~3.ᑌᖇᗩᑎᎥᗩ~

Molte ere prima...

La Regina Urania alzò gli occhi al cielo, attirata da un bagliore mai visto prima. Una sfera luminosa sfrecciava a gran velocità, pronta a schiantarsi al suolo. Ma era diversa dalle rocce che provenivano dal cielo; diversa nel colore, nella grandezza, nella velocità. E di solito producevano un rumore fastidioso. Non era strano che capitasse, da quando quel mondo era stato generato, migliaia erano le rocce che vi si erano schiantate.

Quella però non era una roccia. Ne era certa.

Se ne stava sdraiata senza molto da fare o a cui pensare, cullata dalla voce della natura intorno a lei. Ma si alzò, decisa ad andare a vedere cosa fosse. Era distante, ma volando ci sarebbe arrivata prima. Una delle caratteristiche delle fate, era quella di assumere qualsiasi forma volessero. Ricordava ancora il momento in cui aveva iniziato ad esistere. Non era nata. Era sempre stata una presenza, generata dalla vita della natura. Quando la terra da spoglia aveva iniziato a generare germogli, piante, erba, e tutto quello che la rendeva viva, lei era apparsa. Ed era profondamente legata a tutto quello che popolava la natura. Riusciva a comunicare con la natura, ogni fiore aveva qualcosa da dire. Non aveva un vero e proprio corpo, era fatta di energia, ma poteva se voleva, diventare qualsiasi cosa. E assumere varie forme, le piaceva. Col tempo però si era sentita sola, nonostante potesse parlare con ogni forma vivente, sapeva di essere unica. Sapeva che come lei non c'era nessun'altra forma di vita.

E la natura, sentendo il suo dolore, le aveva offerto piccole parti da cui generare esseri come lei. Era riuscita a dar vita ad altre fate, generandole dai fiori, dai ruscelli, dalla pioggia, dalle foglie e dagli alberi, da qualsiasi cosa le fosse venuto in mente. Non erano come lei. Avevano poteri limitati, e potevano dominare solo una piccola parte della natura. Non come lei, che poteva dominarla tutta a suo piacimento.

Dopo aver preso la forma di un falco, spiccò il volo, dirigendosi a gran velocità verso il punto in cui quella luce stava per cadere. Dall'alto, riuscì a vedere il momento in cui toccò terra, e si sorprese del fatto che poco prima di arrivare al suolo, la sfera luminosa rallentò.

Cercò di arrivare il più vicina possibile, senza farsi vedere; voleva osservare in silenzio, capire cosa stesse accadendo, e se fosse il caso di avvicinarsi ulteriormente oppure no.

E di certo rimase sorpresa da quello che vide. Non aveva la minima idea di come spiegare quello che era appena successo. La sfera luminosa racchiudeva un uomo, o almeno era quello che le sembrava. Somigliava agli esseri umani che avevano iniziato a popolare quella terra, dopo che si erano evoluti migliaia di anni prima, quando le scimmie avevano iniziato a cambiare. Ma non era esattamente come loro.

Quell'essere aveva le ali. Come quelle degli uccelli, enormi ali dorate, che emanavano una luce quasi abbagliante. Lo vide alzarsi da terra, per poi ricadere. Le sue ali erano rovinate, come se la caduta le avesse indebolite, stropicciando le piume e staccandone alcune. Lo strano essere cadde in ginocchio, con i pugni stretti poggiati al suolo e la testa china. I suoi bellissimi capelli lucenti, quasi bianchi dai riflessi dorati, gli ricaddero in avanti, coprendo il viso. Prima che abbassasse il volto, riuscì a vedere i suoi occhi: erano lucenti, di colore viola, e i suoi lineamenti erano perfetti. Una fronte non troppo alta, un naso dritto ben delineato, labbra che parevano disegnate e una mascella forte.

E piangeva.

Lo vide lasciarsi andare a dei singhiozzi senza freno, convinto che non ci fosse nessuno a vederlo. Era vestito con un'armatura lucente, al fianco portava una spada fatta di luce. No, non era un essere umano, questo le era chiaro.

Mosse una zampa sul ramo in cui si era appostata, spostando il peso da una all'altra. Si sgrullò le ali, e quel movimento attirò l'attenzione dell'essere accasciato a terra.

«Shi na ny?»

Lo strano essere sollevò la testa di scatto, interrompendo il suo pianto bruscamente. L'aveva sentita e si era accorto di lei.

