05 - Gioco perverso

"Vuoto è l'inferno, tutti
i diavoli sono qui"
William Shakespeare

XXXX

Al di sotto delle lunghe ciglia finte i suoi occhi languidi continuano a rimanermi addosso, anche quando con le dita sapienti passa a liberare i bottoni della mia camicia dalle asole. Lentamente si fanno spazio sotto il leggero tessuto bianco per sfiorarmi la pelle, un tocco delicato che si trasforma in qualcosa di selvaggio. Le unghie lunghe come quelle di un felino si conficcano nella mia schiena e le gambe si allacciano alla vita trascinandomi contro il suo sesso già eccitato; posso sentire il calore delle sue grandi labbra richiamarmi anche sotto la pregiata seta nera del suo perizoma.

«Fammi tua», la sua voce arrocchita dal desidero é una scossa che mi percorre per intero e si ferma alla base dei testicoli. Le sue gambe tremanti ricadono nuovamente sul materasso, si schiudono di poco offrendomi libero accesso al punto in cui brama sentire le mie dita, invitandomi dentro di lei. I polpastrelli sfiorano la pelle vellutata, attraversando delicatamente l’interno della coscia liscia, iniziano la loro salita verso il fiore proibito, lo accarezzano appena. Il suo petto si gonfia e con il capo sprofonda nei grandi cuscini damascati sempre più in balia del mio tocco, le dita scendono nuovamente sul ginocchio. Una dolce e lenta tortura che le fa assaporare il paradiso per poi privarla della sublime e piacevole sensazione delle mie mani sul suo clitoride.
Geme ogni qualvolta lo sfiori e libera un mugolio di protesta quando mi allontano.

Sono passati anni dall’ultima volta che ho toccato una donna, ma so ancora come farle impazzire anche solo con una carezza. Io sono nato per questo. Secondo l’equilibrio delle cose a me spetta il compito di sedurre, indurre in tentazione, condurre al peccato. Fottere il prossimo. Ed iof fotterò questa a ragazza, portandola tra i fitti e oscuri sentieri della perdizione perché è il mio lavoro. Perché mi piace.

«Ti prego», un’altra supplica arriva a deliziare le mie orecchie perverse e una nuova fitta risveglia il mio amico dei bassi fondi, ancora intrappolato dal tessuto gessato. Scesi dall’enorme letto circolare e mi allontano da lei, con l’indice gli faccio segno di avvicinarsi. Abbandona le lenzuola sgualcite dai suoi fremiti e mi raggiunge ancheggiando sui tacchi vertiginosi, che ancora le ho impedito di togliere. È un cagnolino ammaestrato che ubbidisce in silenzio senza rimostranze, non è selvaggia e indomabile come lei.
Il tocco freddo delle sue dita sul pube mi ridesta da quel sogno ad occhi aperti che possedeva un unico nome, quello di lei. Frattanto la ragazza ha liberato la mia erezione ed io non me ne sono nemmeno accorto. Per un momento le ho permesso di prendere il controllo sul mio corpo, colpa dei ricordi che prorompenti emergono dalla melma del mio passato. Colpa di lei che continua ad svelirmi nonostante l’assenza.

In uno scatto di rabbia le intrappolo gli esili polsi in una mano e con l’altra le scavo le guance deformandole l’ovale perfetto, affinché la sua bocca di ciliegia sia ad un soffio dalla mia.
«Non azzardarti mai più a prendere l’iniziativa», la mia voce riverbera imperiosa e feroce nel silenzio della stanza come il ringhio di una bestia selvatica, teso a far comprendere chi tra i presenti sia il cacciatore e chi invece la preda, a chi è dato stabile le regole di quel gioco vizioso e  a chi spetti sottostarvi senza alcune litanie. Soggiogata dai lapilli incandescenti che accendono le mie iridi, dense e penetranti, la ragazza annuisce. È spaventata, lo si percepisce dal modo in cui l'aria le rimane bloccata nei polmoni, eppure i capezzoli già turgidi come due piccoli pomelli, al di sotto dell'esiguo strato di seta del suo reggiseno, suggeriscono quanto sia eccitata. «Brava».
Le libero le mani e il viso solo per arpionare le dita alle sue spalle sinuose.
«Ora in ginocchio».
La costringo ad abbassarsi, affinché possa vellicare con la punta del pene le sue labbra, «prendilo in bocca».

