15 - Come Orfeo e Euridice

“Quando non sarai più parte di me, ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.”
WILLIAM SHAKESPEARE

RAYLEE

«Fa' attenzione a dove metti i piedi». 
«Ti prego, finirò per cadere» con la punta delle décolleté, tasto qua e là il pavimento mentre le calde dita del medico mi sigillano le palpebre sul fondo, privandomi della vista. 
«Tu fidati di me, non accadrà nulla».
Continuo a camminare a piccoli passi seguendo le sue indicazioni, ogni dettame soffiato dolcemente a un orecchio mi solletica il collo, accalorandomi le guance come il più procace degli ordini. Il mio corpo si risveglia dal torpore, indotto dalle nordiche correnti che mi hanno circuito una volta scesa dalla macchina. Il non sapere con esattezza dove mi stia conducendo, né cosa abbia in serbo per me, mi tiene sulle spine e alimenta un’eccitazione bruciante che mi scalda il sangue nelle vene.
«Ci siamo quasi» con una mano sugli occhi e l’altra delicatamente adagiata sul fianco destro mi incita a ricoprire l’ultimo metro, quando d’un tratto sento il fruscio di una vetrata che scorre sul telaio. L’avvolgente effluvio del caramello salato manda in estasi il mio olfatto, mentre i suoi polpastrelli si conficcano con tenacia nella tenera carne del bacino per trattenermi sul posto.

Colta di sorpresa da quel fortuito arresto, sobbalzo all’indietro. I miei passi incespicano gli uni sugli altri finché non urto contro il suo solido torace.
«Pronta?» la sua voce, calda e profonda, gli percuote il petto, le vibrazioni ridondano lungo la mia schiena fino a scuotermi le membra dalle ossa.
Ignoro quanto siano sodi i suoi pettorali e deglutisco la saliva che si va sempre più raccogliendo nella bocca, malgrado l’emozione mi serri la gola, poi con il capo accenno a un debole segno d’assenso.
Quando la mano di Hale scivola via dal mio viso, apro lentamente gli occhi.
Per quanto ci abbia vagheggiato sopra, la mia mente non è equipaggiata a sostenere ciò che Chris ha organizzato. Nella stanza l'oscurità regna sovrana, se non fosse per le candele profumate posizionate in un ampio semicerchio attorno a un piccolo tavolo, già imbandito esclusivamente per noi due. Sul fondo enormi vetrate costellano tutta la parete per svettare dal pavimento fin sopra il soffitto e concederci la vista su tutta la città, ammantata dalla notte.  

«Chris, è...» le parole mi muoiono in gola, al mondo non esistono aggettivi capaci di descrivere la magnificenza di ciò che ho davanti «straordinario». È vero, non ho memoria di nulla, tuttavia sono certa che mai nessuno abbia fatto una cosa tanto romantica per me.
Nel tenue bagliore dei ceri, i suoi occhi catturano i miei mentre con il pollice e l’indice sotto il mio mento, mi solleva la testa per garantirsi la totale visione del mio viso arrossato dell’emozione «non più di ciò che vedo io in questo momento». La sua mano vellutata percorre la morbida curva della mia spalla per scendere con fare accorto sul mio braccio, fino a intrecciare le dita alle mie. Il crescente desiderio di posare le mie labbra sulle sue mi fa mancare l’aria, come se le valvole del cuore non si chiudessero più e il sangue mi ritornasse indietro nei polmoni.
«Ora però devi mangiare».

Tenendoci per mano, sfiliamo insieme nell’enorme stanzone vuoto, in cui il fruscio della mia gonna e il calpestio dei suoi leggeri, morbidi passi risuonano forti, paragonabili a un clangore di tempesta. Giunti al tavolo, Chris mi aiuta a disfarmi del cappotto per poi appenderlo allo schienale della sedia e scostarla come il più galante degli uomini. «Madame…», tende la mano invitandomi a prendere posto. È solo dopo essermi accomodata che si sfila il soprabito e lo ripiega sulla spalliera. Il completo nero di alta sartoria gli fascia forbitamente la figura asciutta, esaltando la tonicità e la perfetta simmetria dei suoi muscoli che, pur non essendo turgidi come quelli di un boxeur, gli conferiscono un'aura indomita e autorevole.

