04 - Oscurità nelle vene
Più lontano scappi dai tuoi peccati, più sarai stanco quando ti raggiungeranno. E ti raggiungeranno. Sempre.
Inside Man
XXXX
26 Settembre, un giorno prima della scomparsa di Eleonor
Con le unghie scavavo verso la luce, la terra arida si sbriciolava e le secche radici delle piante si polverizzavano al mio passaggio. L'aria densa di polvere mi opprimeva i polmoni, ero lì a scavare da giorni ormai e la necessità di respirare un po' di ossigeno era quasi più forte del mio desiderio di rivederla. Non doveva mancare molto, le sottili radici dell'erba mi solleticavano i palmi il che significava che la superficie era vicina.
Ancora due bracciate e finalmente sentivo l'aria fredda della notte pungermi le dita. La schiena incurvata era l'ariete che aveva distrutto quell'ultimo e sottile strato di terreno che mi teneva separato dalla mia amata Terra.
Finalmente!
Con la testa all'indietro ispiravo profondamente quell'aria pulita. Non riuscivo quasi a crederci, l'odore acre e opprimente del fumo non mi invadeva più i polmoni, ero davvero tornato.
Negli ultimi anni avevano cercato in ogni modo di dissuadermi da quella che tutti definivano una follia, tremavano all'idea di ritrovarsi tra le mani le redini del mio impero. Non sapevano come gestirlo, nessuno aveva le capacità necessarie per amministrare quel luogo a parte il sottoscritto e detenere un potere di quella portata era un'impresa assai ardua. Ma io dovevo tornare, dovevo ritrovarla per tenere fede alla mia promessa.
Nei secoli sono stato definito in tanti modi: crudele, superbo, ribelle, lascivo, ma mai bugiardo. Nonostante sia la reincarnazione del peccato ho sempre odiato la menzogna, canzonare non rientra nelle mie doti. Preferisco un'amara verità piuttosto che una flebile illusione e forse è stata proprio questa mia inclinazione a farmi gettare fuori dai cancelli dorati.
Se avessi avuto la capacità di mentire, di saper cucire le labbra forse le mie ali non si sarebbero tinte di nero, forse sarebbero rimaste candide come quelle dei miei fratelli. Ma mio Padre non mi ha fatto dono solo di un bell'aspetto, mi ha regalato anche una mente altamente superiore agli altri e per questo non posso essere massificato. Io sono superiore a tutti loro e questa verità non è mai stata gradita.
E' questa la mia colpa, la sincerità.
La mia tetra risata vibrava nell'aria violando la quiete quasi spettrale del cimitero. Una foschia leggera aleggiava tra le lapidi di marmo, le civette squittivano annunciando sciagure e il vento scuoteva le fronde scure e rigogliose degli alberi. Un quadro perfetto in un luogo di morte dove l'unica nota stonata era l'uomo rinato dalle viscere della terra. Io.
Con un flash il ricordo di quella notte svanisce. E' passata una settimana, ciononostante la mia mente continua a farmi rivivere quei momenti ogni volta che chiudo gli occhi. Da quella scarica di adrenalina che mi scorreva sotto la pelle e che mi aveva accompagnato fino a qualche giorno fa, alla puzza di marcio che emanava il corpo senza vita del proprietario di questo lussuoso appartamento e di cui mi sono disfatto solo dopo due giorni. Ricordo ancora quando quella vecchia della vicina ha bussato alla porta, preoccupata da quell'odore nauseabondo che ha infestato l'intero piano. Per fortuna il mio cervello è stato tanto scaltro da inventare una scusa plausibile per spingere il suo naso rugoso fuori dai miei affari.
Mio cugino, Harry Coleman, è stato richiamato in Georgia dalla sua famiglia per risolvere alcuni problemi così ha chiesto a me di badare alla casa e ai suoi fidati compagni di avventure, Ares e Atena. Due bellissimi Dobermann dal manto nero focato. Non avrebbe mai potuto portarli con sé poiché i genitori risiedono in un appartamento di modeste dimensioni e di certo non possiedono quell'enorme terrazza di cui gode l'appartamento che al momento mi sta ospitando. Al mio arrivo in questo regno moderno di vetro e acciaio però ho trovato un topo, la cui vita è stata sentenziata dagli Dei della guerra che in quel momento ronfavano sul divano. E dato quell'odore di morte che contaminava l'aria non era difficile comprendere quale fosse stata la sentenza.
Questa è la mia nuova identità, una maschera perfetta dove potersi nascondere.
