Il Grande Mago
La Terra dell'Infinito, un luogo sconosciuto, abitata da creature fantastiche. I quattro giovani non riuscivano ancora a credere che esistesse un luogo simile. Forse stavano sognando, eppure tutto sembrava così reale.
I loro pensieri si interruppero quando giunsero di fronte ad un imponente palazzo in pietra. Esso si trovava in mezzo alla foresta ed era circondato da strani alberi che sembravano aver vita propria. Numerose finestre, insieme alle guglie e ai merli, caratterizzavano la facciata. Sul lato destro vi era una scala a chiocciola che univa il palazzo ad una torre.
Brandir e Bossolo si avvicinarono al portone. L'elfo estrasse un flauto d'argento e incominciò a suonare una triste melodia. Con stupore dei giovani, la porta si aprì ed essi poterono entrare.
«Come hai fatto?» chiese stupito Giovanni.
«È tutto merito di un incantesimo del Grande Mago: ogni razza può accedere solo se conosce il modo per sbloccarlo. Gli elfi devono suonare il flauto o l'arpa, gli uomini intonare una canzone, i folletti danzare, gli gnomi mostrare una pepita d'oro ed i nani una pietra preziosa. Ovviamente, prima che qualcuno di voi me lo chieda, serve una melodia, un canto, una danza od una pietra specifica per poter entrare. Solo pochi sono informati di ciò» rispose serio Brandir.
«E tu come fai a saperlo?» domandò circospetta Sonia.
L'elfo la guardò un momento e poi, sorridendo, affermò che ne era a conoscenza perché suo padre era amico e consigliere del re Amdir di Bosco Verde e, dal momento che egli aveva bisogno di svolgere alcune ricerche nella biblioteca del Grande Mago, era stato informato del modo in cui potervi accedere. Poi aggiunse: «Non fate parola a nessuno di quello che vi ho detto».
L'elfo ed il nano cominciarono a salire le scale a chiocciola seguiti dai quattro ragazzi.
L'interno del palazzo era meno sontuoso di quanto si aspettassero. Alcuni quadri erano appesi lungo le pareti. Per il resto, a parte la presenza di qualche lampada, era tutto piuttosto spoglio.
Arrivarono davanti ad una porta in ottone finemente decorata. Bossolo bussò ed una calda voce li invitò ad entrare.
«Oh, non pensavo che ci avreste messo così tanto ad arrivare. È già da un po' che vi sto aspettando!» disse quello che doveva essere il Grande Mago. Questi non aveva minimamente l'aspetto tipico (o almeno quello che tutti presuppongono che debba avere) di un mago. Indossava una lunga tunica mista tra il blu ed il color panna. Non aveva i capelli bianchi e la barba lunga, ma aveva i capelli castano scuro, il viso rasato e due splendidi occhi azzurri. A vederlo non sembrava nemmeno molto vecchio. Insomma, non era minimamente paragonabile a Gandalf o Merlino.
I quattro ragazzi lo guardarono attentamente e provarono una strana sensazione, ma non seppero spiegarsi il motivo.
«E tu dovresti essere il Grande Mago? Non mi sembri tanto diverso da noi e nemmeno molto più grande...» esclamò, ad un certo punto, Giulio.
«Non ci si rivolge così a Gregorio il Giusto, per tutte le fucine!» sbraitò Bossolo.
«Non preoccuparti, amico mio. Loro non mi conoscono e devo ammettere che il mio aspetto può indurre in errore. Anche se, mi chiedo, non vi hanno mai insegnato a guardare al di là delle apparenze?» disse con una punta di rimprovero il mago.
«Ci scusi signore. Giulio non voleva essere scortese. Per lui, cioè per noi, non è esattamente normale trovarsi di fronte ad uno stregone!» asserì Federico prima che l'amico dicesse qualcosa di sgarbato.
«Si, forse è così. Comunque, come vi ha già anticipato Bossolo, io sono Gregorio il Giusto e ho 2989 anni» affermò osservando sorridente Giulio. Quest'ultimo lo guardò con irritazione, ma non disse niente.
