11 - Live or Die

Le ossa si rompono, gli organi cedono, la pelle si lacera. Possiamo ricucire la pelle e riparare il danno, alleviare il dolore. Ma quando la vita va in pezzi, quando noi andiamo in pezzi, non c’è una scienza, non ci sono regole scritte, possiamo solo camminare a tentoni.
Grey's Anatomy

ALEX

Da un mese e mezzo ho perso il controllo di me stesso e della mia vita. Guidato unicamente da una rabbia fuorviante e una malsana apatia, non riesco a razionalizzare niente di quanto avvenie attorno a me. Ogni cosa sembra lontana anni luce dalla mia persona, nulla pare tangermi come se ciò che accade non mi riguardi, poiché da quando Eleonor è morta niente ormai ha più importanza.
Dal momento che lei non c'è più vivere o morire per me non ha differenza, per cui tanto vale dare libero sfogo a quella vorace bramosia scarlatta che mi rende, per molti aspetti, simile ai mostri che caccio. Ho bisogno di uccidere, ancora e ancora, di abbeverare con il sangue putrido dei miei nemici la fiera selvaggia e spietata, ormai libera da qualsiasi vincolo, che risiede dentro di me e rende di fango la mia coscienza per placare il lacerante tormento della mia anima.

«Che cazzo ti è preso lì fuori?» lo sguardo artico di Matt cattura il mio quando le sue dita, dure e irriverenti, mi agguantano il polso arrestando il mio bizzoso incedere «stavi quasi per farti uccidere!».
«Quanto sei drammatico, sta' tranquillo…rilassati» sbuffo al limite della pazienza. Non sopporto più le sue continue paternali, ogni cosa faccia è pronto a biasimarla: troppo sadico, troppo avventato o troppo distratto dice, mentre io sono semplicemente stanco. Stanco delle sue critiche, del peso del mondo sulle mie spalle, del mio lavoro…della vita. Stanco di ogni cosa, persino di me stesso. Voglio rannicchiarmi sul fondo di quell'abisso da cui per anni ho tentato di fuggire, dove non vi è più alcuna speranza di salvezza bensì solo fredda oscurità e luttuoso silenzio. Ove la mia anima potrà finalmente trovato la pace.
«Rilassarmi?» reitera con un sorriso di scherno ad effigergli le labbra in completo disappunto  «Cristo, sei un cazzo di kamikaze».
«Cosa?» trasalisco e con uno strattone deciso mi libero  brutalmente della sua mano. 
«Ma ti sei visto?».
Conscio di aver toccato il fondo, quello vero da cui difficilmente ci si rialza, ho valicato ogni limite, ogni regola e principio morale, da sempre cardini della mia esistenza, non pensando alle disastrose conseguenze per il semplice fatto che delle ripercussioni non mi importa un cazzo: la farò franca? Bene. Morirò perché troppo irruento o precipitoso? Bene lo stesso. La mia vita ormai non conta più nulla, se si stroncasse in questo preciso istante per me non cambierebbe niente, dopotutto io sono già morto da un mese e mezzo.
Frattanto che il mio labile autocontrollo mi sta abbandonando, in un esplicito gesto di sprezzo roteo gli occhi e distolgo lo sguardo dalla sua espressione sussiegosa per virare la mia attenzione in direzione del cottage «Smettila, avevo tutto sotto controllo». Sebbene il timbro mesto della mia voce non lascia trasparire nessuna delle abiette emozioni che si agitano nel mio petto, tuttavia i movimenti conciati e irosi del mio corpo tradiscono quest'apparente e menzognera pacatezza e ogni sua sfumatura. Con la mia ormai consueta freddezza riprendo a camminare sul grande viale lastricato che si dipana tra il fregio di olmi, denudati del loro fogliame dalle rigide correnti novembrine.
«Davvero? Quel fottuto Ghoul stava per farti fuori».
«Mi sembra che io sia ancora qui a discutere con te, no?» scrollo una spalla non curante del pericolo corso.  «Anzi...sai cosa?» di colpo libero la schiena dal consistente peso di armi che trasporto da un solo lato per lasciarlo ricadere a terra e arresto la marcia in maniera talmente brusca che per poco Matt non urta il solido torace contro la mia schiena «forse sarebbe stato meglio se mi avesse smembrato, almeno non sarei stato costretto a sentire queste stronzate».