I miei occhi tornano a sondare il viso che vedo riflesso nello specchio e passando una mano sulla barba ispida ne apprezzo ogni dettaglio. Per il momento devo mantenere un profilo basso e utilizzare le mie "capacità" varrebbe a dire pormi al centro del mirino, ciò significa che almeno finché sarà necessario dovrò reprimere la mia natura. L'avvenenza mi aprirà ogni porta di questo mondo; sempre grazie a lei potrò catturare la preda giusta per farla diventare una pedina del mio terrificante tabellone.
Soddisfatto piego la bocca di lato in un sorriso infido tanto quanto lo sono i miei piani.
Atena richiama la mia attenzione ululando, quasi gelosa di quei pensieri ignobili e procaci che si imprimono nella mia fantasia.
«Tranquilla dolcezza, tu rimarrai la mia preferita».
Mi piego sulle ginocchia e le accarezzo il muso sporgente. Non so perché, ma questi sacchi di pulci sembrano avermi preso in simpatia. A loro stranamente non importa che io abbia ucciso il loro vecchio padrone senza alcuna pietà, anzi il loro continuo scodinzolare sembra essere un segno di ringraziamento. Forse Harry non era solo un pezzo di merda egocentrico, ma a quanto mi sembra di capire non li degnava di un minimo di attenzione, sopravvivevano per la bontà d'animo di qualche domestica che rassettava la casa e riempiva le loro ciotole. Perché lui sicuramente non si sporcava le mani per pulire il cesso di casa sua.
Dopo averlo legato e imbavagliato, ho perlustrato ogni centimetro quadrato dell'appartamento alla ricerca di informazioni su quell'uomo senza spina dorsale che continuava a frignare come una femminuccia e a impregnare il costoso tappeto con il piscio.
Ho rovistato in ogni angolo e in ogni cassetto, perfino quello della sua biancheria. Ed è proprio tra le sue mutande firmate che ho trovato qualcosa che mi ha fatto ribollire il sangue nelle vene, facendolo schizzare fino al cervello.
Sulla della carta traslucida erano stampate scene di due corpi aggrovigliati nelle posizioni più strane che avessi mai visto, era malato di sesso almeno quanto lo sono io. Ma se la sua perversione si fosse limitata a riscrivere il Kamasutra non mi avrebbe scalfito, ciò che mi ha fatto accapponare la pelle era il suo cazzo che affondava tra le gambe di ragazze diverse, accomunate da un unico aspetto. Erano tutte minorenni. Quello che avevo davanti agli occhi era un pedofilo mascherato da gentiluomo con la sua giacca a doppiopetto e le scarpe laccate.
E' stato fortunato, se fossimo stati nel mio territorio sarebbe stato costretto a subire una delle mie pene preferite. Un'amputazione continua che partiva dal suo uccello depravato per finire sulle sue mani sudicie che ha osato posare su quei giovani corpi. Ogni volta che il boia affonda la mannaia nella carne la vittima urla e le sue grida echeggiano tra i vicoli polverosi fino a deliziare le mie sadiche orecchie. Un supplizio che si ripete in eterno perché ad ogni amputazione ne segue la ricrescita. Lui si rigenera e il mio mastino lo estirpa di nuovo.
Avrei tanto voluto replicare quel lavoro, ma la realtà in cui mi trovo non me lo ha permesso. Ciò, però, non mi ha impedito di punirlo. L'ho fatto e con grande piacere.
Ho aperto il cassetto della cucina super tecnologica del bastardo e mi sono munito di un bel coltello. Affilato come lo sguardo che ho continuato a offrirgli. Terrorizzato ha biascicato qualcosa al di sotto dello scotch che gli incollava le labbra, mi supplicava. Voleva donarmi ogni sua ricchezza in cambio della sua vita, ma io non volevo i suoi luridi soldi. Io bramavo qualcos'altro. Vendetta.
E' stato proprio quel pensiero a farmi ritornare sui miei passi, a posare il coltello e a cercare tra i vari utensili un'arma adatta a lui.
Quando sono tornato, mostrandogli il mio regalo, il suo volto è sbiancato. In un batter d'occhio la sua pelle, dapprima paonazza per l'agitazione, era diventata cera.
«Ora voglio mostrarti un gioco». La mia voce era cupa, profonda come le tenebre che scorrono dentro di me. «Non perdo tempo a spiegarti le regole perché le conosci bene».
Il matterello di legno continuava a sbattere all'interno del mio palmo in piccoli schiocchi che a malapena si riuscivano ad udire, ma che lo hanno fatto deglutire a fatica. Avanzavo lentamente dalla penombra, nella sua direzione, l'ho affiancato per qualche secondo giusto il tempo di far ballare un po' i suoi muscoli e poi la mia attenzione si è spostata sulla grande finestra alle sue spalle. Due pesanti teli color salvia oscuravano l'intero salone, mi privavano del piacere che era sul procinto di darmi il suo viso inciso dal dolore, quel dolore che io gli stavo per infliggere. Con un gesto brusco e deciso le ho scostate, avvolgendo la mia vittima con il candido bagliore della luna. Un'illuminazione perfetta, forte quanto bastava per osservare ogni espressione.