Giovanni ruppe il silenzio che era calato, chiedendo: «Lei sa perché siamo finiti qui? Perché è comparsa all'improvviso una luce e la porta che conduce al vostro mondo si è aperta?».
«Calma ragazzo, risponderò a tutte le tue domande per quanto mi sarà possibile. Tutti voi, però, datemi pure del "tu": non sono così vecchio!» rise, poi proseguì: «Dunque, innanzi tutto, dovete sapere che era dal secolo scorso che non accadeva più nulla di simile. Tuttavia, negli ultimi tempi, qualcosa di oscuro, nell'ombra, si sta muovendo. Molti uomini, elfi, nani... sono improvvisamente scomparsi. Le Terre dell'Est si stanno inaridendo, gli alberi appassiscono, la gente muore per mancanza di cibo. L'oscurità avanza velocemente e, temo, che presto arriverà anche qui. Per questo motivo, quando siete arrivati, avete visto tutte le razze insieme. Si sono riunite qui per fronteggiare il comune pericolo. Il vostro arrivo è collegato con tutto questo. La luce che avete visto è la luce della Primavera che, in origine, appariva – come credo possiate immaginare – il giorno del solstizio della stagione primaverile. Tuttavia, negli ultimi secoli, si è manifestata in situazioni di pericolo a coloro che, dal mondo esterno, avrebbero, con la loro conoscenza, portato un aiuto. E questo è il motivo per cui la porta si è aperta e voi siete qui».
I ragazzi, sorpresi e preoccupati allo stesso tempo, non riuscirono a proferire parola. Era una situazione estremamente grave ed essi non sapevano come comportarsi.
A un certo punto, Sonia, rivolgendosi a Gregorio il Giusto, domandò: «Come fai a sapere tutto questo?». Brandir non poté non sorridere pensando a quanto fosse sospettosa la ragazza.
«Sono o non sono un mago, signorina? È tutto merito dei miei poteri e dei miei fidi aiutanti: Andromalius, Astharot, Baal, Balam e Barbatos. Prima che tu me lo chieda, esse sono creature assai piccole e particolari. Si nascondono dalla luce del sole, vivono nelle profondità della terra e si nutrono dell'oscurità. Potreste pensare che siano esseri crudeli, votati al male e pensereste bene. Tuttavia, qualora si riesca a farseli amici, procurando loro le perle nere, possono diventare i più fedeli degli alleati. Si chiamano Darkoth. Ognuno di loro ha delle precise capacità! Andromalius è in grado di trovare le cose perdute e i tesori nascosti. Astharot può rivelare ogni segreto sulle arti e sulle scienze. Baal può insegnare ogni genere di conoscenza oscura e possiede sessantasei legioni al suo servizio. Balam conosce il segreto dell'invisibilità, passato, presente e futuro e comanda quaranta legioni. Infine Barbatos può riunire le persone in amicizia, conosce i tesori occultati ed ha al suo seguito trenta legioni. Esseri utili, non trovate? L'unico problema è che non vanno particolarmente d'accordo con i nani e gli gnomi della Roccia».
I quattro ragazzi videro nell'oscurità dieci piccoli puntini gialli e provarono un profondo senso di inquietudine e di ribrezzo. Se quelle erano le creature di cui parlava il mago, non comprendevano perché si fidasse così di loro: a primo impatto sembravano esseri tutt'altro che amichevoli e propensi a compiere il bene.
«Infatti non comprendo perché tu ti serva di loro. Si potrebbe tranquillamente agire da soli!» disse Bossolo, acido.
«Ho le mie buone ragioni se lo faccio, mastro nano. Non credo ci sia nessuno di più adatto a portarci informazioni sul nostro nemico» rispose secco Gregorio il Giusto.
«E chi sarebbe il vostro nemico?» chiese Federico.
I tre si guardarono e, dopo un cenno di assenso da parte del mago, Brandir incominciò a parlare.
Molti secoli prima un uomo, scacciato dalla propria gente per la propria cupidigia e per aver tolto la vita al capo della propria città, vagò a lungo per la Terra dell'Infinito meditando vendetta contro coloro che gli si erano opposti e l'avevano esiliato. Ricordando un'antica leggenda che parlava di un luogo in cui sorgeva un famoso lago, il cosiddetto Lago Nero, si diresse nelle terre del Nord. Lì conobbe un mercante che gli disse che all'interno del Monte Cherubino vi era effettivamente un lago dall'insolito colore.
