altra giovane anima si era spenta negli orrori della guerra.
«No, no, nooooo!! Federico, tu non puoi lasciarci! Non puoi farci questo, ti prego! Ti prego! Non puoi andartene così!! Non è giusto! Ti prego svegliati, ti scongiuro! Ti prego...».
«Sei patetico» affermò tagliente Bossolo.
Giovanni, con il volto rigato dalle lacrime, si girò con aria crudele verso il nano: «Tu, sei stato tu. È colpa tua se lui è morto. Io ti uccido!».
«Provaci».
Il giovane non se lo fece ripetere due volte e saltò addosso al suo nemico.
Venne colpito più volte alle braccia, alle gambe, allo stomaco, ma non si fermò. Era come se non sentisse il dolore, tanta era la rabbia dentro di lui.
Diede una testata al nano e gli tagliò una mano con la spada. Prima che Bossolo potesse riprendersi dalla sofferenza, gli sottrasse il mazzafrusto e cominciò ad usarlo contro di lui, colpendolo ovunque gli capitasse, sfigurandolo. Continuò come una furia ad infierire sul suo corpo, anche quando era evidente che, ormai, il suo nemico era morto.
Esausto si lasciò cadere. Guardò ancora una volta Federico e, poi, perse i sensi.
Intanto Alessandro era alle prese col Sovrano delle Tenebre. Nonostante i suoi sforzi non riusciva a battere il suo avversario: ogni volta le sue ferite si rimarginavano. Era più che evidente che avrebbe perso se Giulio non fosse intervenuto al più presto con il pugnale di Caio il Grande. Ma, il giovane, non sembrava intenzionato a muoversi, era come in trans.
Enoren atterrò il principe e lo immobilizzò pronunciando una strana formula che fece illuminare le scritte sulla sua spada e partire un raggio verde.
Poi si rivolse a Giulio: «Sei un codardo incapace. Non meriti nemmeno di tenere tra le tue mani quel pugnale. Caio il Grande si rivolterà nella tomba sapendo di avere un erede come te».
Il ragazzo non disse e non fece niente. Non riusciva più a muoversi.
«Mi sarebbe piaciuto battermi con un degno avversario, così la mia vittoria sarebbe risultata ancora più gloriosa ma, a quanto pare, non sarà così. Pazienza, sarà comunque una soddisfazione farti fuori: l'erede del grande Caio sconfitto subito. Bello no?».
Giulio strinse i pugni talmente tanto da ferirsi.
«Cos'è, hai perso la lingua? Beh, posso capirlo. Trovandosi di fronte alla morte non si ha molta voglia di parlare. Voglio essere clemente con te: ucciderò tutti i tuoi amici, così nell'aldilà non ti sentirai solo. Non sono una brava persona?». Enoren proruppe in una sonora risata.
Sei Giulio. Ed è questo ciò che conta. Ricordalo sempre.
Le parole di Caio il Grande risuonarono nella mente del giovane, risvegliandolo.
Egli estrasse il pugnale che, fino ad allora, aveva tenuto nascosto e, con rabbia, disse: «Forse non sarò forte come il tuo antico avversario, forse non sarò considerato alla tua altezza, ma sono sicuro di una cosa: io sono Giulio, non sono nessun altro. Combatterò fino alla morte se necessario e giuro che ti impedirò di fare del male ai miei amici e ad altre persone. Hai già causato troppa sofferenza per i miei gusti. Io ti sconfiggerò e libererò la Terra dell'Infinito dall'oscurità».
«Quindi ucciderai anche te stesso: l'oscurità è anche dentro di te».
Il Sovrano delle Tenebre attaccò, ma questa volta Giulio parò il colpo del suo avversario.
«Stupito?» ghignò.
«No, visto che perderai comunque».
Enoren girò su se stesso, si allontanò e poi ripartì all'attacco.
Il giovane riuscì a difendersi egregiamente e sfiorò col pugnale il volto del suo nemico che, per un breve istante, divenne rosso. Era come se, quel leggero contatto, l'avesse bruciato.
«Maledizione!» urlò il re di Lumbar. «Devo forse pensare che quella di prima era una tattica? ».
«Potrebbe esserlo stata».
«Non mi importa ora. Ciò che conta è farti fuori una volta per tutte. Preparati a morire!».
Il cielo si oscurò e tutto divenne buio: non un filo di luce illuminava il campo di battaglia.
Un'aura cupa avvolse il corpo del Sovrano delle Tenebre, i suoi denti divennero maggiormente appuntiti, le sue dita si allungarono ed i suoi occhi divennero ancora più neri. Fino a quel momento egli aveva mantenuto l'aspetto di Gregorio il Giusto, fatta eccezione per le iridi.
Giulio provò paura, una paura che non aveva mai provato.
Le scritte della spada di Enoren si illuminarono e crearono una nebbia verde che si diresse nella direzione del giovane, avvolgendolo.
«Giulio!» gridò disperato Alessandro.
Il giovane fu colpito, da ogni parte, da lame invisibili. La mano in cui teneva il pugnale gli doleva: esso, infatti, aveva incominciato a bruciare. Nonostante il dolore, non lasciò la presa.
Sentiva chiaramente la parte del re di Lumbar, racchiusa nell'arma, premere per uscire e riunirsi con la sua metà.
Il dolore era sempre più forte, le ferite sempre più numerose.
Provò rabbia e frustrazione per non riuscire ad opporsi ad una simile situazione.
Fu in quel momento che sentì la voce di quella che pensò fosse la sua parte oscura: «Dobbiamo ucciderlo e farlo soffrire tanto quanto lui sta facendo con noi».
Giulio, provato dal dolore, pensò che non fosse una cattiva idea.
La potenza delle lame insieme al calore del pugnale aumentò ancora di più.
«Deve pagarla per tutto il male che ci sta facendo. La nostra lama bagnata del suo sangue sarà il primo passo per la nostra vendetta» sentì dire dalla voce nella sua testa.
Fu a quel punto che, ricordandosi dell'incontro con la sua copia oscura nella stanza dell'addestramento, capì.
«T-tu non sei me! Sei l'altra parte di Enoren. N-non ti lascerò vincermi» affermò con fatica.
Con tutta l'energia che gli era rimasta alzò la mano e tranciò la nebbia che lo avvolgeva.
«Non è possibile!» urlò il Sovrano delle Tenebre.
Quest'ultimo si avventò su Giulio, il quale colpì la sua spada distruggendola e poi affondò il pugnale nel suo corpo.
Enoren divenne tutto rosso: la sua armatura e la sua pelle bruciavano.
Ci fu una piccola esplosione in cui risuonarono i lamenti del re di Lumbar.
L'incantesimo che teneva bloccato Alessandro si spezzò, l'oscurità si disperse ed il cielo tornò sereno.
I mostri ancora vivi, avvertendo la scomparsa del loro padrone, fuggirono.
Del Signore delle Tenebre non rimaneva che un mucchietto di cenere.
Giulio aveva vinto, aveva sconfitto la più grande minaccia della Terra dell'Infinito.
Si lasciò cadere, esausto e ferito.
Prima di chiudere gli occhi gli sembrò di vedere il volto sorridente di Caio il Grande.
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