Esortandola ad avvicinarsi, infilo le dita nei suoi capelli morbidi e lei inizia a leccarmi come le ho chiesto. La sua lingua di fuoco ricalca l’inchiostro nero del tribale che marchia uno dei solchi della mia cresta iliaca, un cammino lento che mi fa trattenere il fiato e gettare la testa all’indietro quando raggiunge il pube rasato.

È la sensazione più bella che quel coglione avesse mai inventato. Il desiderio che monta e ti annebbia i sensi, spingendoti a volerne sempre di più, è deleterio più di qualsiasi polvere bianca. Per questo aveva bandito l’erotismo riducendolo unicamente all’atto riproduttivo. Lui, proprio Lui che disseminava parole d’amore non sapeva quanto il sesso condisse bene quel sentimento, è il pizzico di sale in più che rende saporita una pietanza di per sé già deliziosa. È la parte divertente e fantasiosa senza la quale tutto si assopirebbe nella noia.  

Torno a guardare il suo viso. Alle labbra seducenti, che mi avvolgono per intero, si uniscono le mani che cominciano a lavorarmi i testicoli. Stringo forte il labbro inferiore tra i denti cercando di trattenere un gemito di piacere. Bocca e mani, una combinazione perfetta che manda il mio cuore su di giri, lo sento pulsare fin dentro i gemelli. Cristo, continuando così, potrebbe schizzare fuori insieme allo sperma.
«Fermati!», la strattono all’indietro, tirandole i capelli dalla radice «ritorna sul letto e togli il perizoma».

Con il viso pervaso da mille rossori divarica le gambe e si sfila l’intimo, come richiesto. Le unghie ben curate si artigliano sul materasso e il costoso lenzuolo le si arriccia nel palmo, è eccitata come non lo è mai stata in vita sua. Con i bigliettoni del papà è abituata ad esaudire ogni capriccio, ad avere il dominio su qualsiasi cosa o su chiunque posi lo sguardo. Ma per quanti verdoni sventoli c’è qualcosa che non ha mai avuto, qualcosa su cui non é appeso nessun cartellino: un uomo virile. A causa della mancanza di tale dote da parte del suo fidanzato sniffa farina e dalla noia deve aver spesso ricercato attenzioni in ceti sociali più bassi, dove ha potuto esporre un paio di bancone da cento dollari per impedire al ragazzo usa e getta di raccontare in giro le sue scappatelle, rischiando così di infangare il suo buon nome.
È come un uomo che andava a puttane, anch’essa si è ritrovata a stringersi in sudice lenzuola di cotone con piccoli vermi striscianti che si lasciavano domare da lei e dal suo portafogli.

Questa volta però, è al sicuro da qualsiasi infamia, poiché ha davanti un uomo che di verdoni ne ha già in abbondanza, uno sconosciuto che non ha voluto sapere il suo nome. Un uomo diverso, che non si lascia sottomettere. Una volta finito oltrepassarà questa soglia con lo stesso numero di banconote nella cangiante borsetta, semmai riuscirà ad uscire.
Si, le farò degustare quell’articolo non in vendita, le farò sentire tutti i venticinque centimetri della mia virilità.

Le alzo la gamba destra e la porto sopra la spalla. Prendo in una mano l’erezione e la sbatto sul clitoride, irradiandola di tante piccole scosse di piacere. Sussulta e accompagna i lenti movimenti del bacino a mugolii che sommessi trapelano dalle labbra gonfiate da qualche punturina di collagene.
La trapasso con calma facendole assaporare tutta la mia lunghezza, é bollente. Centimetro dopo centimetro mi seppellisco dentro di lei, trattiene il fiato per poi liberarlo tutto in una volta quando arrivo a sfiorarle il bocciolo con il pube. Sono interamente immerso nei suoi umori e nonostante le mie congetture, la trovo incredibilmente stretta. Posso sentire i suoi muscoli vaginali risucchiarmi ogni volta che affondo.