L'uomo, nonostante le avvertenze ed i pericoli prospettatigli dal mercante, decise di dirigersi in quel luogo. Dopo numerose avversità egli trovò il Lago Nero.
Una voce soave emerse dalle profondità dell'acqua e irretì l'uomo promettendogli grande potere e il dominio sulla Terra dell'Infinito.
Affascinato da quelle parole e constatando, in questo modo, la veridicità della leggenda, si immerse nelle acque nere. Lo scuro liquido entrò dentro di lui provocandogli, inizialmente, un grande fastidio. Le sue dita si allungarono, i denti divennero maggiormente appuntiti ed i suoi occhi si oscurarono. In questo modo nacque il Sovrano delle Tenebre, Enoren. Egli cominciò a radunare intorno a sé tutti i reietti, i desiderosi di un riscatto. Creò così una grande armata composta dagli orchi, dai troll, dai mezz'orchi, dai mezzo troll, dai mannari, dai giganti, dagli elfi oscuri, dai nani oscuri, dai Darkoth, dai pirati del Sud, dalle streghe di Valle Aguzza, dai draghi neri delle Montagne di Picco Fuoco, dai traditori degli gnomi e dei folletti, dagli uomini affascinati dal potere e da molti altri ancora.
Enoren costruì il suo palazzo nella Terra dell'Est, nel luogo in cui era stato cacciato dai suoi concittadini. Questi ultimi furono in parte uccisi, in parte tenuti prigionieri per permettere alle streghe di portare a compimento i loro esperimenti.
Il suo palazzo prese il nome di Lumbar, Dimora delle Ombre.
Il suo esercito divenne, di giorno in giorno, sempre più grande e potente. Avrebbe conquistato il mondo intero se tutte le razze a lui contrapposte non si fossero unite. Un uomo, Caio il Grande, guidò gli alleati e con il suo pugnale riuscì a sconfiggere Enoren, imprigionando l'oscurità in una sfera.
Tuttavia, dopo molti secoli, a causa della stoltezza di un uomo che rubò la sfera e la fece cadere, provocandone la rottura, il Sovrano delle Tenebre rifece la sua comparsa.
Egli si dedicò a riunire tutti i suoi scagnozzi che, dopo la battaglia, si erano rifugiati nelle parti più remote della Terra dell'Infinito.
«Nel secolo scorso vi sono stati alcuni piccoli incidenti e conflitti. Non si è mai giunti ad un vero e proprio scontro. Ma ora, Enoren si è riorganizzato e con il suo esercito si sta muovendo velocemente provocando desolazione e distruzione. Presto giungerà anche qui e, se nessuno lo fermerà, sarà la fine per tutta la Terra dell'Infinito e per il vostro mondo» concluse il Grande Mago.
I ragazzi rimasero turbati dalle loro parole. Se quello che avevano raccontato era vero, tutti loro erano in pericolo.
«Perché il Sovrano delle Tenebre dovrebbe causare la rovina anche della Terra?» domandò a un certo punto Federico.
«Perché dal vostro mondo, in passato, sono giunte alcune persone che hanno contribuito alla sua caduta. Ed egli non avrà pace finché non si vendicherà di tutti coloro che hanno posto fine al suo potere» rispose il nano.
«E che cosa dovremmo fare noi? Sono sicuro che non ci avete condotti qui senza un motivo» disse Giovanni, scuro in volto.
Il Grande Mago li guardò uno ad uno e poi, sospirando, affermò: «Siete qui perché abbiamo bisogno del vostro aiuto. Purtroppo, quando Caio il Grande sconfisse Enoren perse il suo pugnale. Esso contiene una parte dell'oscurità del Sovrano delle Tenebre ed egli cerca disperatamente di averlo per poter tornare ad avere la sua massima potenza. Quest'arma non è importante solo per questo motivo, ma anche perché è l'unico strumento che può porre fine al re di Lumbar. Recentemente, grazie ai Darkoth, abbiamo scoperto che esso si trova all'interno del Monte Cherubino nei pressi del Lago Nero e...».