Al lato opposto uno specchio bellissimo occupava un quarto della parete. Incastonato in una sontuosa cornice argento, era un po' in contrasto con tutti quegli elementi moderni disseminati nella stanza, ma tutto quel contesto contemporaneo sembrava creato appositamente per metterlo in risalto.
Non era perfetto solo nell'aspetto, ma anche nella collocazione. Grazie a lui potevo ammirare gli effetti del mio operato persino nella posizione che avevo progettato per il bastardo.
Lo volevo far urlare fino a spezzargli le corde vocali. Volevo trattarlo per l'animale che era. Lo desideravo e io sono abituato ad appagare qualsiasi mia voglia.
Vedere il suo sedere puntare nella mia direzione mi aveva fatto risalire la bile nell'esofago, ne ero disgustato, ma il pezzo di merda meritava di conoscere la sensazione che si prova nel sentirsi violati.
«Pronto Harry?».
Gli ho regalato un sorriso minaccioso prima di sputare sulla punta dell'utensile di legno e punirlo con tutta la crudeltà che mi è sempre stata attribuita durante il corso degli anni. Il porco ripulito dai soldi gridava contro il nastro adesivo ad ogni affondo, urla che sembravano voler spaccare la terra in due. Uscivo e lui sgonfiava i polmoni. Entravo e lui riprendeva a strillare. Desideravo portare avanti quello spettacolo per ore. Mi sono ritratto di nuovo quando Harry ha abbassato la testa sfinito da quel castigo durato troppo poco. No, non poteva abbassarla. Io dovevo vederlo in viso. L'ho afferrato per i capelli e costretto a mostrarmi di nuovo la sua sofferenza.
«Cosa c'è? Non ti piace? Eppure dalle foto sembrava ti divertisse».
Non ho finito la frase che l'ho inchiodato di nuovo. Per sua sfortuna la mia soddisfazione è arrivata solo dopo diversi affondi e dopo che il sangue aveva imbrattato l'intera seduta. Era giunto il momento di spedirlo all'Inferno.
«Ora Harry se non sbaglio, oltre che infilare il tuo uccello nel culo di quelle povere ragazzine, ti piaceva fartelo succhiare».
Non ha fatto in tempo nemmeno a metabolizzare quanto gli ho detto che lo scotch aveva raggiunto il pavimento e al suo posto l'utensile, ancora impregnato di sangue con cui lo avevo fatto divertire, già gli occludeva la faringe. Il verme si agitava sulla sua costosissima poltrona mentre soffocava e io spingevo ancora più in profondità.
I suoi occhi stavano per spegnersi per sempre mentre una scarica elettrica mi percorreva tutta la spina dorsale dandomi nuova vita. Quasi mi eccita guardare la morte sopraggiungere. Secondo la legge divina nessuno può avere un potere decisionale che determini se un uomo ha il diritto di vivere o perire, solo Dio. Ma a me non è mai fregato niente della legge divina o di ciò che solo Dio può fare. In quelle ore io ero diventato il giudice supremo di Harry, io ho avuto in pugno la sua vita e ne ho fatto quello che più mi aggradava. Io ho avuto il potere di decidere la sua sorte. Io ho deciso di ucciderlo.
Sono sprofondato ancora di più nella sua gola quando ho sentito un macabro crac che mi ha fatto digrignare i denti. La mia arma si era incastrata nella sua trachea bloccando qualsiasi spiraglio gli regalasse un minimo d'aria. Mi sono allontanato di qualche passo e, con le braccia annodate sul mio petto colmo di orgoglio, l'ho guardato. Era impalato e agonizzante. Una combo sublime. Si è dibattuto per qualche secondo preda delle convulsioni ma, con mio grande dispiacere, il Tristo Mietitore è accorso in suo aiuto ponendo fine alle sue sofferenze.
Il rumore di vetri che si infrangono mi risveglia dallo stato di trance in cui sono caduto, di nuovo. Quelle bestie avranno rotto l'ennesimo vaso di cristallo. Afferro un asciugamano pulito e velocemente tampono i capelli. Devo sbrigarmi la notte è già calata da un pezzo e se non mi muovo rischio di non trovare più uno straccio di donna capace di reggersi sulle proprie gambe. Già me le immagino con il trucco sbavato, un po' di polvere bianca a contornare le narici e l'alito alterato dall'alcool.