«Baciami, ti prego. Voglio le tue labbra!», mi implora con la bocca arida a causa dei tanti sospiri, la sua voce trema proprio come il suo corpo.
Assurdo. Le potrei permettere di conoscere il sapore di ogni centimetro del mio corpo, ma mai quello delle mie labbra.
Nessuno può, nessuno…tranne lei.
Il bacio è qualcosa di intimo, che va ben oltre ciò che io offro a queste anime dannate. Dispenso loro eccitazione, orgasmi ma niente di più. I baci non sono contemplati, mai. Non posso simulare il piacere come tra le lenzuola, non posso fingere che una persona mi piaccia. Il bacio mi espone.
L'ho scoperto a mie spese. Ho compreso che a letto qualsiasi persona è capace di farmi raggiungere il picco, lo sperma schizza in ugual modo su qualsiasi corpo, ma con i baci è diverso. Una sola donna è stata capace di farmi raggiungere l’apice, solo una saliva si era rivelata compatibile con la mia e quando l’avevo finalmente trovata era stata la fine. Mi ha marchiato. Da allora non desidero altro che la sua, ogni altro sapore mi disgusta facendomi salire i conati di vomito.
Quei baci…Dannazione a quei baci.Erano troppo pericolosi. Erano capaci di attraversarmi il respiro, strapparmi il cuore, ancora palpitante, fuori dal petto e rapire la mia anima. Mi rendevano così inerme, debole come non lo sono mai stato. Impotente contro la necessità di sentire ancora e ancora quelle labbre sulle mie.

Come una folata di vento gelida, la fragorosa risata in cui implodo spazza via dal suo volto il sorriso che fino ad allora le ha incurvato le labbra, ma non il piacere. Nonostante sia turbata continua a godere dei miei movimenti, lo vedo dalla sua bocca semiaperta che ansima.
Faccio scivolare la gamba e scendo su di lei, ricoprendole il corpo minuto con il mio. Entrambe si stringono nuovamente attorno alla mia vita, ritornando alla posizione di partenza, i tacchi delle sue décolleté di vernice affondano nelle mie natiche.
«Misera stolta, l’unica cosa che vorrai sarà l’ossigeno, perché ho intenzione di fotterti così bene da prosciugarti i polmoni».

I suoi occhi brillano di eccitazione ed un fiotto di liquido biancastro fuoriesce dalle sue gambe alla sola premessa. Le mie dita rivendicano i morbidi capelli corvino, stringendoli in due pugni facendole alzare il mento. Puntellandomi sugli avambracci, prendo a muovermi violentemente dentro di lei, strappandole grida di piacere che risuonarono nel sacrale silenzio del elegante condominio, «Dio mio, si!» getta la testa all’indietro e chiude gli occhi. Un gemito si trasforma in un verso strozzato sulle sue labbra, solidificandole il respiro nella gola. Mi fermo di colpo prima che spicchi il volo e il suo viso si corruga per la delusione e la sofferenza.
I miei muscoli si irrigidiscono all’unisono, le afferro il mento e riporto i due scintillanti lapislazzuli nei miei,  «da oggi sono io il tuo Dio» il mio tono gelido non ammette obiezioni. E se ne facesse sono pronto a passare alle seconda parte del piano, riadatterò qualche particolare, ma lo farò senza esitazione.
Lei mi guarda con il respiro corto a scuoterle i seni sodi, gli occhi ancora velati dal piacere, senza rispondere.
La penetro con forza ancora una volta, facendola gemere, per ricordarle quanto misericordioso sia il Dio che ha davanti.
«Si», una singola parola che racchiude una conferma e un verso di piacere «sei tu».
Si tira su con i gomiti e incastra i denti nel labbro inferiore. Il sangue defluisce attorno agli incisivi lasciando che un alone bianco prenda il posto del colore naturale della sua bocca. Mi osserva con aria supplichevole, mi prega inarcando la schiena e venendomi incontro con il bacino, di continuare dal punto in cui mi sono interrotto. Una punta di soddisfazione mi invade il cuore colmando tutto il mio petto che si gonfia a dismisura, un sorriso maliardo lo accompagna. Sono davvero il suo Dio.
Crudele continuo a rimanere immobile, immerso dentro la sua intimità finché in lei scatta qualcosa. Prende a roteare il bacino, a dimenarsi sotto di me. Si ritira per poi tornare ad accarezzare il mio pube, sfregandosi contro di esso. È fantastico, così bello che non riesco a ingoiare un gemito di apprezzamento e accontentarla.
I suoi occhi annebbiati dalla lussuria mi spingono a muovermi sopra di lei come se fossi posseduto.
Posseduto, che pensiero sciocco.
Le labbra che suggono la morbida pelle del suo collo, mi si incurvano in un sorriso diabolico a quel pensiero.
Io posseduto…casomai sono io che possiedo!

