La battaglia ha inizio
Le truppe stanziate sul confine da Filippo il Saggio, dopo un aspro combattimento, erano state costrette alla ritirata.
L'esercito di Enoren, forte delle vittorie ottenute, marciò in fretta e in poco tempo arrivò poco lontano dalla pianura di Albadorata.
Nel giro di un'ora sarebbe giunto lì.
Tutto era pronto per l'imminente battaglia.
Giulio indossò velocemente l'armatura e prese lo scudo con il simbolo della famiglia reale.
Raggiunse gli altri e con essi si diresse nel luogo in cui si sarebbe svolto l'atteso scontro.
I vari eserciti erano già schierati: gli arcieri degli elfi e degli uomini si erano posizionati nelle retrovie insieme ai maghi. Più avanti vi erano gli uomini, gli elfi, i folletti, le streghe e le fate, in prima linea gli gnomi e i nani.
La cavalleria sarebbe stata guidata da Alessandro e sarebbe giunta in un secondo momento insieme ai draghi e ad alcuni dei pirati. Il grosso di questi ultimi, infatti, avrebbe combattuto per mare contro i pirati del Sud.
Sarebbero poi giunti, dalla parte da dove proveniva il nemico, gli elfi capitanati dal re Thalion e dalla regina Lothìriel di Lungobosco, in modo tale da accerchiare gli avversari.
Per volontà di re Filippo, i quattro giovani sarebbero rimasti nelle retrovie. Anche Messer Carlo e Galdor si trovavano lì per ordine del sovrano.
Tutti i re, tranne Giacomo che si trovava al comando della flotta insieme ad Edoardo il Temerario ed Anna, si erano schierati, a cavallo, in prima linea.
Ben presto comparve una grande macchia nera all'orizzonte: l'esercito nemico era arrivato.
Giulio guardò i suoi compagni.
«Buona fortuna. Speriamo che tutto vada nel verso giusto» fu l'unica cosa che riuscì a dire.
«Vedrai, andrà tutto bene, come sempre» sorrise Federico.
«Esatto. Presto tutto sarà finito e potremo ritornare a casa» continuò Sonia.
«Torneremo tutti insieme» concluse Giovanni.
Giulio annuì, rassicurato da quelle semplici parole. Ma poi vide i suoi amici mettersi in posizione ed ebbe l'impressione che quella sarebbe stata l'ultima volta che li avrebbe visti.
Una nuova angoscia gli attanagliò la mente, ma prima che potesse fare qualcosa vide gli arcieri tirare. La battaglia aveva inizio e lui non era pronto.
Tutto il coraggio che aveva avuto fino a quel momento l'aveva abbandonato.
Messer Carlo lo notò e gli posò una mano sulla spalla per incoraggiarlo.
Senza neanche accorgersene si ritrovò con la spada sguainata a difendersi dagli attacchi nemici.
Gli sembrò che tutto fosse buio intorno a sé, che tutto e tutti fossero scomparsi.
Prima di essere colpito alla testa, schivò il suo avversario e lo colpì all'addome.
Trafisse altri due mezz'orchi ed un goblin.
«A quanto pare non sei un cattivo combattente» disse qualcuno che aveva una voce familiare.
Giulio si voltò e poi lo vide: era in piedi su un masso, indossava un'armatura nera senza elmo, un mantello lungo del medesimo colore ed impugnava una spada – sulla quale erano incise strane scritte – dall'elsa scura con incastonata una pietra verde all'interno della bocca di un teschio. Era Gregorio il Giusto, o meglio il Sovrano delle Tenebre.
«Tu!».
«Proprio io. Ci siano rincontrati in circostanze diverse da quelle che speravo, ma va bene lo stesso. Ora posso finalmente avere ciò che mi spetta».
«Io non credo».
«Io si. Dammi il pugnale e, forse, ti risparmierò la vita. Anzi, te la risparmierò. Mi piace il tuo atteggiamento, potremmo fare grandi cose insieme».
«Scordatelo! Non potrei mai passare dalla tua parte!».
«E perché no? In fondo, che cosa sai di me?».