«Allora…Bon appètit, è così che si dice no?».
Lui abbassa gli occhi sul suo piatto e sorride maliardo da un lato, afferrando tra le dita la forchetta «stai cercando di stupirmi, Raylee?».
È proprio così, credendo di apparire più interessante ai suoi occhi, ho passato l’intera mattinata con le cuffiette infilate nelle orecchie, sperando mi imparare qualche parola, ma purtroppo l’idea di passare del tempo con lui ha mandato in panne ogni neurone, rendendo il mio cervello poco incline alla riuscita del mia bislacca strategia di seduzione. Una cosa è certa, se voglio fare colpo su di lui dovrò pensare a un altro piano, quale però ancora non sono riuscita a scoprirlo. Puntare sull'aspetto fisico sarebbe  troppo azzardato, se non un tremendo errore, in fondo lui può avere tutte le donne che vuole, sicuramente più aggraziate e avvenenti della sottoscritta. Non sono alla sua portata, siamo due note dissonanti e di questo ormai ne sono più che cosciente, eppure per qualche assurdo motivo siamo quì, seduti uno di fronte all'altra a spogliarci con gli occhi. 

«Avrei voluto sorprenderti almeno la metà di quanto tu abbia fatto con me», afferro le posate in acciaio e picchiando i rebbi della forchetta sul fondo di porcellana, inizio a sminuzzare le verdure grigliate in piccoli pezzi. Se ho intenzione di carpire qualche dettaglio in più sulla sua vita privata, questo è il momento giusto per porre le mie domande, «non mi aspettavo che fossi francese».
«Lo sono per metà, mia madre era di Bordeaux».
I miei occhi scattano sul suo viso e il cuore mi sprofonda nello stomaco. Sentirlo parlare di sua madre avvalendosi di un tempo passato mi procura una fitta di dolore, il senso di colpa per aver forse riaperto una ferita ancora fresca mi si annida nel petto, mozzandomi il respiro. 

Lui nota il mio turbamento, tanto che subito seguita per precisare. «Non è morta se è quello che pensi, semplicemente non fa parte della mia vita», stringe lo stelo sottile del calice tra le prime due dita e si concede un sorso di vino di rosso, le cui tonalità scarlatte tanto mi ricordano quelle del sangue. Quando avvicina l'orlo alle labbra, la luce tenue delle candele si riflette sulle faccette di cristallo che intarsiano il bicchiere, il quale brilla sulla tavola come un prisma dai sette colori dell’arcobaleno.  «A differenza di mio padre, la cui presenza invece è fin troppo…ingombrante» il suo volto è scavato in linee dure, quelle di un uomo che sta ripercorrendo un sentiero periglioso, odiato, dal quale però non riesce a staccarsi del tutto. 

Mi sporgo in avanti per racchiudere nel palmo della mano la mia bevanda, che a differenza sua non è altro che acqua «invadente?».
«Il tuo è un eufemismo», armato di un sorrisetto strafottente, puntella il gomito sul tavolo e con disinvoltura fa roteare il liquido all'interno del calice «la sua natura non concede libero arbitrio, lui è giudice e boia. La sua magnanimità, la sua filantropia non è altro che una sordida facciata dietro cui si cela un uomo meschino e autoritario, altezzoso a tal punto da ripudiare i propri figli, o almeno quelli che non gli fanno da lacchè». La sua intenzione è quella di metterci una spruzzata di bonaria ironia, ma nelle sue parole è sepolta una lama di antico rancore. 
Forse è stato proprio quel vetusto risentimento nei confronti suo padre a corrompere una parte della sua anima e a forgiare la belva oscura e feroce che spesso vedo aggirarsi nei suoi occhi, è la sua risposta ai torti, ai soprusi subiti, al tradimento da parte di colui che invece di tappargli le ali avrebbe dovuto solo amarlo, accettarlo. 