Movimenti selvaggi surriscaldano la nostra pelle inumidita dal sudore. Viene in un grido serrando i muscoli attorno alla mia erezione che continua a pompare tra i suoi umori. Un’ultima spinta decisa e i quadricipiti vibrano, mentre l’estasi mi conduce oltre il limite dell’orgasmo.
Esco da lei e schizzo il mio sperma divino sul monte di Venere, sul ventre e tra i seni. Le goccioline bianche risplendono al cospetto degli scampoli di luna che filtrano dalle vetrate al nostro fianco.
Mi chino su di lei, la mia lingua segue la scia color latte con cui le ho macchiato la pelle di porcellana. Raccolgo ogni singola goccia del mio piacere, ma non ingoio. Con il pollice le sfioro il labbro inferiore. Comprende subito quanto voglia fare. Affamata apre la bocca e tira fuori la lingua, sputo lo sperma nella sua gola. Il caldo liquido circonda la pallina turchese del piercing, lentamente scivola giù per accumularsi nella faringe e scendere nel suo esofago.

Con il respiro rotto dall’orgasmo lecca compiaciuta i rimasugli del mio piacere che scintillano della pallida luce notturna sulle sue labbra, il petto si alza e abbassa profondamente, nei suoi occhi ancora sembrano ardere le braci di quelle che poco prima sono state le languide scintille della libidine. Bastano due minuti, il tempo di riprendere fiato e è pronta a farsi cavalcare di nuovo come una giumenta in calore. Pronta a dare aria ai tizzoni e riavviare la fiamma. Che motivo avrei per negarle ciò?
Vuole ardere? Esaudirò il suo desiderio.
In fondo sono un Dio misericordioso.

Senza mai abbandonare le sue iridi faccio scivolare una mano sulla seta lucida delle lenzuola, le dita affondano nell’enorme cuscino damascato che, disfatto, giace al nostro fianco. Con un gesto scaltro lo afferro per le estremità con entrambe le mani e lo premo senza alcuna pietà sul viso accaldato della mia preda.
Le urla acute, filtrate dall’abbondante imbottitura del guanciale, si librano docili nell’aria, al contrario del respiro che le rimane bloccato nei polmoni.
Preda degli spasmi e del terrore più profondo, le braccia della ragazza si agitano convulsamente in aria, quasi a volersi aggrappare alla vita, la quale invece fluisce via ad ogni secondo. Gli artigli ben affilati dalla lima di qualche estetista mi si conficcano in un guancia portandosi dietro alcuni lembi di carne. Non vi è alcun dolore. Non sento il sangue colare, ridisegnarmi la mandibola o il bruciore dell’aria che sferza su una ferita aperta. Non avverto nulla, poiché nulla è ciò che rimane sul mio viso. La pelle è ritornata come prima, compatta senza alcuno sfregio. Come se le sue unghie non l'avessero mai deturpata. Liscia e incontaminata come quella di un bambino appena nato. Perfetta. Ancestrale come l’essere che sono.

Le acque limpide dei torrenti che sciabordavano tranquille nei prati verdeggianti e che riflettevano il cielo si tinsero di nero. Le tenebre ingoiarono ogni cosa e il giorno divenne la notte.
Il clangore delle armi scuoteva l’aria e le grida dei feriti erano cibo per la mia anima affamata di odio.
Sulle mie mani grondava il sangue di quelli che un tempo erano i miei compagni, i miei fratelli.
Avevo la vittoria in pugno,  l’esercito nemico era stremato, ridotto all’osso. Con la soddisfazione che tracimava dal petto, guardavo i corpi dei miei nemici, deturpati da numerose ferite, inumidire la terra dei loro fluidi.
Finalmente ci eravamo ripresi ciò che ci spettava di diritto: un posto dove poter vivere in libertà, privo di leggi che reprimessero i nostri impulsi.
Era quello che pensavo, fin quando l’arrivo di una nuova milizia capeggiata da Michael ci accerchiò.
Lui che per anni era stato la mia spalla, il mio compagno in numerose battaglie, il mio migliore amico, mio fratello ora stava puntando le armi contro di me.