In realtà le condizioni in cui troverò la mia vittima non mi dovrebbero interessare molto, anzi se avesse la mente annebbiata sarebbe tutto molto più facile, ma così non è divertente. Per quanto adori la caccia, non amo le prede facili. Più loro oppongono resistenza e più è grande la soddisfazione nel vederle implorare di farle mie.
Raggiungo l'ingresso e le note di legno dolce, agrumi e spezie del bagnoschiuma di Hermes riempie l'aria. Un altro costoso dettaglio che ho ottenuto grazie alla consistente fortuna che ho trovato chiusa nella cassaforte di quell'inetto.
Afferro al volo le chiavi dall'eccentrico svuotatasche a forma di mani, le infilo nella tasca interna della mia giacca e vado incontro al mio destino.
Quarantacinque minuti dopo la ghiaia del parcheggio del Blue Moon stride sotto gli pneumatici della mia BMW i8. Quel tipo era un vero idiota, ma devo dire che in fatto di macchine aveva davvero buon gusto. Do gas un'ultima volta giusto per sentir rombare ancora tutti quei cavalli che galoppano sotto di me e per essere sicuro di aver guadagnato l'attenzione di tutti i presenti.
Un serpentone di persone, le cui teste sono quasi tutte rivolte verso la mia bambina da centoquarantamila dollari, costeggia il locale fino ad arrivare all'angolo della strada. Come un branco di lupi affamati accerchiano la loro zona di caccia, eccitati all'idea di conficcare i loro artigli nella carne succulenta di graziose ballerine coperte solo da un perizoma sgargiante e due nappine sui capezzoli. Se avessi più tempo e soprattutto rispetto per gli altri mi metterei in fila ad attendere il mio turno come una persona onesta e ligia alle regole, ma purtroppo per loro sono fortemente convinto che le regole siano state create dagli uomini per persone senza spina dorsale, che si nascondo dietro un "non si può" solo per paura di "fare". Senti come puzzano di perfezione! Non lo sanno ancora che la vita è fatta di dolore e ingiustizie, così inizio a dargliene una io stasera. Scavalco quel branco di inutili vermi e con l'andatura fiera che mi contraddistingue arrivo a fronteggiare il muso da Pitbull che si trova all'entrata. Se fosse stata una donna mi sarebbe bastata qualche frase sussurrata all'orecchio per farmi aprire le porte di quel dannato Nightclub, eppure questa volta devo contare sull'aiuto di Dio. Si, Dio Denaro.
Non appena il cagnolone alza la mano per impedirmi di passare, la mia raggiunge il portafogli da dove estraggo un mucchietto di verdoni. Non so quanti siano, ma sicuramente non saranno meno di quanto viene pagato per starsene qui a combattere con una marmaglia di adolescenti con gli ormoni impazziti.
Glieli sventolo sotto il naso, facendogli annusare per qualche secondo la tranquillità che potrebbero garantirgli almeno per qualche mese.
«Prego!».
Li agguanta, afferrando insieme a loro una gioia che non rivivrà più, le sue dita massicce si rilassano e ritornano a costeggiare il fianco.
«Ehi!».
La voce esuberante di un ragazzo giunge dietro la mia testa non appena il buttafuori si sposta di lato per farmi passare.
«C'è una cazzo di fila, lo stronzo deve attendere il suo turno come tutti gli altri».
Lo stronzo. Una minaccia risuona nel suo tono graffiante come se potesse incutermi paura e spedirmi in fondo alla fila. Lentamente un sorriso subdolo si disegna sulle mie labbra mentre mi volto per vedere il volto di quell'essere tanto stolto da credere di potermi mettere a cuccia. Si fa avanti sostenuto dal coraggio della folla dietro di lui che lo incita a difendere i loro diritti tenendo le mani sigillate in due pugni lungo i fianchi, così stretti da far sbiancare le nocche.
«Mi hai sentito o devo ripetere?».
Il suo sguardo è folle tanto quanto le sue intenzioni. Continua a scrutarmi dall'alto dei suoi due metri con l'aria di chi di risse ne ha fatte a bizzeffe, ma io non ho voglia di abbassarmi ai suoi livelli e tinteggiare la mia costosissima camicia con il suo sangue. Anche se l'idea di conficcare una mano nel suo addome per mostrargli in che modo sono fatte le sue budella è alquanto allettante. Ma non serve, le pupille dilatate e l'alito alterato non solo mi suggeriscono che è ubriaco, ma anche strafatto per cui mi basterà alzare di un po' i toni per cancellare quel sorrisetto dalle sue labbra.
Sostengo il suo sguardo con la stessa ferocia di un cane rabbioso e prima che possa accorgersene gli conficco le dita nelle guance, come a volergli scavare la carne, e lo tiro verso di me.
«Prova a rivolgerti ancora a me con quel tono e il tuo prossimo respiro sarà l'ultimo».