«Non voleva che diventassi medico?». 
Christopher impedisce dall'amarezza del suo passato di blandirlo oltre, così si tampona elegantemente le labbra per ripulirle dai saporiti succhi del filetto, che le rendono lucide e, con l'indifferenza di chi ormai ne ha vista di acqua passare sotto i ponti, mi corregge: «non voleva diventassi migliore di lui». 
Per quanto tenti di vellutare le sue parole, ne percepisco l'astio, il veleno nato dall'odio, ormai irrimediabilmente ancorato al suo cuore, che non gli permette di lasciarsi il passato alle spalle, piuttosto lo fa riemergere per trascinarlo in un limbo di eterno supplizio, in cui non esistono vie di fuga. 

«Ma ora basta parlare della mia famiglia, hai finito di mangiare?» punta gli occhi felini sull'ultima fettina di arrosto rimasta nel mio piatto. 
Gonfiando le guance, guardo il pezzo di carne cosparso di salsa alle carote, poi torno di nuovo sul suo viso, «se continuassi credo che scoppierei».
«Bene, allora vieni. Ho una sorpresa per te».
«Un’altra? Se continui così, non avrai più carte da giocare».

«Ma chère…», lo osservo alzarsi e aggirare il tavolo, mentre intrappola il labbro inferiore tra gli incisi, quasi a voler reprimere un ghigno seducente che arriva comunque a distendergli la bocca contornata dalla barba fresca di rasatura. Il petto mi si infuoca quando con il dorso dell’indice mi porta una ciocca di capelli oltre la spalla e si china per sussurrare di nuovo al mio orecchio. Nel suo profumo la mia ragione si perde e io socchiudo gli occhi, lasciando che il suo respiro mi vezzeggi il piccolo lobo «non puoi nemmeno immaginare in quanti modi la mia mente saprebbe sorprenderti». 
La lava liquida nelle sue iridi divora ogni pagliuzza dorata rendendo il suo sguardo incandescente al pari del ferro appena battuto, come tale sembra marchiarmi la pelle ogni qualvolta si posa su di me per soffermarsi impudico sulle curve voluttuose del mio corpo. 

Attratta come le api dal miele, mi lascio condurre nella penombra verso un telescopio di ultimissima generazione, l'obiettivo grande quasi quanto un pallone da calcio punta oltre lo spesso vetro della finestra. 
«E questo?» facendo attenzione a non danneggiarlo, con la punta delle dita vellico la struttura fulgida del tubo ottico, così tanto tirata a lucido da potercisi specchiare. 
«Sapevi che qui a Chicago è impossibile vedere le stelle? L’eccesso di luci artificiali crea una sorta di cappa luminosa che ci impedisce di ammirarle» Chris avvicina il viso al piccolo occhiello di gomma che si trova a una delle due estremità dell’enorme tubolare e socchiudendo una palpebra vi sbircia all’interno.

Nel frattempo le mani scienti agguantano due valvole, un paio di  spanne più in basso, e le ruotano finché soddisfatto non sorride, mettendo in mostra la candida dentatura. «Tuttavia, se ti trovassi in un punto più alto rispetto ad essa…», con il palmo della mano rivolto verso l’alto, mi invita a prendere il suo posto.
In preda ad un’intensa emozione che mi scalda il petto, mi umetto le labbra facendovi scivolare sopra la lingua, stringo le falangi attorno al telescopio e lentamente replico i movimenti del medico chinandomi su di esso, i lunghi capelli ricadono dalle spalle coprendomi il volto. 

Nel cielo più nero che abbia mai visto, le stelle brillano come migliaia di lustrini. Il baluginio evanescente che le attornia sembra affievolirsi per poi sfidare le tenebre, aumentando nuovamente la sua intensità. Anche se lontane anni luce dalla Terra, ho la sensazione che, se tendessi una mano, riuscirei a sfiorarle.
Quattro stelle sono disposte ordinate e formano una figura geometrica dagli angoli luminosi. Tutte, però, sono volte a una quinta stella, un po' più distante, che possiede un'intensità maggiore, il loro bagliore è un unico palpito regolato da un polso comune.