Era vero, lui non sapeva molte cose sul suo conto. Gli era sempre stato presentato come un personaggio negativo e lui non aveva mai dubitato che fosse così.
«Non ricordi? Tu stesso mi hai parlato male di te».
«Ovvio, era per indurti ad accettare di aiutarmi».
«Questo dimostra che non ci si può fidare di te. Agisci solo per ottenere qualcosa in cambio».
«E che male c'è? Sto agendo solo per recuperare la parte di me che mi è stata ingiustamente sottratta. E per cosa, poi? Per essermi ribellato ad una società che mi aveva allontanato».
Giulio, senza accorgersene, si guardò intorno e notò che i suoi amici non erano con lui.
«Che c'è? Hai perso qualcosa? Forse i tuoi amichetti? Non preoccuparti, sono sicuro che i miei seguaci si stanno prendendo cura di loro».
«Maledetto. Sei stato tu a separarci!».
«No, sei stato tu. Tu ti sei allontanato da loro. E sai perché? Perché volevi trovarmi».
«Io non ho... Il pugnale! È stato il pugnale!».
Enoren sorrise. «Sai com'è, la parte che è racchiusa là dentro vuole disperatamente riunirsi a me».
«Questo non avverrà mai, io lo impedirò!».
«Sei molto divertente, ma mi sono stufato di scherzare».
Il Sovrano delle Tenebre, con rapidità, balzò in avanti e colpì Giulio.
Lo prese per i capelli e gli diede un pugno nello stomaco con l'elsa della spada.
«Come immaginavo, sei debole. Non sei per niente all'altezza di Caio il Grande».
Stava per colpirlo nuovamente, ma qualcuno glielo impedì: era Alessandro.
A quanto pareva era già arrivato con la cavalleria.
Enoren lasciò andare il giovane e si concentrò sul suo nuovo avversario.
«Ma chi abbiamo qui? Il principe traditore!».
«Non sono mai stato un tuo alleato».
«Io non sopporto i traditori. Sai che cosa aspetta a coloro che osano tradirmi? La morte».
Detto questo attaccò Alessandro che, abilmente, riuscì a parare il colpo.
Giulio, dolorante, osservava il combattimento: Alessandro stava affrontando a testa alta il Sovrano delle Tenebre, e lui, invece, non era stato capace di fare nulla dopo tutti gli allenamenti che aveva fatto.
Enoren aveva ragione: lui non era come Caio il Grande, non era forte abbastanza.
Si chiese come avesse anche solo potuto pensare di esserlo. Era stato battuto subito. Era davvero così debole?
Mentre Giulio pensava queste cose Sonia stava combattendo contro un gruppo di streghe.
Aveva perso di vista anche lei i suoi amici.
Si abbassò in tempo per schivare un incantesimo. Pensò che se avesse continuato così, prima o poi l'avrebbero colpita.
Le venne un'idea.
Le streghe lanciarono il loro sortilegio e lei lo parò con la spada rispedendolo indietro, incenerendole.
«Bella mossa. Sei sempre stata molto intelligente» disse una voce.
«Brandir!».
L'elfo la guardò, poi, lentamente, si avvicinò.
«A quanto pare siamo giunti alla resa dei conti».
«Te la farò pagare per aver ucciso Asdrubaleo».
«Non era nelle mie intenzioni. Ma si è messo in mezzo, se l'è cercata!».
«Come puoi dire così? Era un tuo amico!».
«Amico? No, non direi proprio».
Sonia si morse forte il labbro facendoselo sanguinare, poi guardò con rabbia l'elfo.
«Non puoi dire così!».
Brandir fece segno che non gli importava. Prese l'arco e tirò, uccidendo il mannaro che stava per attaccare la ragazza. Quest'ultima lo guardò sorpresa.
«Tu sei mia. Nessuno può ucciderti tranne me!».
Un boato risuonò nell'aria: i draghi di Picco Fuoco erano arrivati. Erano possenti draghi neri al servizio di Enoren, mentre quelli rossi combattevano come alleati di Filippo il Saggio.
Questi cominciarono a combattere tra di loro, ma fiammate e folate di vento colpivano anche coloro che si trovavano a terra, aumentando il numero dei caduti.