La mia morsa sul suo viso si fa più stretta tanto da avvertire la dentatura sotto le dita e fargli sanguinare l'interno della guancia.
«Devo ripetere?».
La mia voce vibra dalla rabbia ad un palmo dal suo naso, preannunciando una sentenza di morte.
Deglutisce e il pomo d'adamo oscilla proprio come le sue gambe che sembrano non essere più capaci di sostenerlo.
«Bene!». Lo spingo indietro e quasi inciampa sui suoi stessi passi. «Ci rivediamo all'inferno, coglione».
Le luci multicolore dei neon si riflettono sui corpi di giovani ragazzi che, non potendo contare sulle loro misere battute di abbordaggio a causa della musica troppo alta, si dimenano sulla pista da ballo nel tentativo di trovare una donna su cui strusciarsi. Chiudo gli occhi e inspiro a fondo. Ogni cosa qui dentro è pregna di alcool, di droga e di sesso. L'aria è satura di peccato ed io mi sento a casa.
A spallate mi faccio strada tra la pista gremita di corpi sudati e raggiungo l'unico sgabello del bar nascosto nella penombra. Il posto giusto da dove poter studiare l'ambiente che mi circonda senza essere notato e scegliere con tutta calma il mio bersaglio. Con un cenno di mano richiamo l'attenzione del barman con l'intento di ordinare un Boulevard e per fortuna non passa molto tempo prima che il ragazzo dietro il bancone faccia slittare sul piano il bicchiere colmo di liquore. Afferro quel passaggio come il miglior quarterback della stagione e senza attendere ne valuto la qualità. Una generosa sorsata confluisce nella mia bocca e il sapore forte del brandy appicca un incendio nella gola. Ottimo.
Mi volto verso la platea e senza staccare le labbra dall'orlo del bicchiere lo sguardo vaga tra i numerosi corpi danzanti alla ricerca della mia ragazza.
Le persone continuano a fare il loro ingresso rendendo lo spazio sempre più angusto e l'aria più asfissiante. Una punta di irritazione mi fora lo stomaco quando tra le numerose teste che spuntano dalla pesante tenda di velluto posta all'entrata compare quella del ragazzo tutto droga e alcool che ha osato sfidarmi qualche minuto prima. Le luci corrono da un lato all'altro del locale, gli tinteggiano il viso facendomi notare il suo cambio d'umore che da sereno si incupisce quando nota il mio sguardo perforargli il cranio. Rimango ad osservarlo mentre china il capo e si mischia nella folla nella speranza di sfuggire alla mia attenzione. Che stupido. Una zebra non può sfuggire all'ira di un leone a meno che quest'ultimo non dirotti la mira su una preda ancora più succulenta. Proprio come la ragazza dai capelli neri che gli tiene la mano. Gli occhi ispezionano ogni centimetro del suo corpo e il mio cuore arresta per un momento quella sua folle corsa alla vita. E' solo questione di qualche secondo, il tempo che la ragazza si volti nella mia direzione e le luci le colpiscano il viso che l'aria ritorna a circolare normalmente nei miei polmoni. Non è lei. Le somiglia molto, ma non è lei.
Non riesco a trattenere un verso di frustrazione. La speranza che tutto questo non serva perché quella che ho davanti è lei ha preso piede nel mio petto, ma a quanto pare il destino vuole farmi attendere ancora un po' prima di poterla stringere di nuovo tra le braccia.
Lo sguardo spaesato della dolce gazzella ispeziona ogni angolo del locale alla ricerca di una probabile schiera di amici già su di giri. I suoi occhioni azzurri sono limpidi, incontaminati, così innocenti. Gemelli per colore a quelli di lei, ma allo stesso tempo tanto diversi.
Non mi sono mai soffermato a quanto potessero essere diverse le sfumature delle iridi delle persone, mi sono sembrate sempre tutte uguali. Un azzurro era uguale all'altro, lo stesso valeva per un verde o un marrone e così via. Poi quando mi sono scontrato con le sue è cambiato tutto. I suoi occhi mi hanno sempre ricordato il cielo di New York azzurro e carico di smog. Chiari come la volta sopra le nostre teste e inquinati dalla rabbia, dall'odio e dal rancore. Belli e contaminati come solo loro sanno essere. Del tutto diversi da quelli innocenti della ragazza che sembra essere stata gettata in una vasca piena di piragna, pronti a azzannare la sua pelle di porcellana. Ma in quelle acque agitate dalla musica si cela un pericolo più grande, uno squalo pronto ad affondare i denti nella sua tenera carne e lei, ignara del destino avverso che la attende, sta nuotando proprio nella sua direzione.
«Una birra!».
