Al cospetto del re


Un caldo venticello soffiava lungo le pendici del Monte Cherubino.

Tutto sembrava tranquillo e sereno, ma in realtà l'aria era carica di dolore e rancore.

Sonia adagiò Asdrubaleo in una piccola bara.

Tutti coloro che erano riusciti a fuggire dai servitori di Enoren si erano riuniti in silenzio intorno ad essa e ad altre due bare dove erano stati posti i corpi di due membri della ciurma di Edoardo il Temerario, morti nello scontro contro gli orchi.

Dopo una breve preghiera, i tre feretri furono sepolti nel verde prato di Biancofiore.

Giovanni, Giulio e Federico si avvicinarono mesti a Sonia e poi la abbracciarono.

Calde lacrime ricoprivano le sue rosee guance.

La giovane si ritrovò a pensare ai momenti passati insieme al folletto, ai suoi continui scherzi e dispetti, ai loro litigi.

Gli voleva bene, molto bene. Ma non era riuscita a dirglielo.

Federico, come se le avesse letto nel pensiero, le sussurrò: «Lui lo sa. Anche lui ti voleva bene». Le diede un bacio sulla guancia e con una carezza le asciugò le lacrime.

«Mi dispiace interrompervi, ma purtroppo dobbiamo andare. Non so se Brandir e Bossolo ci inseguiranno, ma non possiamo escludere questa eventualità» disse cupo Alessandro.

Mentre gli altri si avviavano verso i carri, Sonia guardò il cumulo in cui era stato sepolto il suo piccolo amico.

«Ti voglio bene. E ti vendicherò» bisbigliò stringendo forte i pugni.

Lasciatisi alle spalle Biancofiore, i presenti si diressero nel luogo in cui era ormeggiata la nave di Edoardo il Temerario con la quale avrebbero raggiunto Albadorata, capitale del regno di Filippo il Saggio e di sua moglie Clotilde.

I quattro giovani non potevano ancora lasciare la Terra dell'Infinito in quanto, come era stato spiegato loro da Galdor, il pugnale di Caio il Grande poteva essere impugnato solo da un terrestre – cosa di cui erano, peraltro, già stati informati dal Grande Mago – e perciò solo uno di loro poteva sconfiggere il Sovrano delle Tenebre.

Coco, che non aveva più proferito una sola parola da quando Asdrubaleo era morto, andava avanti e indietro sulla nave.

Già da un po' stavano navigando lungo il fiume Lestacque e lo gnomo sembrava non riuscire a darsi pace.

«Calmati» gli disse avvicinandosi amichevolmente il principe Alessandro.

Coco sembrò voler dire qualcosa, ma poi ci ripensò.

Sonia, inaspettatamente, lo prese in braccio e gli sussurrò qualcosa nell'orecchio.

Una piccola lacrima bagnò il volto dello gnomo. Poi questi sorrise e affermò: «Mi impegnerò perché una cosa simile non accada mai più. Contate pure su di me».

Alessandro contraccambiò il sorriso e rispose: «Ne sono certo. C'è già troppa sofferenza in questo mondo. Dobbiamo fare di tutto per migliorare la situazione».

«Dobbiamo assolutamente sconfiggere Enoren» continuò Galdor. «Avete l'appoggio di tutto il mio popolo, tranne degli elfi oscuri, si intende».

«Ovviamente anche del mio» esclamò Coco che sembrava aver riacquistato la voglia di parlare.

«Ne sono lieto. Una volta arrivati ad Albadorata informerò mio padre dei recenti avvenimenti e, insieme, metteremo appunto una strategia per sconfiggere il Sovrano delle Tenebre. Credo che potremmo contare anche sull'appoggio dei nani, delle streghe di Valle Nera, dei maghi di Rivablu e di molti altri ancora».

«È già una buona cosa avere molti alleati dalla propria parte» sorrise incoraggiante Giovanni.

«Si, e mi auguro siano tanti quanti spero. L'esercito di Enoren è immenso, per cui è necessario un fronte compatto e altrettanto grande».

«Sono sicuro che sarà così».