Si sorprese, era una lingua che non conosceva. Tutti i popoli della terra parlavano lingue diverse tra loro, ma lei le conosceva tutte. Era semplice per lei con i suoi poteri imparare a capire, e dopo qualche secondo, riuscì a comprendere anche lui, ed era certa di poter utilizzare il suo stesso linguaggio.

«Chi c'è?»

Ripeté, urlando sta volta. Forse era il caso di farsi vedere, non solo perché era certa che ormai l'avesse scoperta, ma perché era spinta dalla curiosità.

Spalancò le ali da falco, e scese dal ramo, volando fin di fronte a lui. Rimasero a guardarsi per qualche secondo, lui aveva un'espressione indecifrabile. Sapeva che stava guardando un falco, ma era anche consapevole che non era davvero un animale quello davanti a lui. Si alzò in piedi, portando una mano alla spada che gli pendeva dal fianco.

«Chi accidenti sei?»

Ormai si era fatta vedere, mantenere la forma da uccello non le sarebbe servito. Decise di assumere la forma che utilizzava quando interagiva con gli esseri umani, quella di una donna bellissima, alta e snella, dai capelli lunghi pieni di boccoli di colore viola. Dei fiori le facevano da veste. L'essere alato indietreggiò, sorpreso da ciò che vide. Non sapeva in che modo spiegarselo.

«Io sono Urania, Regina delle fate, Signora della natura. Tu chi sei, piombato dal cielo su quella che è la mia casa?»

L'essere rise, prima con un tono basso, poi in modo quasi isterico.

«Ti ho chiesto chi sei, straniero.»

L'atteggiamento di lui la infastidì, non ci trovava nulla da ridere in quello che gli aveva detto. Sapeva chi fosse, e sapeva in che modo era stata generata dalla natura. Ed era certa di meritare rispetto per quello.

«Scusa...»

L'uomo alato si bloccò, cercando di riprendersi dalle sue risate, alzando una mano per scusarsi ulteriormente. Poi continuò.

«Scusami. Ma è la prima volta che sento parlare di fate, e credimi, è impossibile che io non conosca qualcosa che esista sul creato di Mio Padre!»

Tornò a sorridere, ma facendo attenzione a non mancarle ulteriormente di rispetto.

Urania lo guardò perplessa, non aveva capito nulla di quello che aveva detto. Era certa che nessuno avesse creato la natura, sapeva che si era generata spontaneamente, conosceva perfino la prima piccola particella vivente. Perché lei stessa era quella natura.

«Se conosci tutto, come mai non sapevi di me? Che spiegazione avresti?»

«Non lo so. Farà tutto parte del Suo grande disegno, suppongo.»

Il suo tono continuava ad essere scettico, Urania non sapeva spiegarsi se fosse verso di lei o verso il Padre di cui parlava quello sconosciuto.

«In ogni caso, io ti ho detto il mio nome. Tu chi sei?»

«Mi chiamo Lucifero. Sono il primo Angelo creato da Dio, e il primo che lui ha cacciato dal Paradiso.»

«Paradiso? Angelo? Non conosco niente di tutto ciò.»

Lucifero la guardò perplesso, gli sembrava strano che proprio lei, che si descriveva come la Regina delle fate – che poi si chiedeva cosa fossero le fate – non ne sapesse nulla.

«Il Paradiso è il luogo da cui provengo, il Regno dei Cieli. E gli Angeli...beh sono come me. Esseri generati dalla Luce di Dio, creati per servirlo in modo incondizionato, e che a quanto pare non hanno diritto di parola.»

Urania ci pensò un secondo. Questo Dio, come lo aveva chiamato Lucifero, doveva essere suo padre, e forse aveva capito il motivo per cui era stato cacciato. Non era certa di comprendere il legame tra padre e figlio, ma supponeva che dovesse considerare le fate che lei aveva generato, figlie sue e della natura. Non era certa che avrebbe mai cacciato una di loro se avessero espresso dissenso per qualche sua azione. Tra le fate non c'era questo tipo di sentimenti, parlavano, festeggiavano, e facevano tutto nel rispetto reciproco. Se una fata avesse espresso un parere, lei l'avrebbe ascoltata. Ne avrebbero parlato. E alla fine avrebbero trovato un punto di accordo, su questo non aveva alcun dubbio.

«Spiegami, perché tuo Padre ti ha cacciato?»

