Di nuovo insieme


Erano passati due giorni da quando Giulio, Sonia e Federico si erano riuniti.

Il re, Alessandro, Coco ed i tre giovani si trovavano al porto di Ondaforte avendo saputo dell'arrivo imminente di Edoardo il Temerario e di Giovanni.

Comparve all'orizzonte un'immensa flotta, quasi tutta con la bandiera del pirata Insegna.

Le navi attraccarono ed il giovane e il capitano scesero trionfalmente, accompagnati da un uomo robusto con i capelli neri.

«Gigia!» esclamarono i suoi amici andandogli incontro.

«Scusateci per il ritardo, ma abbiamo avuto qualche complicazione» spiegò Edoardo.

«Bentornati. Deduco che abbiate avuto successo. È un piacere averti qui» disse Filippo il Saggio indicando l'ex pirata.

«Il piacere è mio. Dobbiamo discutere su un po' di cose, ma sappi che hai il mio completo appoggio: presto arriveranno anche altre navi».

«Perfetto, allora seguimi. Tutti gli altri sono già arrivati».

«Ehm, ehm! Vostra altezza non dimentica qualcosa? Riguardo ai miei debiti...» cominciò a dire Insegna.

«Certo certo. Ma di questo ne discuteremo dopo la guerra. Se ti sarai comportato lealmente allora provvederò ad annullarli».

«Ehi, non era questo...».

«Non discutere. Ti ricompenserò a dovere per il tuo aiuto, stanne certo. Ora, però, dobbiamo occuparci di cose più importanti».

Re Giacomo ed Alessandro sorrisero divertiti.

«Non te la prendere» bisbigliò Giovanni.

«Ehi, loro sono i tuoi amici terrestri?» chiese il re di Pioggialenta al giovane.

«Si, sono loro».

«È un piacere conoscervi. Se uscirò vivo da questa guerra, potrò dire di aver incontrato i ragazzi della profezia! Non è che potrei vedere il pugnale? Ho sempre desiderato vedere com'è fatto».

Edoardo si parò davanti ai giovani prima che Giulio potesse estrarre l'arma e esaudire la richiesta dell'uomo.

«Ho capito, lo vedrò un'altra volta». Detto questo salì sul carro insieme a Filippo.

«Perché ti sei comportato così?» domandò Sonia.

«Perché lui è un ex pirata ed è sempre stato attratto dall'idea di possedere il pugnale di Caio il Grande. È meglio che non sappia chi di voi ce l'abbia, altrimenti potrebbe cercare di rubarvelo».

«Sono d'accordo. Anche se ora è re, ho notato che non ha abbandonato il suo istinto da corsaro» confermò Giovanni.

«D'accordo, allora non glielo faremo vedere. Tieni gli occhi aperti, Giulio» propose Federico.

«Certo. In ogni caso non me lo farò sottrarre tanto facilmente».

«Non so perché, ma ho come la sensazione che tu sia diventato molto più sicuro di te. E non so se è un bene o un male» sorrise Giovanni.

«Ma smettila».

«È un male».

«Pff, tutta invidia».

«Non direi. Non sono mai stato più sicuro di me in questo momento».

«Confermo. Ha fatto fuori da solo una ciurma nemica che ci ha attaccato» aggiunse Edoardo il Temerario.

«Grande! A quanto pare siamo diventati più forti tutti quanti!».

«Non abbassate la guardia solo per questo» consigliò Alessandro.

«Forza, dobbiamo andare. I re ci stanno aspettando» disse Coco indicando i due sovrani sul carro.

Quella giornata passò in fretta così come i giorni successivi.

Erano arrivate notizie circa l'avanzata dell'esercito di Enoren. Filippo il Saggio aveva rafforzato le truppe al confine sperando di rallentarne l'avanzata, in modo tale da ultimare gli ultimi preparativi ed affrontare i nemici in campo aperto, nella pianura vicino ad Albadorata.

Se tutto fosse andato come previsto, entro una settimana si sarebbero scontrati.

I quattro giovani passarono insieme tutte le giornate, allenandosi, ma anche svagandosi un po'.

Alla sera si ritrovarono in un piccolo parco dove, poco prima, si era tenuta una festa.

Essi si sedettero intorno ad un fuoco e cominciarono a parlare mentre le fate danzavano vicino ai rami degli alberi.