«Cambiando discorso, che cosa devo fare esattamente con questo?» chiese Giulio indicando il pugnale di Caio il Grande.

Alessandro, Galdor e Coco si guardarono incerti, poi il primo disse: «Come sai solo un terrestre può utilizzarlo. Visto che sei stato tu a toccarlo per primo spetta a te tenerlo e...».

«Affrontare Enoren» concluse per lui Giulio.

«Si. Ma non preoccuparti, non sarai solo: tutti noi ti aiuteremo».

«Non sono preoccupato. Non vedo l'ora di farla pagare a quel cialtrone di Grande Mago. Sarà una soddisfazione personale sconfiggerlo».

I presenti, tranne i suoi tre amici, lo guardarono straniti.

«Ahah, tranquilli! Lui è sempre così. Quando si propone di fare una cosa, state pur certi che la farà. Poi se si tratta di prendere a calci qualcuno che non gli piace, allora potete essere certi del risultato» esclamò divertito Giovanni.

«Possiamo confermarlo» annuirono Federico e Sonia.

«Tanto peggio per Enoren allora» sorrise lo gnomo.

«Non so se vi rendete conto della situazione. Il Sovrano delle Tenebre non è uno qualunque. Non è così semplice riuscire a sconfiggerlo. In passato ha provocato morte e distruzione e...» tentò di spiegare Galdor, ma fu interrotto dal giovane dai capelli biondi: «So perfettamente che non sarà semplice batterlo. Abbiamo visto tutti che cosa è capace di fare e quanto siano forti i suoi seguaci. Ma non possiamo partire con l'idea di non essere alla sua altezza».

«Sagge parole. Ho visto come combatti, come voi tutti combattete e sono certo che nessuno di voi si arrenderà. Sono certo che continuerete a combattere fino alla fine a differenza, forse, dei seguaci del re di Lumbar. E sapete perché? Perché loro agiscono per ordine e per volere del loro signore, noi invece combattiamo per la pace e per la libertà, per costruire un mondo migliore, per i nostri cari, per le persone che non ci sono più e per quelle che verranno. Noi abbiamo qualcuno o qualcosa per cui lottare, loro no» affermò Alessandro.

«E per l'oro, non dimenticarlo principe» aggiunse Edoardo il Temerario.

«Sono sicuro che non sei così materialista come vuoi far credere».

«Sono un pirata».

«Appunto».

I due uomini si guardarono l'uno negli occhi dell'altro come per dimostrare la veridicità delle loro affermazioni. Ma, in cuor loro, sapevano che solo uno di loro aveva ragione e quella persona era il figlio di Filippo il Saggio.

La traversata procedette senza intoppi. A quanto pareva, Brandir e Bossolo avevano rinunciato a inseguirli.

L'acqua del fiume, cristallina, era calma. Un verde paesaggio si estendeva al di là degli argini lasciando immaginare un mondo tranquillo e sereno, un mondo senza il male.

Due colonne in marmo bianco si ergevano imponenti alle estremità del fiume: era quello l'inizio del regno di Filippo il Saggio. Il territorio circostante, infatti, faceva parte di un regno alleato a quello del padre di Alessandro che era il re dei re.

Una lieve brezza temperava la calura del giorno. Gli uccellini cinguettavano felici e volavano alti nel cielo. Le cicale frinivano e i pesci saltavano allegri nell'acqua.

Sembrava una giornata come tante. Tutto pareva limpido e sereno, ma in realtà una nera minaccia incombeva. A est il cielo era terso e, di giorno in giorno, diventava sempre più cupo, segno del rafforzamento continuo di Enoren.

Erano passati già due giorni da quando la compagnia aveva intrapreso la navigazione del fiume Lestacque.

La nave attraccò al porto di Ondaforte, una piccola cittadina poco distante dalla capitale Albadorata.

Due carri erano già pronti per portare i passeggeri al cospetto del re.

Edoardo il Temerario, dopo aver dato alcune indicazioni alla sua ciurma, insieme a due sue uomini salì sul carro insieme ad Alessandro e agli altri suoi compagni.