Lucifero sorrise tristemente, e il fatto che qualche secondo prima lo aveva visto piangere, diceva molto di più sui suoi sentimenti di quanto lui avrebbe mai ammesso. Ma aveva voglia di ascoltare la sua storia. Sentiva il potere proveniente da quell'Angelo, ed era molto simile al suo, sia per forma che grandezza, e un alleato del genere le avrebbe fatto comodo. Di certo non sarebbe stato saggio averlo contro. Si sarebbero distrutti a vicenda, e con la portata dei loro poteri, la natura ne avrebbe pagato il prezzo. E salvaguardarla era la sua priorità. Avrebbe fatto qualsiasi cosa.

«Tu sai chi sono gli uomini? Penso che se sei chi dici di essere, li avrai visti.»

L'espressione di disprezzo sul volto di Urania era chiara, lei li conosceva, e non li amava particolarmente.

«Si. Non sono qui da molto, ma li preferivo quando erano solo delle scimmie. Stanno cambiando, e si servono della natura distruggendola. Mi chiedo cosa accadrebbe se si moltiplicassero nel corso del tempo.»

«Bene, sarai felice di sapere che mio Padre è l'unico da ringraziare per la loro presenza. Ma guardati intorno. Questa è la Sua più bella creazione.»

Lucifero allargò le braccia, indicando tutto quello che era intorno a loro. Poi continuò.

«E adesso dimmi: perché mai dovrebbe donarlo a loro? Perché noi Angeli dovremmo inchinarci agli uomini? Sono alla stregua di animali, si uccidono tra loro, distruggono quello che mio Padre ha creato, la usano senza rispetto. E in più, non vengono nemmeno puniti quando commettono peccati. Quando uccidono un altro uomo, dovrebbero essere fulminati all'istante! E invece no, Lui dice che lo fanno perché sono deboli, perché sono sopraffatti dalla vita, dalle loro emozioni. Che meritano il Libero Arbitrio. Sono disgustato.»

«E per questo Ti ha cacciato?»

Lucifero annuì con un cenno del capo, mentre sul suo volto si dipingevano il disprezzo, la rabbia e lo sconforto, tutte insieme. Urania provò pena per lui. Provò a pensare a come dovesse sentirsi: un figlio devoto che si esprime solo per il bene di suo Padre, per il rispetto verso tutto quello che Ha creato. No, decise che quella era una punizione ingiusta.

«Gli esseri umani sono deboli, non valgono nemmeno la metà di noi Angeli, e io, l'essere più splendente del Paradiso, ho rifiutato di inchinarmi ad essi, e di servirli per fare in modo che loro si elevassero al nostro livello. No, io ho un'altra idea.»

Avevano una cosa in comune, e questo alla Regina delle Fate piaceva. Entrambi disprezzavano gli esseri umani, e forse per le stesse ragioni. Conoscere l'idea di Lucifero era un bene, lei lo avrebbe aiutato. Si, era certa di poter stringere un patto con lui.

«Se hai un'idea voglio ascoltarti, e chissà potremmo collaborare.»

Lui sorrise. Era sulla Terra da pochi istanti e aveva già un'alleata. Forse le cose iniziavano ad andare meglio per lui, dopotutto.

«Voglio generare anche io dei figli, esseri che corrompano l'anima di questi insetti fastidiosi. Così che Mio Padre possa vedere quanto sono infimi e terribili, e magari si deciderà a scacciarli nel nulla a cui dovrebbero appartenere. Voglio esaltare tutte le loro peggiori qualità. Ma purtroppo, solo la Luce Divina può generare esseri come me. Quindi devo escogitare un piano.»

Ad Urania sembrò un'idea niente male, tanto che forse sapeva cosa fare. Lei aveva trovato il modo di creare altre fate, e sicuramente, un essere potente come lui poteva generare altri esseri in modo che fossero esattamente come gli servivano.

«Stringiamo un'alleanza io e te. Se prometti che tra te, gli esseri che genererai e le mie fate non ci saranno lotte, e che noi non rischieremo, io ti aiuterò a crearli.»

Lucifero la guardò perplesso; come poteva lei trovare il modo di generare altri esseri dal nulla, quando nemmeno lui che era un Angelo ci era riuscito?

«Scusa la mia perplessità ma, come vorresti fare per riuscire in un'impresa che fino adesso è stata portata a termine solo da Dio in persona, e che nemmeno io sono riuscito a fare?»

Urania sorrise.

«Io ho generato le mie fate. Le ho create dalla natura stessa, usando i miei poteri. Posso aiutarti a capire come fare. Ma dovrai farlo tu.»

Lucifero sorrise.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top