«Quella che vedi è la costellazione della Lira» Christopher si avvicina alle mie spalle  e asseragliata a lui, contro il suo petto, sento le sue dita tracciarmi i lombi per poi affondare con conturbante dissolutezza nel fragile osso del bacino, affinché il mio corpo combaci perfettamente con il suo. Le nostre curve si rivelano un incastro perfetto come i denti di una cerniera, come due tasselli di uno stesso puzzle a lungo dispersi e che, solo in quel momento, sembrano aver trovato un senso che ne giustifichi l'esistenza: le nostre forme sono nate per completarsi a vicenda. Il mio cuore picchia grandi colpi sordi contro le costole, tanto forti che parono incrinarle dolorosamente, il suo profumo erotico mi priva di ogni nerbo. 

«Si racconta che fu Ermes a costruirla, tuttavia arrivò tra le mani di Orfeo grazie a suo padre», vociferò piano con le labbra appoggiate sul mio collo, appena sotto il tenero lobo, inspirando il fresco profumo della mia pelle. «Il dio del sole, Apollo». Dal lato opposto, il suo palmo risale lungo il profilo del mio braccio per poi ridisegnare il piccolo monte della spalla. Armato di calcolata lentezza, studiata per fendermi il respiro e sfibrarmi persino l’anima, scivola sulla mia gola e con il pollice segue la linea armonica della mia mascella, fiero del modo in cui il mio corpo risponde alle sue carezze. Le sue dita sono magma a contatto con la mia pelle. 

Con gli zigomi ancora arrossati e le palpebre suggellate, reclino la testa e adagio la nuca contro il suo petto. «Cosa accadde?» lo esorto a continuare il suo racconto con voce bassa e affaticata, quasi abbia la febbre.
Sono in trappola, completamente irretita dalla sua baliosa vicinanza, dal modo in cui continua a sfiorarmi nei punti più sensibili; senza alcun pudore, gli darei libero accesso al mio corpo per fare di me quanto più gli aggrada. Se lo volesse, potrebbe seviziarmi con la sua folle libidine, lasciare uscire quella belva famelica, che scalpita e supplica libertà oltre i cancelli della ragione, per banchettare sulla mia carne innocente.

Soggiogata dall’effetto vizioso delle sue carezze, io non mi opporrei, eppure lui, conscio del mio eloquente annebbiamento, si limita a parlare tra i miei capelli. «Il mito narra di Orfeo e del suo amore per Euridice. Quando la ninfa morì, dopo essere stata morsa al tallone da un rettile, il giovane musicista, distrutto dal dolore, decise di recarsi nel regno degli inferi per riaverla. Così raggiunse le sponde dello Stige e si presentò al cospetto di Persefone e Ade, i signori dell’oltretomba». A ogni parola, la barba morbida mi solletica una tempia facendomi increspare la pelle delle braccia dal piacere. «Per convincere i due sovrani, Orfeo intonò un canto d’amore e fu proprio grazie a esso e al dolce suono della sua lira che riuscì a far breccia nei loro cuori. Al musicista sarebbe stata data la possibilità di continuare a vivere al fianco di sua moglie, ma a un unico patto: lui avrebbe aperto la strada, lei lo avrebbe seguito qualche passo più indietro, e Orfeo non si sarebbe mai dovuto girare per guardala, altrimenti Euridice sarebbe tornata per sempre tra le ombre dei defunti».

Rapita dal suo discorso, ruoto tra le sue braccia per voltarmi e tornare a perdermi nelle sue iridi ipnotiche  «ho la vaga sensazione che non ci sia un lieto fine al termine di questa storia».
Con un braccio mi avvolge il girovita, così minuto e fragile in quella gabbia di austera virilità, e io adagio delicatamente le mani sul suo torace constatando quanto sia duro.