Il viaggio fu breve: in poco meno di mezzora raggiunsero Albadorata.

La città era imponente. Alte mura in pietra la circondavano e quattro torri di vedetta erano costruite sulla sua sommità. Grandi feritoie lasciavano intravedere le bocche dei cannoni.

Al di là delle mura vi erano le case dei cittadini e altre due torri che, in passato, erano state edificate per un'inutile ostentazione di ricchezza da parte di due famiglie rivali che basavano la loro forza nella costruzione del maggior numero possibile di edifici e nell'altezza delle loro torri.

Oltre le abitazioni dei singoli cittadini, su una piccola altura, svettava il palazzo reale.

Sopra il portone era stato posto lo stemma reale: vi erano rappresentate tre spade incrociate al centro delle quali vi era un sole con la corona d'alloro.

Entrati ad Albadorata i carri furono circondati da una folla festante per il ritorno del principe.

Alessandro si mise in piedi e cominciò a salutare sorridente i presenti.

I quattro giovani pensarono che egli fosse davvero benvoluto dai suoi concittadini.

Raggiunto con un po' di fatica il palazzo reale, furono accolti dal capo delle guardie, il quale accompagnò loro al cospetto dei sovrani.

Entrati nella reggia, tutti tranne Alessandro, guardarono ammirati la bellezza dell'interno, i suoi ornamenti raffinati e la sua ricchezza.

La guardia aprì una porta e annunciò al re e alla regina l'arrivo del principe con i suoi compagni.

Filippo gli fece cenno di farli entrare.

La sala del trono era ancora più bella di quanto si aspettassero. Alti soffitti erano stati dipinti con immagini rappresentanti le imprese dei membri della famiglia reale. Le finestre erano ornate con leggeri finimenti d'oro. Un lampadario di cristallo rifletteva la luce e rendeva ancora più luminosa la stanza.

Al fondo della sala vi erano due troni su cui sedevano rispettivamente Filippo il Saggio e sua moglie Clotilde. Entrambi portavano una corona formata da un cerchio brunito, cordonato ai bordi e con al centro una gemma di colore rosso.

Il re era un uomo di alta statura, dai capelli e dalla folta barba castana. Aveva gli occhi scuri ed era robusto. Clotilde aveva lunghi capelli mossi castano chiaro, occhi color nocciola e un naso leggermente rivolto all'insù. Era poco più bassa del marito.

Alessandro assomigliava molto ai suoi genitori: dal padre aveva preso il colore dei capelli, dalla madre quello degli occhi. Il suo viso era, però, più delicato di quello di Filippo e non aveva la barba.

I sovrani indossavano, paradossalmente, abiti semplici rispetto alla sontuosità del palazzo.

«Bentornato, figlio mio» disse il sovrano.

Alessandro si inchinò – cosa che fecero anche i suoi compagni – e presentò coloro che lo accompagnavano.

«E così voi siete i quattro giovani della profezia. È un piacere avervi qui nel mio palazzo».

«Il piacere è nostro, vostra maestà» proferì Federico facendo un lieve inchino.

«Ebbene, vorrei sentire tutto quello che vi è successo fino a questo momento».

Il principe raccontò minuziosamente tutto ciò che era capitato e ciò che aveva scoperto su Enoren stando ai suoi ordini per un certo tempo.

A un cenno di Filippo, Giulio estrasse il pugnale di Caio il Grande e glielo consegnò.

«Si, è proprio lui. Ottimo lavoro» esclamò riconsegnando l'arma al giovane.

«Padre, come procedono i preparativi per la guerra contro il Sovrano delle Tenebre?» domandò impaziente Alessandro.

Clotilde guardò preoccupata il marito e poi sospirò.

«Purtroppo le cose non vanno bene come speravo. I nostri alleati sono inferiori rispetto al previsto. Molti di loro hanno rifiutati di appoggiarci. Credono che questo conflitto non li riguardi».

«Come? Perché? Eppure dovrebbero conoscere la gravità della situazione. Dovrebbero sapere che cosa succederà se Enoren avrà il sopravvento».