Dopo uno scontro che sembrò protrarsi per un tempo inquantificabile, Michael riuscì a sopraffarmi. Continuava a guardarmi dall’alto con quel suo sguardo catartico, ma io in quelle iridi non riuscivo a leggervi nulla di puro. Era un ipocrita che si ostinava a indossare la maschera da angelo  per sopprimere la sua vera indole. Un assassino senza scrupoli che aveva ucciso molti dei miei fratelli e che ora era pronto a calare la lama sul mio collo se fosse servito ad uccidermi. Poteva tentare, ma le  sue fatiche sarebbero state un inutile versamento di sudore, poiché come lui anche io ero nato per essere invulnerabile. Non poteva uccidermi come io non potevo uccidere lui.
Per questo, insieme ai sopravvissuti della mia guarnigione, per volere di nostro Padre mi cacciò da quella terra che era la mia casa per essere esiliarmi in un mondo in cui l’oscurità e l’odio non avevano mai fine.

Il fascio di luce giallo e anonimo della lampadina che ciondola dal soffitto, illumina il suo volto, il suo aspetto non è più impeccabile. Le lacrime, che brillano ancora sulle sue guance, hanno sciolto gran parte del mascara macchiandole le gote con linee incerte, la fluente chioma, che un tempo le ricadeva sulle spalle come seta nera, ora non è nient’altro che grezza stoppa, incastrata al di sotto del bavaglio.

Da quando ha ripreso conoscenza ha continuato a dibattersi cercando di allentare i nodi che le serrano i polsi, le caviglie e il collo. Ma ad ogni movimento convulso la tensione della corda aumenta, spezzandole il respiro. La ispida peluria della canapa le preme sulla pelle delicata, come mille aghi miniaturizzati, escoriandola. Il suo viso assume la colorazione del melograno e gli occhi sembrano uscire dalle orbite. È una visione sublime. Avvolta dalle spire del terrore è più bella che mai.

«Puoi urlare quanto vuoi, qui non ti sentirà nessuno. Mi sono preso la briga di rendere questo posto…come dire…più… », fingo di cercare il termine adatto, tamburellandomi l’indice sulle labbra «intimo».
Le sue iridi volano sui pannelli fonoassorbenti che tappezzano le mura di cemento dell’intero garage.
L’uccisione di Harry mi ha già messo nell’occhio del ciclone, i vicini hanno udito i rumori e insospettiti, hanno spinto la polizia a bussare alla mia porta la mattina seguente. Per fortuna sono riuscito a liquidarli con qualche scusa, ma portare a termine il mio piano tra le mura dell’appartamento era impensabile.
Il destino però sembra continuare a giocare a mio favore. Nell’ufficio del mio compianto “cugino” ho trovato un contratto d’affitto dove si concedeva a quest'ultimo la possessione temporanea di un deposito in un self storage non poco distante dal centro.

A passi lenti e calibrati mi avvicino a lei, «pensavo di non riuscire a trovare la persona giusta, invece guardati…sei fantastica».
Tenendo un sorriso perverso stampato sul volto le sfrego il pollice sulla porzione di guancia lasciata scoperta, asciugandole le lacrime.
«Ma quando le tue carni si fonderanno come la cera di una candela lo sarai ancora di più». Con le narici dilatate e gli occhi annegati dalla paura prende ad urlare con tutto il fiato che ha in corpo. Le vene della giugulare raddoppiano di volume per lo sforzo ed il collo le si imporpora di colpo.
Con entrambi i palmi premuti ai lati della nuca e la costringo a guardarmi. I suoi occhi, sbarrati e impauriti, sono fissi nei miei.

Sotto le dita sento la sua pelle surriscaldarsi sempre più, il sangue bollire nelle vene come lava nella bocca di un vulcano. E così proprio come il fuoco liquido anch’esso erutta. La ragazza, di cui non conoscerò mai il nome, si torce negli ultimi spasmi di vita mentre gli organi si sciolgono come burro, i bulbi oculari esplodono e il sangue schizza fuori a fiumi dalle due cavità. La pelle sbuffa, i capelli prendono fuoco diffondendo nell’aria il lezzo acre del bruciato.
Nel giro di pochi secondi della sprovveduta con il cielo negli occhi non rimane nulla se non uno scheletro carbonizzato da cui si librano soffi di fumo scuro.
Adesso è perfetta.

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