Alleati?
Erano già passati alcuni giorni da quando Giovanni, Federico e Sonia avevano lasciato il palazzo reale di Albadorata. Ognuno di loro aveva poi preso strade diverse per giungere alla meta stabilita.
Giovanni aveva preso il mare insieme a Edoardo il Temerario e la sua ciurma.
Alessandro e Federico avevano proseguito per le campagne, mentre Sonia, Galdor e Coco si erano inoltrati nelle foreste. Lo gnomo aveva poi raggiunto un piccolo bosco protetto dalle montagne e si era ricongiunto con il suo popolo.
Fungoalto era la più grande città degli gnomi dell'Arcobaleno. La sua peculiarità consisteva nel fatto che i funghi, caratteristiche abitazioni del popolo di Coco, erano molto più alti del normale. Proprio per questo motivo la città aveva assunto il nome di Fungoalto.
Foglie colorate e piccoli rami ornavano le case, conferendo all'ambiente un non so che di fantastico.
Coco si era fermato poco, giusto il tempo di raccontare tutto quello che era successo. Era poi subito ripartito insieme a una delegazione di circa venti membri alla volta di Terraprofonda, città in cui avrebbe incontrato gli gnomi della Roccia e avrebbe cercato di convincerli a non rimanere passivi e a combattere contro Enoren.
Nel frattempo, dopo due giorni da quando si erano separati da Coco, Galdor e Sonia erano finalmente arrivati nel luogo in cui si trovavano i folletti, nel luogo in cui, un tempo, aveva abitato anche Asdrubaleo.
La ragazza, osservando ciò che aveva davanti, ripensò alle parole del suo piccolo amico: «Invece noi folletti abbiamo nelle corolle dei fiori, sotto gli ombrelli picchiettati di bianco dei funghi, tra le rocce muscose, fra i rami degli alberi i nostri letti».
Quello che aveva detto era vero. Vedere quel posto e tanti piccoli orecchie appuntite la emozionò tante che, senza accorgersene, cominciò a scenderle qualche lacrima.
Galdor le mise una mano sulla spalla cercando di consolarla, poi le disse di alzare lo sguardo e di guardare davanti a sé. Sonia fece come l'elfo le aveva detto e vide un gruppo di folletti che la osservavano curiosi e che avevano incominciato a fare facce buffe per farla ridere. Essi infatti amavano l'allegria e non volevano che nessuno la perdesse. Sempre felici e con il sorriso era il loro motto. La giovane sorrise ed i folletti applaudirono contenti.
Uno di questi ultimi le si avvicinò e disse: «Su con la vita, giovane amica. Sorridi e vedrai che la vita farà altrettanto».
Sonia si chinò e, istintivamente, abbracciò il folletto.
«So di essere molto attraente ed un grande poeta, ma non mi aspettavo un così rapido successo».
I suoi simili risero divertiti.
Normalmente la ragazza avrebbe risposto male, ma questa volta non lo fece. Si limitò a ridere anche lei.
Galdor prese poi la parola, avendo notato che tra i presenti vi era anche il capo dei folletti.
Dopo aver loro ricordato il favore che dovevano agli elfi, si levò un notevole brusio.
Alcuni erano favorevoli all'intervento, altri invece non ne volevano proprio sapere.
Sonia notò il volto preoccupato di Galdor e, a quel punto, prese coraggio e raccontò la sua avventura fino a quel momento, raccontò di Asdrubaleo e di come fosse morto onorevolmente salvandole la vita.
I folletti rimasero in silenzio, anche dopo che la fanciulla ebbe finito di parlare.
Alcuni di essi si raccolsero intorno a due loro simili che avevano cominciato a piangere sommessamente: erano i genitori di Asdrubaleo.
La giovane umana si avvicinò e porse loro una mano. I due si guardarono esitanti, ma poi salirono sul palmo di essa.
Sonia diede un bacio ad ognuno di loro e disse: «Vostro figlio è stato un grande folletto. Ha sempre combattuto con onore e cercato di aiutare me ed i miei amici. All'inizio, io e lui, non andavamo molto d'accordo, ma poi, non so come, siamo riusciti ad instaurare un forte legame e siamo diventati amici. A lui devo la mia vita, a voi di aver generato un folletto come lui. I-io...». Sentì che presto sarebbe scoppiata a piangere, ma non voleva che ciò succedesse. Non aveva mai versato tante lacrime come in quel periodo, e non voleva che ciò diventasse un'abitudine. Asdrubaleo non avrebbe voluta vederla così.
Si fece forza e sorrise sinceramente ai genitori del suo piccolo amico e a tutti i folletti presenti.
«Non lasciate che la sua morte sia stata vana. Affrontate Enoren con noi e onorate così la memoria del vostro compagno» proseguì Galdor.