Rimango nella penombra a sorseggiare il mio Boulevard mentre la rimiro, inclinando la testa di lato. I capelli le solleticano la schiena semplicemente perfetta ogni qualvolta si sporge in avanti sul bancone con l'intento di catturare l'attenzione del barman che si destreggia tra le bottiglie di liquori non degnandola nemmeno di uno sguardo.
«Ehi? Ti ho chiesto una birra!».
«Hai sentito la ragazza? Una birra...e offro io».
Il tono minaccioso unito ad uno sguardo letale fa saltare sull'attenti il ragazzo dei cocktail che in risposta spilla velocemente un boccale di birra chiara e lo serve al mio bersaglio.
Le unghie laccate di un elegante borgogna si artigliano attorno al vetro mentre mi osserva con i suoi occhioni da cerbiatto al di sotto delle lunghe ciglia definite dal mascara.
«Ti ringrazio».
Sfoggia la sua educazione tentennando su quelle due semplici parole come una bambina insicura sul da farsi, a cui è stato insegnato di non dare confidenza agli sconosciuti, ma che allo stesso tempo non vuole sembrare maleducata.
Sono cosciente che nel punto in cui mi trovo non riesce a scorgere il mio viso, sono solo un'ombra all'apparenza cordiale che gli ha offerto il suo aiuto. Trascino la seduta più avanti, uscendo dal mio nascondiglio per lasciare la possibilità ai led di illuminarmi e permetterle di vedermi bene quanto la vedo io.
E' uno scontro di sguardi dal quale si ritira subito per tornare ad osservare le mani arpionate sul vetro nel tentativo di mascherare quella scintilla di bramosia che le ha illuminato le iridi non appena i suoi occhi si sono posati sul sottoscritto.
Nonostante la scarsa luminosità riesco a vedere le gote infiammarsi e immagino delle piccole fantasie perverse rincorrersi sotto la sua folta chioma scura. E' palesemente in imbarazzo, forse per aver avuto tali pensieri per un perfetto sconosciuto o è pudica a tal punto da vergognarsi del solo fatto di averli avuti? Qualsiasi spiegazione ci sia sotto poco importa, ciò che conta è che sia stato io a provocarle quell'incendio sul viso.
«Talvolta bisogna mettere da parte le buone maniere e alzare i toni se si vuole essere ascoltati in questo mondo».
Alle mie parole trasalisce, le sue dita calde si stringono attorno al boccale ghiacciato e quella brina che ricopre il vetro si scioglie in piccole goccioline d'acqua.
«Per quanto puoi strillare le persone se non ti vogliono ascoltare si tapperanno le orecchie. E' inutile, l'unica cosa che sarà cambiata è la tua gola, ormai troppo arida per poter emettere anche solo un brusio».
«Ed è per quello che continui a rimanere al fianco di quell'omuncolo?».
Aggrotta la fronte e i suoi occhi si lanciano nei miei scrutandomi sotto le palpebre socchiuse, incapace di credere che uno sconosciuto abbia saputo decifrare il suo malessere più di quanto avessero fatto i suoi amici finora.
«Caleb in fondo è un bravo ragazzo, un tempo ero davvero innamorata di lui».
Quasi sincronizzati rivolgiamo il nostro interesse sul suo ragazzo. Siede al centro di un piccolo divanetto in pelle nera in un angolo del privè, accerchiato da un gruppo di ragazzi che sembrano rivestire più il ruolo di bodyguard che di amici. E' completamente assorto dai suoi traffici che non si è nemmeno accorto dell'assenza della sua ragazza.
«I nostri genitori sono soci in affari, insieme gestiscono la più grande catena di Hotel in città. Quando hanno saputo della nostra frequentazione i nostri padri hanno pensato di unire il loro patrimonio sotto un'unica famiglia. Quella mia e di Caleb. Nel giro di poco tempo siamo diventati la coppia più famosa di tutta Chicago, il nostro matrimonio era sulla bocca di tutti già prima che arrivasse la proposta».
Tutta la sua attenzione verso quello che sarebbe dovuto essere il suo futuro marito si spegne proprio come i suoi sentimenti per lui, caduti in un letargo che non vedrà mai il sorgere della primavera.
Torna a guardare la sua birra e si rifugia in una buona sorsata come se volesse nascondersi dai ricordi.
«Sembra la favola che tutte le ragazze della tua età vorrebbero vivere».
«Già, lo era. Ma non tutte le favole hanno un lieto fine. Alcune persone sono tanto ricche quanto annoiate, per questo Caleb un paio di anni fa ha iniziato a fare uso di droghe. "E' erba, niente di preoccupante" mi diceva, poi gli spinelli hanno cominciato a non bastargli e ora non solo consuma quella merda, ma ha iniziato anche a venderla».
«E tu?».
