Il riscatto di Selene
Omero-Inno a Selene
Muse dal dolce canto, figlie di Zeus Cronide, esperte di canzoni, celebrate Selene dalle ampie ali: dal suo capo immortale un chiarore si diffonde nel cielo e avvolge la terra, e una grande bellezza si mostra quando risplende la sua luce; la sua corona d'oro illumina l'aria oscura...
"Cosa mai ho da offrire?. Dopotutto, tutti gli altri dei vantano poteri e abilità straordinarie: Giove può evocare i fulmini, Atena è un'eccellente stratega, Morfeo ha la facoltà d'inviare sogni...ma Selene? Scommetto che ben pochi mortali conoscono il mio nome. Del resto, sono sempre stata confusa con Artemide, che s'è appropriata del mio ruolo illegittimamente.
Tutto ciò è da imputare agli umani, schiocchi, stupidi mortali che non mi hanno mai tributato i dovuti onori. Io sono la fulgida Luna, l'essenza stessa dello splendore, colei che con la sua corona d'oro illumina l'aria oscura! E invece sono stata dimenticata, salvata dall'oblio solo dai poeti che ho ispirato con la mia eterea bellezza. Ora però sono stanca di non essere onorata come si conviene ad una dea. Dimostrerò a tutti-mortali o immortali che siano- che la Luna può fare molto di più che splendere."
Questo fu ciò che pensai una calda serata estiva di molti secoli fa, quando ancora la Grecia rivestiva un ruolo egemone nel Mar Mediterraneo. Ricordo ogni dettaglio di quella sera, perché rivoluzionò la mia vita di dea, fino a quel momento monotona e ripetitiva. Io stavo conducendo il mio carro nella regione dell'Arcadia, nel Peloponneso centrale. I miei cervi procedevano pigramente lungo la volta celeste: anche loro, come me, erano stanchi di viaggiare. Una pausa era ciò che ci serviva così decisi di fermarmi sulla terraferma. Mentre viravo verso il basso, sentii qualche tuono in lontananza. Zeus non era felice del fatto che abbandonassi il mio compito ma non me ne curai. Dopo essermi concessa a lui, svariati anni prima, non temevo più i suoi rimproveri.
Dopo che fui atterrata, lasciai che i miei cervi cercassero una sorgente dalla quale abbeverarsi. Odiavo l'Arcadia, regione montuosa e inospitale, ma almeno era provvista di grandi boschi nei quali potersi rilassare senza essere disturbati. O almeno così credevo.
Proprio nel momento in cui mi stavo sedendo ai piedi di un albero dalle ampie frasche, sentii alcuni singhiozzi sommessi. Li ignorai e chiusi gli occhi, sperando che Morfeo mi accogliesse tra le sue braccia. Una volta avevamo davvero fatto l'amore e devo confessare che, contro le mie aspettative, si era rivelato un gran amatore. Al ricordo, un sorriso mi si dispiegò sulle labbra ma lo repressi non appena udii altri singhiozzi, più forti dei precedenti. Storsi il viso in una smorfia e alzai gli occhi al cielo, chiedendomi se quella fosse la punizione del signore degli dei per essermi fermata a riposare. "Il caldo sfinisce, sai?" borbottai in direzione del cielo. Altri gemiti giunsero alle mie orecchie e, frustrata, mi alzai per individuare l'umano che osava disturbare la mia quiete. Chiunque fosse, avrebbe assaggiato l'ira divina. Grazie alla mia vista perfetta, che di notte dava il meglio di sé, non mi fu difficile trovare la fonte del fastidio. Pochi metri più in là, accucciata contro il tronco di un maestoso albero, si stagliava una piccola figura. Dai folti capelli castani, dedussi che fosse una bambina. "Perfetto" pensai mentre la raggiungevo "adesso mi tocca pure relazionarmi con i mocciosi". Teneva le ginocchia strette al petto e il viso era affondato tra di esse, mentre il corpicino era scosso dai singhiozzi. Non dava segni di avermi notato. Avrei voluto sgridarla e lasciarla lì, ma la sua evidente fragilità m'indusse a desistere.