Intanto lo scontro tra Sonia e Brandir era iniziato.
Era evidente che l'elfo fosse superiore a lei per forza e velocità, ma la ragazza contava di poterlo sconfiggere usando l'ingegno.
Brandir colpì la giovane alla spalla facendola gridare di dolore.
Per un attimo gli occhi del primo tornarono ad essere azzurri, ma poi ripresero il loro vero colore: il nero.
Notando l'esitazione di quello che un tempo aveva considerato suo amico, con tutta la forza che aveva, la giovane scattò in avanti.
Fu un attimo. La spada si tinse di rosso.
Aveva ferito l'elfo allo stomaco e lo stesso aveva fatto lui con lei.
Caddero entrambi sulle ginocchia. Il respiro si era fatto affannoso, la ferita bruciava ed il sangue continuava a fuoriuscire.
«È così, per essermi lasciato trascinare da qualcosa di incomprensibile per me, sto per...» sussurrò Brandir.
«E-emozioni».
«C-come?».
«Emozioni. Quello hai provato».
«Io non provo emozioni».
«Invece si. Hai cercato di soffocare tutti i tuoi sentimenti, con me, con Asdrubaleo, con tutti. Ma, alla fine, le tue emozioni sono venute fuori. Forse perché non volevi farmi del male?».
«Io devo ucciderti».
«Devi, ma forse non vuoi».
Brandir la guardò intensamente ed i suoi occhi, lentamente, diventarono azzurri e rimasero tali.
Sonia sorrise. «Come i camaleonti, ricordi?».
L'elfo chinò la testa e ripensò ai momenti che aveva passato con i suoi compagni e realizzò che erano stati i più sereni della sua vita.
Ripensò alla sera della festa fatta quando i giovani terrestri erano appena arrivati nella Terra dell'Infinito, alle sue parole e a quelle della giovane: «Io non potrò mai essere così, non riuscirò a lasciarmi trascinare dalle emozioni».
«Non devi farti trascinare, devi solo farti accompagnare da esse. Poi il resto verrà da sé».
Era vero. L'aveva capito troppo tardi però.
Aveva ucciso un amico e ora un'altra persona a cui voleva bene stava per morire a causa sua.
«Ricordi quando mi hai chiesto di dirti quello che pensavo di te? Beh, credo che questo sia il momento giusto per dirtelo. Tu ti sei sempre comportato come un leader che non ha tempo per pensare a se stesso, che non vuole far trasparire i propri sentimenti. Anche se eri al servizio di Enoren, io credo che tu, in un certo qual modo, ti sia affezionato a noi. Hai sempre cercato di confortarci e ci hai protetto nelle battaglie. Questo vuol dire voler bene a qualcuno: aiutarlo nei momenti difficili. Questo vuol dire molto per me. Confesso di averti odiato profondamente quando hai ucciso Asdrubaleo. Ma, ora, capisco di aver sbagliato. Guardandoti, mi accorgo che devi aver sofferto anche tu. E, quindi, non è vero che tu non abbia dei sentimenti. Quello che voglio dirti è... Grazie, grazie per essermi stato amico».
Brandir alzò la testa e guardò stupito Sonia. Dopo tutto quello che aveva fatto lo considerava ancora un amico. Com'era possibile?
La ragazza cominciò a tossire e a sputare sangue.
«Grazie. Grazie per essermi amica nonostante tutto».
Lei gli sorrise stancamente. Il suo volto era sempre più pallido.
L'elfo la abbracciò, la coricò delicatamente a terra e si stese accanto a lei.
«A quanto pare moriremo insieme» disse flebilmente Brandir, sempre più pallido anche lui.
«Già. Presto rivedremo Asdrubaleo. Ho un solo rammarico. Non poter stare accanto ancora un po' ai miei amici ed ai miei genitori».
«Lo puoi fare. Sembrerà strano detto da me, ma finché il tuo ricordo rimarrà nei loro cuori, tu sarai sempre presente e sarai loro vicina».
«Grazie Brandir».
«Grazie a te, Sonia».
E così la loro vita si spense: l'uno accanto all'altro, con il sorriso sulle labbra.
Un'amica persa, due amici che si sono ritrovati.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top