La procace melodia di una risata bassa e sensuale accompagna il suo timbro caldo, concupiscente. «Infatti. Sembra che nella risalita, mentre i due amanti erano quasi arrivati alla luce, Orfeo non resistette alla tentazione e si voltò per controllare che la sua amata fosse veramente con lui. Nel tempo di un attimo Euridice scomparve per sempre nell’abisso. Distrutto e impietrito, l’uomo vagò per la terra, sublimando nel canto un passato che non poteva più tornare. Continuava a emozionare, sì, ma rifiutava la vita e l’amore delle altre donne». Chris sospira, quasi rammaricato dal suo stesso racconto, mentre lungo la linea della schiena i suoi polpastrelli mi sfiorano con un soave quanto tortuoso andirivieni. «Fu solo al momento della sua morte che riuscì a tornare nelle braccia della sua amata, l’anima di Orfeo trovò la pace tanto anelata e le ninfe incastonarono la lira nella volta celeste come simbolo di amore e continua ricerca». 

Sotto il tenue scintillio delle stelle, sollevo la testa all’indietro e sostengo il suo sguardo. L’immagine delle sue mani perfette e possenti che fanno a brandelli il mio vestito per rendermi schiava delle sue carezze lascive mi scalda improvvisamente il basso ventre, tuttavia mi impongo un autocontrollo e un pudore che vacilla a causa delle disdicevoli fantasie nella mia testa. Dopo quel breve sogno a occhi aperti ho voglia di recidere del tutto il filo che alimenta i miei neuroni al fine di lasciarmi guidare da quelle pulsioni carnali. E sebbene, in questo momento, lui mi stia parlando, la mia mente non connette; seguo solo i movimenti sensuali delle sue labbra e il modo in cui la sua lingua vezzeggia le parole, proprio come vorrei che facesse con il mio seno gonfio e sensibile. Sbatto le palpebre di nuovo sotto l'effetto devastante, che la sua vicinanza, mi sta creando.

«È una storia triste» seppur avvertendo la gola dolorante a causa delle forti pulsazioni provenienti dal petto, non posso trattenermi dal commentare.
«Dipende dai punti di vista» accortosi del mio batticuore, il medico lascia che un ghigno adescante giochi sulle sue labbra, i suoi occhi si smarriscono nelle mie iridi assuefatte dal suo sortilegio. «Non guardare il finale ma presta attenzione al viaggio, al percorso, al coraggio e alla forza d’animo di un uomo che per la sua donna ha sfidato i limiti dell’essere umano, ha combattuto la morte e il conseguente oblio, seppur per un breve attimo».

«E tu…tu lo faresti?» ansimo accaldata dalla libidine. Con le parole mi riferisco al viaggio intrapreso da Orfeo, ma la mia mente intende tutt'altro: il pensiero del bel dottore completamente nudo, sopra di me, mentre mi conduce sui sentieri oscuri della perdizione mi scioglie le viscere, a tal punto da instillare in queste poche sillabe un’impudica equivocità. «Saresti disposto a scendere all’inferno per la donna che ami?». Ogni freno inibitorio si dissolve in un battito di ciglia quando Christopher permette alle mie esili braccia di avvolgergli il collo, il suo respiro si infittisce pesantemente.

Sebbene, ormai, siamo avvinghiati da diversi minuti, è la prima volta che il suo corpo reagisce in modo eloquente alla mia vicinanza. Siamo così vicini che posso sentire chiaramente la sua durezza crescere di secondo in secondo, un leggero sudorino mi avvolge la nuca. Fino ad ora avrei potuto dubitare delle sue reali intenzioni, benché le sue carezze non siano neanche lontanamente imputabili a due amici, o ancora meglio ad un medico e alla sua paziente, tuttavia la sua risposta è così flagrante da instillare nel mio petto una baldanzosa determinazione che mi spinge a prendere l’iniziativa. Circondandogli la nuca con le mani, infilo le dita tra i suoi capelli, soffici e setosi come li avevo sempre immaginati. 