"Tutto bene?" m'arrischiai a chiederle.
La bambina alzò la testa e si strofinò gli occhi castani, ancora gonfi ed arrossati dal pianto. "Tu chi sei?"
"Perché t'interessa saperlo?" domandai a mia volta con una punta d'irritazione.
"Non assomigli ad una delle ancelle di corte e papà mi ripete sempre di non parlare con gli sconosciuti."
Non potei trattenermi. "Naturale che non assomigli a nessuna di loro!" Del resto, la bellezza della Luna è nota a qualunque mortale e in più di un'occasione ha ispirato magnifici versi. Quella sera poi, ero particolarmente affascinante. Indossavo un chitone blu notte, stretto in vita da una cintura argentea, mentre la mia lunga chioma ricadeva sulle spalle come una cascata d'argento liquido. Infine, la mia figura era avvolta dal solito scintillio, che quella sera era più che mai intenso.
La bambina sgranò gli occhi e si strinse ancor più nel suo bozzolo, intimorita dal mio atteggiamento.
"Io sono un'amica" Mi sedetti sulla nuda terra di fronte a lei. "Come ti chiami?" domandai, curiosa. Non ero tenuta ad ascoltare, né tantomeno a consolare la piccola, ma vederla lì, sola a piangere in mezzo ad un bosco, aveva suscitato in me un moto di tenerezza. L'innocenza che leggevo nei suoi occhi mi ricordava mia figlia Pandia alla sua età. Anche se era una dea, quand'era triste assumeva la sua identica espressione.
"Cloe." disse infine. "Ora mi vuoi dire perché piangi?" chiesi con la dolcezza che di solito riservavo solo ai miei fedeli cervi. I suoi occhi castani incrociarono i miei in una muta ricerca di comprensione. Rimase così per lungo tempo, valutando se potesse fidarsi di me. "Sono fuggita" confessò in un soffio.
"Da dove?"
"Da palazzo" mormorò. Si mordicchiò il labbro inferiore ed io ebbi il timore che riscoppiasse a piangere. "Mi racconteresti cos'è successo?" Accompagnai la domanda con una delicata carezza sulla testa, che Cloe parve apprezzare.
"Tre giorni fa è venuto alla reggia un uomo anziano che ha chiesto a mio padre di servirgli un lauto banchetto..." Mi sfuggì un gemito. "Tuo padre è il re? Licaone?"
"Tu come lo sai?" domandò in tono sospettoso. Sfoggiai il mio miglior sorriso rassicurante. "Te l'ho detto, sono un'amica." Tre giorni prima, Zeus era entrato nella sala del simposio con un'espressione in volto che prometteva tempesta e ci aveva intimato di non alimentare la sua ira. Come ebbi modo di scoprire il giorno seguente, la sua furia era stata causata da Licaone, re dell'Arcadia, che al signore degli dei aveva osato offrire in pasto il nipote Arcade. Per punizione era stato trasformato in un lupo e i suoi cinquanta figli, eccetto Nictimo, erano stati fulminati. Ancora una volta, mi ero stupita della crudeltà degli esseri umani, disposti a sacrificare un parente pur di soddisfare un dio. Erano esseri disgustosi.
"Mi stai ascoltando?" La voce della bambina mi riportò alla realtà, scuotendomi dai miei cupi pensieri. Annuii distrattamente e lei proseguì il racconto. Disse che quella sera il dio Caos aveva fatto visita alla loro reggia-frase che io interpretai come il tentativo di Cloe di descrivere la confusione- e che una serva l'aveva fatta uscire da una porta laterale, raccomandandole di fuggire il più lontano possibile. Da allora, era rimasta a vagare nel bosco, totalmente all'oscuro di ciò che era accaduto alla sua famiglia.
"Mi potresti portare a casa adesso?" I suoi occhi mi fissavano imploranti, come un cucciolo che cerca disperatamente di ottenere le attenzioni materne. Mi limitai ad accarezzarle una guancia, umida per via delle lacrime versate.