Non erano riusciti a vedere Lucia, ma erano sicuri che ci fosse anche lei.

Galdor stava chiacchierando con un gruppo di elfi, Coco e altri gnomi avevano sfidato a poker Alessandro ed Edoardo il Temerario mettendo in palio tre pepite d'oro.

I folletti si divertivano a fare scherzi a chiunque capitasse loro a tiro, evitando, però, accuratamente le fate.

I nani bevevano birra insieme agli gnomi della Roccia e ad alcuni uomini.

I maghi e le streghe eseguivano giochi pirotecnici allietando gli spettatori.

Zeffirello aveva intonato una soave melodia con il liuto, diffondendo nell'aria la sua musica.

Sembrava una normale serata, allegra, come se non ci fosse il pericolo di non rivedersi più.

Ma, in realtà, questa possibilità c'era: non tutti loro sarebbero sopravvissuti alla guerra, non tutti loro sarebbero tornati vivi a casa, dalle loro famiglie.

«Dovremo scontrarci anche con Brandir e Bossolo» disse a un certo punto Federico rivolgendosi ai suoi amici.

«Già. Nonostante tutto, un po' mi dispiace» affermò Giovanni.

«Anche a me. Però, ora non sono più nostri compagni. Anzi, forse non lo sono mai stati. Credo si preoccupassero per noi, non per il nostro bene, ma solo perché gli servivamo» continuò Giulio.

«Si, forse è vero. Ma è anche vero che, in certi momenti, sembravano davvero preoccupati per noi, e non per interesse» obiettò Federico.

«Potrà anche essere così, ma sta di fatto che ora sono nostri nemici. E poi, se ci avessero considerati amici non ci avrebbero attaccato e cercato di uccidere. E Asdrubaleo non sarebbe morto» esclamò irritata Sonia.

I ragazzi, non sapendo cosa dire, rimasero in silenzio.

Poi Giulio prese la parola: «In sostanza non dobbiamo avere nessuna pietà nei loro confronti perché loro non ne avranno per noi».

«Esatto».

«Sei agguerrita, Sonia» esclamò, con lieve ironia, Giovanni.

«Si, non perdonerò mai Brandir per aver ucciso Asdrubaleo. Io voglio vendicarlo e...».

«La vendetta non porta da nessuna parte, dovresti saperlo» la interruppe Federico.

«Forse. Ma voglio che lui provi tutto il dolore che ho provato io e, se ucciderlo è l'unico modo per farlo, allora non esiterò».

Giulio sussultò a quelle parole e ripensò a ciò che gli avevano detto la sua copia e Caio il Grande.

«Ma ti senti quando parli?» le urlò contro Federico.

La ragazza non gli rispose, ma lui continuò: «Se ti comporti così, allora non sei poi tanto diversa da lui. Non è agendo in questo modo che ti sentirai sollevata. Anzi, dovrai portarti sulla coscienza tutti i danni che provocherà la tua sciocca smania di vendetta!».

Le lacrime cominciarono a rigare il volto di Sonia.

«Piangi pure, non mi importa».

«Fede, smettila» lo guardò storto Giovanni.

«È lei che dice cazzate e poi si mette a piangere, non io».

«Sei un'idiota!» gli urlò contro la ragazza.

«Tu non sei da meno».

«Cazzo, la volete finire? Non avete due anni! Anche tu, Fede! Non l'hai capito che per lei è stato uno shock la morte di Asdrubaleo? E tu, Sonia, le tue parole sono stupide e lo sai anche tu» sbottò Giulio.

I due giovani si guardarono.

Sonia si asciugò le lacrime e, con la testa bassa, disse: «Lo so. Lo so anch'io che non dovrei provare così tanta rabbia nei confronti di Brandir tanto da desiderare di fargli patire atroci sofferenze, ma non riesco ad accettare che, cercando di colpire me, abbia tolto la vita ad Asdrubaleo».

«Lo so, so cosa stai provando in questo momento. Mi dispiace essermi arrabbiato così tanto, ma non voglio che tu commetta qualche sciocchezza, qualche cosa di cui poi potresti pentirti» le si avvicinò Federico abbracciandola.

Giovanni e Giulio si unirono all'abbraccio e rimasero così a lungo, sapendo che un gesto d'affetto poteva dire molto di più che semplici parole.


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