«Sire, chi non vuole darvi una mano nella guerra?» chiese timidamente Coco.

«Troppi: dagli gnomi della Roccia ai folletti agli uomini del regno di Felceazzurra e di Pioggialenta».

«Andrò dagli gnomi della Roccia e, con l'aiuto del mio popolo, li convincerò ad aiutarvi».

«Allora ti auguro tutta la pazienza e la fortuna possibile».

«Non temete sire, riuscirò nel mio intento. Domani partirò e quando tornerò sarà per annunciarvi l'appoggio di tutti gli gnomi».

«Ti ringrazio, e prego che tu possa riuscire in questo intento. Ti farò preparare provviste e una scorta per il viaggio».

«Grazie, vostra maestà».

«Bravo Coco» lo elogiò, bisbigliando, Sonia.

«Per quanto riguarda i folletti, mi recherò personalmente da loro. I nostri popoli sono legati da una salda amicizia e sono sicuro che non ci rifiuteranno un aiuto» disse Galdor.

«Re Thalion ha già provato a convincerli, ma purtroppo non ha avuto successo».

«Non dovete preoccuparvi, maestà. Forse c'è una cosa che il re non ricorda: i folletti ci devono un favore».

«Un favore?».

«Esattamente. Non potranno rifiutarsi di rispettare un'antica promessa».

«Spero che tu abbia ragione».

«Non dubitatene. Tornerò qui dopo aver ottenuto il loro appoggio».

«Avrai tutto il mio riconoscimento per questo. Farò preparare una scorta anche per te».

«Grazie, sire».

«Potrei... potrei andare anch'io con Galdor?» chiese, un po' imbarazzata, Sonia.

Tutti si voltarono stupiti a guardarla.

«Perché vuoi andare con lui?».

«Un folletto mio amico è morto per salvarmi. Voglio andare dal suo popolo per... Ecco... Per...».

«Puoi andare con Galdor» le sorrise il re.

«G-grazie!».

«Anche noi vogliamo andare. Non vogliamo rimanere qui con le mani in mano!» esclamò Giovanni.

«Non urlare così. Sei al cospetto di due sovrani» gli sussurrò all'orecchio Federico.

«Credo di avere la soluzione che fa per voi» affermò la regina Clotilde.

Tutti si voltarono, in attesa, verso di lei.

«Ebbene, tu Federico andrai con mio figlio nel regno di Felceazzurra, mentre tu Giovanni andrai con Edoardo il Temerario nel regno di Pioggialenta e cercherete di convincere i rispettivi sovrani a non negarci il loro aiuto. Credo non sarà troppo difficile per te, Edoardo, questo compito: da quello che so lì ci sono importanti basi pirata ed il re, in passato, era un bucaniere. Per cui mi aspetto che tu sappia portare a termine egregiamente questo compito. Altrimenti i tuoi debiti con noi potrebbero ulteriormente salire».

«Non temete vostra maestà. Porterò a compimento ciò che mi avete chiesto. In cambio, però, i miei debiti saranno annullati».

«Va bene, ti concedo questo premio».

«Non vi deluderò» sogghignò il pirata.

«Io invece? Perché non mi avete nominato?» domandò infastidito Giulio.

Il re, capendo il progetto della moglie, disse: «Tu rimarrai qui. Andrai nella stanza dell'addestramento con un grande guerriero ed aumenterai le tue abilità di combattente. Tu hai il pugnale di Caio il Grande, pertanto devi essere forte a sufficienza per affrontare Enoren».

«Ma, non potrei...».

«Niente ma. Vedrai, dopo quest'addestramento, diventerai un vero e proprio guerriero».

«Non potevo chiedere di meglio. Era proprio il sogno della mia vita» affermò ironicamente.

«E lo realizzerai» sorrise furbamente Filippo.

«D'accordo» si arrese il giovane dai capelli biondi.

«Bene. Visto che tutto è deciso, potete andare. Immagino sarete stanchi».

Detto questo, i presenti si accomiatarono.

Nella sala del trono rimasero solo il re, la regina e il principe.


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