Come potevo spiegarle che non c'era nessuna casa a cui tornare, che la sua famiglia era stata distrutta, che la sua vita non sarebbe stata più la stessa? Ammesso che fosse sopravvissuta, pensai con una punta d'amarezza. Se infatti Zeus avesse saputo che una delle figlie di Licaone era ancora in vita, l'avrebbe perseguitata e uccisa. Non tollerava che qualcuno gli sfuggisse.
"Mi porti a casa?" domandò con maggiore insistenza, stringendomi la mano. In un lampo, rividi mia figlia compiere lo stesso gesto. Ritrassi di scatto la mano e mi allontanai di qualche passo, spaventata da quella visione. Nei confronti di Cloe, avevo sviluppato un insano moto d'affetto molto simile, anzi troppo, all'istinto materno. Imprecai sottovoce, sperando che la bambina non sentisse. Diamine, non volevo affezionarmi ad un'umana! Lei apparteneva alla razza che odiavo, la razza che mai aveva voluto onorarmi. Volerle bene avrebbe significato tradire miei stessi principi.
Eppure...eppure quella bambina era il fiore dell'innocenza, non meritava di pagare per le colpe della sua scellerata famiglia. La purezza che intravedevo nel suo sguardo me lo confermava.
Salvarla era un imperativo. In fondo, quella stessa sera non avevo forse giurato a me stessa che la Luna avrebbe dimostrato a tutti il suo valore? E farlo con un'opera di bene non era molto più efficace di una vendetta?
Tornai sui miei passi e la presi in braccio. "Piccola, non ci puoi tornare a casa." Sebbene suo fratello fosse vivo, tornare alla reggia per Cloe sarebbe equivalso a morire. Dovevo escogitare un'altra soluzione, per la sicurezza di entrambe. Non volevo certo essere punita da Zeus!
Cloe si portò una mano sul mento con fare pensieroso. "Allora posso stare con papà!" esclamò con un radioso sorriso.
"Tesoro, il papà è un lupo, adesso non può..." mi bloccai, fulminata da un'idea. Certo, era un piano folle, ma forse proprio per questo poteva funzionare.
"Ti andrebbe di diventare un lupo?" le chiesi. Se lei infatti avesse abbandonato le sue sembianze umane, Zeus non sarebbe mai riuscito a scovarla e avrebbe potuto vivere una vita quasi normale.
"Un lupo!?" La bambina sgranò gli occhi. "Come posso trasformarmi in un lupo?"
La posai a terra e le rivolsi un sorriso malizioso. "Diciamo che ho dei poteri magici che mi permettono di farlo." Le strizzai l'occhio.
Cloe abbozzò un sorriso ma non parve troppo convinta. "Non lo so" ammise. "A me piace essere una bambina."
"Possiamo fare così" proposi infine. "Io ti do la facoltà di trasformarti in un lupo qualora tu ti trovi in pericolo e il resto del tempo potrai essere una bambina."
Cloe mi scrutò con i suoi dolci occhi castani, soppesando la mia offerta. "Ma io voglio tornare a casa" mugolò.
Sospirai, soffocando a stento la mia irritazione. "E' la tua unica possibilità di salvarti." Le spiegai in parole semplici i rischi ed, imprimendo un pizzico di magia divina nelle mie parole, riuscii a convincerla.
Le posai una mano sul capo, mi concentrai e mormorai un antico incantesimo. Dalla mia mano fuoriuscì un fascio di luce bianca, che avvolse Cloe completamente. Quando la lasciai, davanti a me si stagliava un piccolo lupetto dal manto grigio. Il primo esemplare femmina di licantropo, pensai con un sorriso.
Nelle settimane a seguire, andai a fare spesso visita alla piccola, che, grazie anche ai miei consigli, riusciva a vivere una vita più che dignitosa. Nelle serate di luna piena poi, mi dedicava lunghi ululati, in segno di ringraziamento per averla salvata.
In questa storia, risiedono le origini del mio legame con i licantropi, tanto a lungo decantato. Fu un atto d'amore, che compii di mia spontanea volontà. Da quell'episodio, una bambina ebbe salva la vita e la luna ottenne il suo riscatto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top