«Io sono solo il suo soprammobile da esporre, una bella maschera da utilizzare in pubblico con cui ripulirsi. Ho raccontato tutto a mio padre nella speranza che annullasse ogni cosa, ma a quanto pare il benessere delle sue attività è più importante di quello della sua unica figlia».
Si stringe nelle spalle riaccompagnando le sue labbra all'orlo del boccale, rassegnata ormai ad una vita fatta di apparenze. Se il mio petto avesse custodito un cuore e non una voragine senza fine, se nelle mie vene scorresse il sangue e non l'oscurità, se io non fossi ciò che sono diventato avrei avuto compassione per lei, invece l'unica cosa che si agita nel mio petto è la voglia irrefrenabile di contaminare quelle iridi innocenti, di macchiarle. Di inquinare quelle due porzioni di cielo fin troppo limpide per una a cui è stata strappata via la propria vita.
«Non sei di queste parti, H.C? Non ti ho mai visto qui».
La sua voce distrugge in mille pezzi l'istantanea dei suoi occhi sgranati di un potente orgasmo e mi riporta con i piedi nel locale. La guardo perplesso mentre con l'indice sfiora le iniziali cucite in un elegante corsivo sul polsino destro della mia camicia che fuoriesce dalla manica della giacca. Non capisco perché i ricconi come Harry hanno questa mania di adornare i propri indumenti con questo genere di ricami, il fatto che tu indossi quel determinato capo non implica già che ti appartenga? Che bisogno c'è di specificarlo attraverso le proprie iniziali?
«Sono rientrato in città da poco».
«Nostalgia di casa?».
«Nostalgia di una donna».
Sul volto ben truccato l'espressione afflitta che lo ha dipinto finora evapora lasciando il posto alla curiosità. Quel suo cambio di rotta mi coglie alla sprovvista e mi irrita. Parlare di me e del mio privato non rientra nel piano, avrebbe solo dovuto frignare un poco e lasciarsi sedurre. Poi io avrei pensato a seviziarla per tutta la notte e un orgasmo dopo l'altro avrebbe dimenticato quanto facesse schifo la sua vita.
«Se ti manca perché ora non sei davanti al suo portone?».
«Lo farò, ma prima devo sistemare alcune cose».
Se il tono secco con cui le ho risposto non la invita a togliere il suo grazioso nasino dal mio privato lo fa lo sguardo truce con cui accompagno quelle parole. Basta quell'espressione infernale a farle capire che non è il caso indagare oltre. Per lei continuerò ad essere un estraneo di cui conosce solo l'aspetto fisico, quello che poi si cela dietro di esso rimarrà avvolto nel mistero.
«Non hai amici con cui festeggiare il tuo ritorno?».
«Credo che io e te abbiamo due modi di "festeggiare" molto diversi».
Inarco un sopracciglio e lancio un'occhiata al suo seno tondo avvolto da un top di seta. I piccoli e turgidi capezzoli si ergono appena sotto il morbido tessuto, segno che non indossa il reggiseno. Una scelta audace e allo stesso tempo totalmente in contrasto con la sua indole da bambina innocente. Magari anche il modo di vestirsi ormai le sfugge dalle mani proprio come il suo futuro, forse anche quello fa parte del ruolo da fidanzatina d'America in cui è stata cristallizzata.
«E quale sarebbe il tuo?».
Il fatto che non abbia colto la mia allusione e che mi abbia posto una simile domanda rende ancora più vera l'immagine che mi sono fatto di lei.
Sulla mia bocca si intarsia un sorriso malefico che mi accingo immediatamente a inumidire leccandomi il labbro inferiore. L'immagine del suo volto avvolto dalle fiamme della vergogna al solo udire ciò che la mia mente malata può arrivare già mi eccita procurandomi una fitta in mezzo alle cosce.
Mi protendo verso di lei per avvicinarmi al suo orecchio, la mia voce baritonale le accarezza il collo, intenzionata a farla cadere ai miei piedi.
«Affondare tra le gambe di una donna sconosciuta e sentire le sue grida fino all'alba».
I suoi occhi scattano nella mia direzione e le dita si stringono sul bicchiere fino a sbiancare. Come immaginavo il sangue fluisce irruento sotto la sua candida pelle irradiando le guance con un bellissimo color cremisi. Completamente paonazza tenta di articolare una risposta, ma le sue labbra si muovono in muto.
«Respira dolce gazzella».
Sbatte velocemente le palpebre più volte, rimanendo a pochi centimetri dalle mie labbra.
«T-tu...Tu non eri impegnato?».
«Io non l'ho mai detto».