Una leggera brezza si insinua tra la boscaglia, si avviluppa attorno alle nostre figure smuovendo i leggeri lembi delle nostre giacche. Sospinte dal vento le nuvole adombrano i deboli aculei iridescenti e gettano attorno a noi un velo di ombre, oscurarono ogni cosa accrescendo la vibrante tensione nella quale prorompono solo le nostre voci.
I suoi lineamenti si modellano in linee dure, deformandone il volto in cipiglio avverso, fosco e feroce al pari di uno sfregio «lo vedi? Stai dando di matto! Sei sempre di cattivo umore. Sei nervoso, irascibile e quando cacciamo sei un fottuto psicopatico». I nostri sguardi sono lame affilate che decantano uno scontro all'ultimo sangue. Nessuno dei due alzerà bandiera bianca tanto facilmente, con un carattere ostinato come il nostro cambiare idea non è contemplato, pertanto sarà una diatriba senza fine.
«Lo sono sempre stato e lo sai bene» lo rimbecco con ovvietà pur sapendo che ha ragione. È già successo di macchiarmi con atti tanto cruenti quanto amorali, tuttavia sono consapevole che questa volta è diverso, sono andato ben oltre i miei soliti atteggiamenti da sadico impietoso. Mi comporto come un ossesso che non trova pace se non quando uccide, ciononostante se ammettessi l'ovvio mi costringerebbe a regolare i conti con il mio dolore quando io vorrei solo annegarci dentro.
«Certo, ma non sei mai arrivato a questi livelli».
Vorrei dirgli di andare a farsi fottere e lasciarmi stare, ma non posso essere meschino fino a questo punto, non con lui, così mi mordo la lingua e ingoio quell'improperio. Scosto i lembi della giacca a vento e pianto con sfrontatezza entrambe le mani nelle incavature delle anche, pieno fino al midollo della sua tediosa reprimenda.

«Ascolta…» un sospiro pesante gli solleva il petto prima di socchiudere le palpebre e strofinarvi sopra il pollice e l'indice, la giacca si stringe attorno alle spalle visibilmente contratte, sembra che in questo momento contrastare la mia testardaggine lo sfianchi più del solito   «lascia che ti aiuti a superare questo momento».
«Superare?» tento di rimanere impassibile, ma non riesco a mascherare quella nota d'indignazione che risuona in tutta la sua atra potenza in quel solo verbo.
Cosciente di aver toccato un nervo scoperto, con un battito di ciglia chiare Matt abbassa il capo accoratamente «io capisco…».
«No» la rabbia che fino ad allora sono riuscito a domare deflagra di colpo come se quelle uniche due parole abbiano avuto la stessa reattività della benzina sul fuoco. «Tu non puoi capire!» bercio fuori di me puntandogli il dito contro. Sono terribilmente infastidito, quasi oltraggiato da questo suo patetico tentativo di supporto, come se  davvero io potessi lasciarmi alle spalle tutto quanto. Nel petto il respiro mi si infittisce furiosamente e i muscoli si tendono all'inverosimile, traboccanti di una ferocia che necessita essere scaricata, di nuovo.