«Se sapete dove si trova, cosa aspettate ad andare a prenderlo?» chiese scocciato Giulio.
«L'avremmo già fatto se ci fosse stato possibile. Purtroppo, però, solo persone provenienti dalla Terra possono prenderlo, in quanto Caio apparteneva al vostro mondo. Per questo ci serve il vostro aiuto: siete gli unici che possano portare a termine questo compito» disse Gregorio il Giusto.
I quattro amici si guardarono, incerti sul da farsi. Poi Giovanni affermò che non potevano aiutarli perché era una missione al di sopra delle loro capacità.
«Perché non lo chiedi ai Darkoth di aiutarti, loro non sanno fare tutto?» domandò Giulio rivolgendosi al mago. Quest'ultimo lo ignorò e rispose che, se la Luce di Primavera li aveva scelti, sicuramente erano in grado di svolgere questo compito. Aggiunse, poi, che essi non avrebbero potuto lasciare la Terra dell'Infinito finché non lo avessero portato a termine.
«Cosa? Stai scherzando spero!?» urlò Sonia.
«Purtroppo no. È sempre stato così per tutti» disse afflitto Bossolo.
«Questo non può essere vero! Siamo bloccati qui e tutti si chiederanno dove siamo finiti...» esclamò preoccupato Giovanni.
Brandir spiegò che per quello non c'era da preoccuparsi: lì il tempo scorreva molto più lentamente che sulla Terra.
«Non c'è da preoccuparsi? Dici davvero? Siamo qui per puro caso e, ora, ci venite a dire che siamo gli unici a poter salvare il VOSTRO mondo anche se noi non sappiamo praticamente niente di esso e nemmeno dove sia quel Monte Canterino o come si chiama!» gridò arrabbiato Giulio.
I suo amici, benché fossero anch'essi arrabbiati, cercarono di calmarlo.
«Mi rendo conto della responsabilità e del pesante fardello che vi sto dando. Se ci fosse un'altra soluzione, credetemi, non esiterei a sceglierla. Ma, purtroppo, non c'è ed è per questo che vi imploro, nuovamente, di aiutarci. Non sarete soli in questa avventura: con voi verranno anche Brandir e Bossolo ed alcuni altri che conoscono la strada e vi faranno da guida e vi proteggeranno dai pericoli. Però, solo voi, potete prendere il pugnale, nessun altro. Vi prego...» supplicò il Grande Mago prostrandosi ai piedi dei quattro giovani.
«Dopo che avremo preso l'arma di Caio, promettici, che potremo tornare a casa» disse Federico rivolgendosi a Gregorio il Giusto.
«Ve lo prometto. Avete la mia parola».
«La tua parola non basta. Non possiamo essere certi che tu non ci trattenga ancora qui. Ci vuole un contratto scritto o qualcosa di simile» affermò serio Giulio che del mago proprio non si fidava. Non sapeva nemmeno lui perché, ma da quando era entrato in quella stanza e lo aveva visto aveva pensato che ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa di strano.
«Che insolenza. Per tutte le fucine, non puoi rivolgerti così al Grande Mago!» gridò Bossolo, irritato.
«Non preoccuparti. Credo che sia comprensibile la loro volontà di essere certi di non essere ingannati. Se ci fossi io al loro posto farei, esattamente, la stessa cosa. Questo è un contratto magico: firmatelo, recuperate il pugnale e potrete tornare nel vostro mondo» sorrise incoraggiante Gregorio il Giusto.
I giovani lo lessero attentamente e, non notando nulla di ingannevole, lo firmarono.
Il mago disse loro che sarebbero partiti l'indomani al sorgere del sole. Disse anche che aveva fatto preparare loro una camera in cui potersi riposare e di avervi messo delle armi con cui potersi difendere durante la missione. Brandir e Bossolo, insieme agli altri che sarebbero partiti con loro, avrebbero insegnato loro, lungo il cammino, a combattere in modo tale che, in caso di pericolo, fossero stati in grado di difendersi.
Uscendo dalla stanza, Giulio notò una strano sorriso comparire sul volto del Grande Mago.
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