A questo punto si levò un grido di approvazione: i genitori di Asdrubaleo abbracciarono Sonia e il capo dei folletti proclamò solennemente il loro aiuto nella guerra contro il Sovrano delle Tenebre.
L'elfo e l'umana furono invitati a fermarsi, mentre delegazioni di piccoli orecchie appuntite partivano per comunicare la notizia ai loro confratelli.
Mentre accadeva tutto ciò, Alessandro e Federico erano giunti nel regno di Felceazzurra.
Dopo aver percorso vaste campagne, caratterizzate tutte dalla costante presenza di una felce azzurra, erano arrivati nella capitale dall'omonimo nome del regno.
All'ingresso di ogni edificio e al centro di ogni aiuola era presente la caratteristica pianta che dava nome al reame di re Gabriele.
Lo stemma reale, neanche a dirlo, era una felce azzurra.
Dopo un'ora di attesa, finalmente i due uomini furono ricevuti dal sovrano.
Re Gabriele era seduto su un trono dorato con finissimi ornamenti azzurri in cui erano incastonati una serie di zaffiri. La corona rispecchiava le caratteristiche del trono.
Il sovrano era poco più vecchio di Alessandro, aveva i capelli castani né troppo scuri né troppo chiari, gli occhi marroncini e un fisico statuario.
«Perdonatemi se vi ho fatto aspettare, ma sono stato impegnato fino a questo momento» disse, facendo in lieve inchino.
«Credo di sapere qual era il tuo impegno» gli rispose divertito il figlio di re Filippo il Saggio.
Il sovrano sogghignò, poi si alzò e andò ad abbracciare Alessandro, lasciando completamente interdetto Federico.
Notando il suo sguardo interrogativo, il principe di Albadorata gli spiegò che lui e re Gabriele erano amici di lunga data e compagni di "avventura".
«Che vuol dire compagni di avventura? Non è come penso io, vero?» chiese il ragazzo.
I due uomini si guardarono e scoppiarono a ridere.
«È come penso io» pensò Federico, sorridendo.
«Tornando alle cose serie, si può sapere perché non vuoi aiutarci nella guerra contro Enoren?» domandò interrogativo Alessandro.
L'altro si incupì e tornò a sedersi sul trono.
«Un po' di tempo fa, abbiamo subito l'attacco da parte di un contingente del Sovrano delle Tenebre. I miei uomini sono stati massacrati, le case distrutte ed i campi incendiati. Le sentinelle avevano avvistato i nostri nemici ed io avevo provveduto a mandare messi nel regno di tuo padre per chiedere aiuto. Ma non è arrivato nessuno, neanche uno straccio di risposta. Ora dimmi, perché io dovrei rischiare la vita dei miei soldati per aiutare chi, a me, soccorso non ha dato?».
Il principe, stupito, rispose: «Mio padre non mi ha parlato di nessun messaggio da parte tua. Conoscendo i miei genitori, non ti avrebbero mai negato un supporto e dovresti saperlo anche tu. E poi, non pensi che i messi possano non essere mai giunti nel nostro regno?».
Re Gabriele rimase in silenzio.
«I nostri regni sono sempre stati alleati, non puoi pensare che se l'avessimo saputo non ti avremmo dato una mano» proseguì Alessandro.
«Forse hai ragione. Mi sono lasciato trascinare da quello che è successo e da stupide voci».
«Una voce può trarre in inganno molto più di quanto si possa pensare. Sapete perché? Perché non si può essere certi della sua veridicità o della sua falsità: il dubbio rimane, ti perseguita, ti logoro e può indurre in errore, può farti compiere azioni sbagliate. Per questo bisogna sempre andare in fondo alle cose, per scoprire la verità» proferì Federico.
Il re lo osservò ammirato e, poi, chiese ad Alessandro se fosse il suo consigliere.
Il giovane ed il principe si guardarono e scoppiarono a ridere. Subito si unì a loro anche il sovrano.
«Sei molto saggio per la tua età, sai?» gli disse quest'ultimo.
«Non è che sono saggio, chiunque arriverebbe ad un simile ragionamento. Piuttosto sei tu ad essere stupido» pensò Federico tra sé e sé.
«Allora, cosa intendi fare?» domandò il figlio di Filippo.
«Questa guerra ci coinvolge tutti, quindi avrete il mio aiuto. Porrò le mie scuse personalmente a tuo padre per avere rifiutato precedentemente».
Prima che Alessandro potesse dire qualcosa, re Gabriele li invitò a fermarsi e a discutere la strategia da adottare contro Enoren nei giorni successivi.
«Ora possiamo dedicarci a qualcosa di meno faticoso. Ho qualche distrazione che fa al caso vostro» sogghignò il sovrano.
«Me lo immagino» bisbigliò il giovane, scuotendo la testa.
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