Ne seguo un silenzio assordante nel quale sembra echeggiare ancora il grido della mia disperazione, colpito quasi nell'animo Matt schiude la bocca e un po' barcollante prende le distanze indietreggiando di un paio di passi, come se la collera che sprigiono da ogni poro abbia inquinato l'aria attorno a me rendendola irrespirabile. «Scusami, hai ragione…io non posso nemmeno immaginare cosa tu stia passando». Permeato da un'urticante pena nei miei riguardi, la sua voce si ammansisce perdendo qualche tono.
«Già, non puoi» infilo le dita tra i capelli e li tiro dalla radice quasi voglia estrirparli uno ad uno assieme al mio dolore. «Non ho perso solo El, ho perso anche mio figlio» annaspo quando quell'ultima parola si libera nell'aria, la vista diviene improvvisamente acquosa e un filo spinato mi si stringe attorno alla gola. Confuso e imbarazzato, sbatto le palpebre e proprio in quel momento sento il passaggio umido e caldo di una lacrima serpeggiarmi sul viso fino ad inumidirmi il collo. «Cazzo, Matt mio figlio…mio figlio comprendi?».
Con il volto inasprito da fresche escoriazioni e purpuree tumescenze dovute allo scontro con il Ghoul, il mio amico continua a guardarmi in silenzio, vuoto di parole mentre nella mia mente, tutt'altro che vacante, populano immagini, frammenti prepotenti ed estenuanti di un tempo felice in cui non sapevo nemmeno di esserlo, ma che inconsapevolmente mi hanno marchiato la carne con profonde cicatrici e scolpito il cuore con languidi baci. Ricordi bellissimi, capaci di soggiogarmi instillando nel mio petto  un'amara e svilente malinconia per poi catturami e di lacerarmi l'anima in miseri brandelli come il più temibile dei predatori.

«Per quanto abbia rinnegato la felicità, io la volevo…volevo la mia porzione di paradiso e contro ogni pronostico ero riuscito ad averla, solo che non me ne sono reso conto». Consapevole di non poter far altro che arrendermi a questo tramestio di emozioni che mi pungolano la cassa toracica, lascio che le lacrime tracimino oltre la rima cigliare, permettendo loro di delinearmi la mascella sotto lo sguardo attonito e al contempo compassionevole del mio compagno senza aver paura di rivelare la mia sofferenza. «Ed ora l'ho perduta, ho perduto tutto…e né il dovere che ci ostiniamo ad assolvere o il tempo che passa compenserà mai il vuoto che loro mi hanno lasciato». Riempendomi il palato con il sapore salato delle lacrime mi lambisco il labbro inferiore e deglutisco il viluppo di spine che rende incerta la mia voce «niente di ciò che faccio mi aiuterà a superarla, poiché niente farà tornare Eleonor o mio figlio da me».
Come se fosse trafitto da un nugolo di frecce, Matt stringe i denti e volta il capo di lato evadendo le mie iride liquefatte, incapace di tollerarne la vista. Per un attimo intercetto il cupo baluginio dalla luce riverberare su una scia rorida e sconnessa che gli segna lo zigomo destro, ed ho la certezza che anche lui stia piangendo.