«Oh, petit nymphe» Chris si sporse verso il mio viso scarlatto, tanto da far sfiorare la punta dei nostri nasi, «non credevo che fossi così pura e innocente».
Una conturbante sensazione mi si annida nella pancia, quando la sua bocca si avvicina alla mia, la quale istintivamente si dischiuse, pronta a servirlo e a donargli la mia anima come la più devota delle creature dinanzi al suo Dio.
«Per la donna che amo, io porterei l’inferno su questa terra».
Le sue labbra morbide sfiorano le mie, assorbendo il mio respiro lento, carico del bisogno struggente di sentirle con maggior prorompenza.

Con gli occhi chiusi e la bocca protesa verso la sua, sono sul punto di assaporarle, di varcare quel confine proibito dal quale farò ritorno solo con la mia libido saziata a dovere, quando sento il calore disperdersi improvvisamente laddove erano posati i suoi palmi.
«Guarda Raylee, una stella cadente».

Sbatto le ciglia sorpresa e confusa per il cambio repentino di atmosfera. La sua mano mi incita a voltarmi dove ha visto la luminescenza in cielo, ma poco prima di girarmi noto spuntare sulle sue labbra perfette un sorriso diabolico, come se si diverta a farmi impazzire di desiderio per poi lasciarmi a bocca asciutta.
«Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio».

La stranezza è che, in questo frangente, il mio unico desiderio non è di ritrovare me stessa o di essere una buona madre per il piccolo esserino che si sta formando nel mio ventre, no,  desidero solo che il bellissimo e affascinante uomo che mi sta abbracciando non smetta neanche un secondo di sedurmi.
Sento il suo sguardo infuocato su di me, mentre io chiusi gli occhi e desidero con tutto il cuore che rompa la diga di perbenismo e galanteria per farmi sua in ogni modo perverso e inimmaginabile.

Qualcosa in me non va come al solito, anche se non ricordo niente della vecchia "me", di una cosa sono certa, questa smania, questa lussuria non mi appartengono, allo stesso tempo sento che potrei implodere se non soddisfo questa fame.
«Adesso è meglio se…». 
Mi volto nella speranza che mi voglia portare a casa sua. 
«Ti riporto al tuo appartamento» con uno sguardo fugace all'orologio sul polso continua «si è fatto tardi, domani ho un intervento»

Dopo essere tornati al tavolo e aver indossato i nostri cappotti, a malincuore, lo seguo silenziosamente verso le porte dell'ascensore, le cui bordature metalliche le fanno risaltare dal colore avorio delle pareti. Vinta dalla delusione, mi tengo a pochi passi più indietro per non mostrargli gli broncio che mi arriccia le labbra. Per la seconda volta questa sera ho pensato che potesse baciarmi, chetare quella brama ardente capace di fendermi le gambe e turbarmi il cuore, invece me ne dovrò tornare a casa con lo stesso formicolio che mi sevizia il centro delle cosce, se non più intenso.
Ho ben avvertito la voluttà che deflagra nelle sue vene ogni qualvolta i nostri corpi entrano in contatto eppure, a differenza mia, sembra in grado di gestirla, di ammansirla come se sia una cosa da niente. Vorrei sapere qual'è il suo segreto, cosicché anch'io possa dominarla.

«Chris» lo chiamo mantenendo lo sguardo basso sull'orlo del soprabito, che gli ciondola lungo le gambe a ogni passo. Il medico si ferma sul posto e, infilandosi ambe le mani nelle tasche, ruota il busto nella mia direzione, attendendo le mie parole. 
Non so con esattezza cosa dirgli, in realtà voglio solamente prolungare di qualche minuto la nostra serata. Non voglio tornare a casa e soprattutto non voglio ancora allontanarmi da lui, non sono pronta. Così sciolgo la lingua dando voce al primo al primo interrogativo logico che la mia mente riesce a confezionare, pur di sottrargli un altro po' del suo tempo: «hai espresso il tuo desiderio?».
Un torbido riflesso adombra le iridi ambrate, nonostante si disperda subito, proprio come il fumo di una sigaretta: «io non ho bisogno di affidarmi a una stella, né a qualsiasi Dio, ciò che voglio me lo prendo da solo, ad ogni costo».

       
       
   

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