Come se questo poi fosse un problema. L'amore, se così si può definire quello che mi lega a lei, è una cosa e il sesso...è tutt'altra. Non è sentimento, non ti consuma il cuore e incasina la mente, piuttosto è l'incontro casuale di due corpi che si uniscono per puro piacere, è la reazione chimica di due lingue che si intrecciano. Non c'è nessun dopo, non vi sono teneri abbracci o l'attesa di una chiamata, solo un letto disfatto e un preservativo gettato sul pavimento.
Le luci colorate si riflettono sui suoi capelli, tingendoli di mille colori diversi. Tanta è la tentazione di intrecciarci le dita che alla fine cedo. Afferro una ciocca azzurrina e comincio a modellarla intorno all'indice in tutta la sua lunghezza finché i polpastrelli non arrivano a sfiorarle la schiena completamente scoperta e un'ondata di desiderio le percorre la spina dorsale. Mi guarda, toccandomi con gli occhi in ogni parte del corpo, mentre i suoi muscoli guizzano al passaggio delle mie dita sulla sua pelle accaldata. Le piace il modo in cui la sto toccando, come se fosse qualcosa di tanto fragile, ma allo stesso tempo tanto prezioso da tastare con attenzione. Per la prima volta in vita sua si sente venerata come una dea e desiderata come la donna incredibilmente sexy che non sa di essere.
«Vuoi essere tu quella che verrà scopata senza pietà per tutta la notte?».
La mia voce le arriva dritta in mezzo alle gambe, sono sicuro che la sto mandando in tachicardia.
Una mano scende insinuandosi sotto la sua gonna di pelle per accertarsi che sia così e per offrirle un piccolo assaggio di ciò che potrebbe riservarle il resto della serata. Insieme alla sua bocca anche le gambe si dischiudono e lentamente faccio scivolare un dito tra le sue grandi labbra mentre con il pollice le sfioro il clitoride. Piccole scosse elettriche si irradiano dal suo bocciolo, corrono all'impazzata sotto pelle fino a friggerle quegli ultimi neuroni che la consentivano di articolare una qualsiasi frase di senso compiuto.
«Si!».
Il tono sicuro con il quale si rivolgeva a me fino a poco fa è morto, sconfitto dalla libidine che ora la sta bruciando viva.
«Ottima scelta».
Il rumore assordante della musica svanisce non appena varchiamo l'uscita e il suo posto viene presto rimpiazzato dal rombo della mia auto che sfreccia per le strade deserte di una città già dormiente. I miei occhi abbandonando la strada per osservare la mia accompagnatrice, il suo sguardo famelico fagocita ogni centimetro del mio corpo e quel barlume di malizia che la riscalda mi preannuncia il piacere nel sentire il suo corpo che si spezza ad ogni affondo. Un piacere che mi arriva dritto tra le gambe. Sento il mio membro indurirsi sotto il jeans tanto da farmi male, mi implora di liberarlo da quella gabbia diventata di colpo troppo stretta. Afferro la ragazza per i capelli chinandomi leggermente verso il lato del passeggero e le avvicino il viso nel punto che tanto mi duole.
«Comincia a darti da fare, fammi vedere se vale la pena portarti nel mio letto».
Al mio ordine sbottona il pantalone e libera la mia erezione che si erge fiera davanti ai suoi occhi. La guarda e la accarezza come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto e probabilmente lo è. Non riesco a trattenere un grugnito mentre la sua lingua rotea sulla punta e con entrambe le mani lavora la lunghezza. E' brava, sa quello che sta facendo.
«Oh si!».
Gemo di piacere e chiudo gli occhi. Incoraggiata dai miei versi, artiglia le mani sulle mie cosce e mi accoglie interamente nella sua bocca.
Stupida. E' bella, questo sì, ma la mia brama non è per lei, qualsiasi donna avrebbe potuto darmi quel piacere che mi sta offrendo. Lei non ha niente di speciale, sta avendo il privilegio di farsi scopare da me solo perché il suo corpo mi serve. Soddisferò la sua fame e poi la utilizzerò per il mio piano. Questo è ciò che conta.
Prendo fiato tra un'ondata di piacere e l'altra e lancio qualche occhiata alla sua testa che si alza e si abbassa sul mio inguine, nascondendo il mio membro dentro di lei. Le dita si infiltrano tra i capelli e la spingo ancora più in basso, muovendo il bacino ad un ritmo più sostenuto. Voglio affondare dentro di lei tanto da toccarle tonsille. Rimango qualche secondo così, la mano sul volante stringe lo sterzo in una morsa di ferro e getto la testa all'indietro fin quando non raggiungo l'apice svuotandomi nella sua gola.
Il respiro torna regolare e la mia preda si tira su tornando al suo posto. Si strofina il pollice sul labbro inferiore per catturare l'ultima gocciolina del mio piacere e portarselo alla bocca.
«Brava bambina».
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top