«Quindi Matt ora spiegami, a cosa serve tutto questo?» con il tessuto della maglietta stretto in ambi i pugni, ne tiro l'orlo ad indicare il fitto intreccio di cotone che non rimanda altro colore se non quello bruno del sangue del mostro «a cosa servono le nostre battaglie, i nostri sforzi, le nostre rinunce se ogni volta siamo noi a perdere?».
«Alex… » quasi a congiungersi sulla radice del naso, le sopracciglia flave si arricciano in un piglio di dissenso, prima di tornare assoggettarmi con le due pietre preziose incastonate nelle orbite «io e te, insieme, abbiamo salvato molte più  vite di chiunque altro».
«Si, ma quante persone a cui tenevamo sono morte?». Tante, troppe. Forse un numero maggiore di quante siamo riusciti a strappare dai loro artigli e ormai non posso più tenerne il conto. «Io ho perso mia madre, tu tuo padre, Norman, Grace ed ora Eleonor con nostro figlio. Vedi in qualche modo loro vincono sempre e non c'è niente che io e te possiamo fare».
«Bene» sospira infilando le dita nelle tasche dei jeans logori di polvere «Allora cosa facciamo, ci arrendiamo? Lasciamo a quei figli di puttana l'opportunità di ridurre in brandelli poveri innocenti, mentre noi tracanniamo birra al sole e ci rigiriamo i pollici?».
«Non ho detto questo» infastidito dalla sua insana illazione gli scocco un'occhiata bieca, in parte pentendomi di aver messo in luce il lato più vulnerabile di me, quello che il più delle volte rifiuto perfino di possedere, ciononostante nell'ultimo periodo mi è quasi impossibile celarlo dietro la mia solita maschera di gelida imperturbabilità. Sempre più frequenti sono i momenti in cui mi isolo da tutto e tutti per chiudermi nella mia stanza, trovando nella nicotina e nell'alcool la forza di sopravvivere per un altro giorno, momenti in cui mi sento al margine di uno strapiombo e mi abbandono a violente crisi isteriche che culminavano con suppellettili infranti, muri scalfiti e fiammeggianti lesioni sulle nocche. D'istinto raccolgo una mano nell'altra e con il pollice sfrego le abrasioni ancora dolenti sulle piccole giunture, rammentando i muscoli delle braccia, animati da spasmi di una barbara ferocia, che hanno riversato una sequela di pugni sul fragile pannello di legno della porta, il quale si è piegato facilmente come fosse semplice cartapesta.

«Davvero? Perché il tuo discorso sembrava intenderlo» si mette a braccia conserte e sebbene nella sua intonazione non percepisco alcun astio, quando serra le dita attorno agli avambracci i nervi si tendono comunicandomi quanto sia seccato.
Non è mia intenzione permettere a quei figli di puttana di proliferare come migliaia di insetti ripugnanti, ma dopo tutto quello che abbiamo passato, che io ho passato, ho bisogno di sapere che tutto questo dolore è servito a qualcosa e che prima o poi finirà; ho bisogno di vincere, almeno per una volta.
Indignato per non essere stato compreso, artiglio le dita attorno alla cinghia del borsone e rigetto nuovamente il carico sulla schiena «lascia stare».
A grandi falcate riprendo il mio cammino sull'enorme selciato, intenzionato a non dare più corda ai suoi tediosi sproloqui ma Matt, testardo e duro come un tronco, sembra intenzionato a non abbandonare la presa «no, non puoi chiedermi di girarmi dall'altra parte. In questo modo ti stai distruggendo ed io non posso accettarlo».
Con le falangi formicolanti e i lombi affaticati, supplichevoli di misericordia, accellero il passo e spalanco la porta del cottage, «dovresti! non spetta a te decidere della mia vita». 
«Lo hai detto tu… ho perso mio padre per colpa di quei bastardi» il suo timbro diviene più greve e risolto, intenzionato a rimettermi sulla retta via una volta per tutte «tu sei l'unica cosa più vicina alla famiglia che ho e non voglio perdere anche te». Sebbene le sue parole siano intrise nell'amarezza più profonda, mi piovono sul cuore e come fresche gocce d'acqua sanno raffreddare tutta la rabbia, che da tempo se n'è stata repressa nel mio animo e che ora è libera di esplicarsi in ogni mia azione sconsiderata. Mi volto appena per sbirciare da sotto le ciglia i tratti delicati del suo volto accartocciarsi in una smorfia contrita. È davvero preoccupato per me e per tutto quel tempo ha tentato di salvarmi da me stesso, dal desiderio autolesionistico di sangue, tuttavia la verità che sembra non voler accettare è che non può credere di poter disinnescare una bomba già esplosa.
Improvvisamente, con un paio di leggeri colpi di tosse, qualcuno alle nostre spalle si schiarisce la voce «ragazzi… »
Quasi sincronizzati io e Matt ci voltiamo verso la fonte di un'improvvisa perplessità «e tu chi cazzo sei?».

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