~2. ᖇᗝᗰᗩ~
Il mio primo giorno a Roma fu decisamente diverso da come me lo aspettavo. Non che non conoscessi i romani, venivo spesso a trovare mia nonna, ma viaggiare in metro era una cosa che avevo fatto pochissime volte, e non mi ricordavo di quanto fossero affollate e puzzolenti. Di quanto fossero frenetiche le persone in una metropoli del genere. Pur di passarti avanti e di fregarti il posti, possono letteralmente calpestarti.
Ma Soprattutto, non mi sarei mai aspettata di essere vittima di uno scippo. Ero appena uscita dalla fermata della metro, e con la coda dell'occhio vidi due idioti che stavano per investirmi con il motorino, sfrecciando molto vicini al marciapiedi. In realtà era il loro scopo. Stavo per attraversare la strada, ma mi feci subito indietro quando mi accorsi di loro. E nella frenesia del momento, non mi ero resa conto di quello che stava accadendo realmente. Solo dopo essermi ricomposta mi resi conto che mi avevano rubato la borsa. Fortunatamente per me, i documenti erano in valigia, e il telefonino ce l'aveva nella tasca dei jeans.
Quei due cretini si erano presi un pacchetto di fazzoletti, qualche assorbente e il mio burro per le labbra. Ah, e una crema per le mani ai fiori. Forse per quella mi dispiaceva, era costosa. Bel bottino, complimenti. Non sarebbero riusciti a ricavare niente nemmeno dalla borsa dal momento che non era di marca. Quello che erano riusciti a fare, era farmi innervosire. Grazie Roma, andremo d'accordo.
Sospirai, cercando di rimanere calma ricordandomi che avrei dovuto vivere lì. Ripetevo a me stessa che Roma non poteva essere così male, forse avevo solo visto il lato peggiore per primo.
Mia nonna viveva in uno dei quartieri più trafficati e contorti del centro, pieno di vie e viottoli. Era una donna di settant'anni, sposatasi giovanissima e divenuta nonna nel fiore della sua mezza età, con tre nipoti una migliore dell'altra, tra cui me. Io ero la più grande, poi c'era Aurora con cui mi passavo due anni, e l'ultima arrivata, la minuscola Sofia.
Nostra madre si era risposata da poco. Mio padre, un comandante di polizia, si spostava spesso per lavoro, rimanendo il più delle volte lontano da casa. Ed era così che aveva conosciuto un'altra donna, Rosa. Sono passati dieci anni ormai, e non gli do la colpa per quello che è successo. Tanto meno a mia madre. Suppongo siano cose che capitano e a cui vanno incontro moltissime famiglie. Ormai sembra essere la normalità, forse mi sarei sentita diversa se non fosse accaduto. In ogni caso non mi sono mai sentita di giudicare nessuno dei due. Hanno fatto le loro scelte, e nel bene o nel male quelle decisioni ci hanno portate a vivere a Roma. E ovviamente, ha portato Robert nelle nostre vite. Che non è poi tanto male.
Ricordo ancora il giorno mia madre lo conobbe, dovrebbe ricordarsi di ringraziarmi ogni giorno della sua vita. Dirò questa cosa anche alla piccola Sofia quando sarà più grande. Le dirò che se non fosse stato per me, mamma non avrebbe conosciuto Robert e lei non sarebbe nata. Mi sembra giusto che qualcuno mi riconosca i meriti.
Era l'estate di tre anni fa, eravamo bloccate nel traffico sulla via Aurelia, e la cosa stava diventando insostenibile. Viaggiavamo coi finestrini abbassati, direzione mare, e nonostante questo, non circolava un filo d'aria. Il tettuccio della nostra auto era diventato rovente e Aurora si lamentava come al solito. Le passai l'unica bottiglietta presente nella borsa frigo, e mia madre, che non avrebbe mai privato le sue figlie dell'unica bottiglietta d'acqua, si ritrovò ad umettarsi continuamente le labbra.
Fin quando uno sconosciuto non le passò una bottiglietta attraverso il finestrino abbassato.
Era un omone in confronto alla struttura esile di mia madre, se ne stava col busto fuori dal finestrino dell'auto che era ferma accanto alla nostra, e sorrideva, mostrando i suoi denti perfetti. Aveva allungato la bottiglia direttamente dentro il finestrino della nostra auto, piazzandola davanti al viso di mia madre, che presa alla sprovvista si spaventò e suonò il clacson.
Ma mia madre non si lasciò incantare dal suo sorriso, no. Anzi, in preda all'isteria, di voltò verso di lui, gridando come un'ossessa e rimproverandolo per il colpo che le aveva fatto prendere. Lui però non si arrese, e mentre mia madre urlava, la convinse a prendere la sua bottiglietta e a bere.
La cosa parve finire lì, Robert rientrò nella sua auto, sistemandosi sul posto del passeggero e non aveva più fatto irruzione nella nostra. Ma io sapevo che mia madre non avrebbe mai iniziato un flirt con noi due in macchina. Cercava sempre di sembrare perfetta e precisa, di essere un buon esempio per noi. Ma per quanto mi riguardava, era arrivato il momento che si rifacesse una vita, così presi io l'iniziativa.
Mi ero resa conto che mentre mia madre evitava in tutti i modi di guardare nella sua direzione, l'omone che le aveva offerto l'acqua non faceva altro che guardarla. Così mi avvicinai a mia madre, che mi guardò senza capire cosa stessi facendo, cosa mi servisse, e prima che potesse reagire, mi rivolsi direttamente a lui.
«Mi scusi, potrebbe darmi di nuovo la sua bottiglietta? Sa, mia sorella ha finito la nostra!»
L'espressione di mia madre ce l'ho tutt'ora impressa nella mente. Impallidì, lanciandomi uno sguardo omicida. Ed io la ignorai del tutto. Robert mi sorrise, facendomi l'occhiolino, e poi mi passò la bottiglia.
«Tienila pure, un gentiluomo non priverebbe mai tre fanciulle dell'unica bottiglia d'acqua!»
Sorrisi, ci eravamo intesi. Non mi aspettavo certo che si sarebbero sposati o che avrebbero avuto una bambina, ma è andata così e siamo tutti più felici. Ecco perché devono ricordarsi di ringraziarmi.
Persa nei miei pensieri, dopo quasi un'ora passata nel traffico di quella giungla che chiamavano città, ero finalmente arrivata a casa. E disfare le valige fu la mia priorità.
Mia nonna aveva una casa molto grande, una di quelle che si vedevano nei film anni '60, in stile sfarzoso, con mobili in legno pieni di ricami e i pavimenti in marmo. Io ed Aurora avremmo diviso la stessa stanza, accanto a quella in cui si erano trasferiti mamma e Robert. La piccola Sofia dormiva con loro, ma quella era una sistemazione momentanea.
Sebbene mia nonna continuasse a ripetere loro che per lei non c'era problema, e che sarebbe stata felice di averci lì, mia madre e Robert erano sempre più convinti di voler avere una casa tutta loro. E continuavano ad includere anche me nei loro progetti, e anche se ero consapevole che a mia madre avrebbe fatto comodo una mano con Sofia, io desideravo trovare la mia strada. Non avevo ancora accennato la cosa a nessuno, ma ero decisa a trovare un lavoro, magari come cantante in qualche pub o con qualche agenzia. In modo da potermi mantenere un monolocale tutto mio.
Dopo aver disfatto le valigie, ero intenta a sfogliare il giornale di annunci, alla ricerca di offerte di lavoro, quando mia sorella entrò saltellando. Spalancò la porta rumorosamente, facendola sbattere contro l'armadio. Sospirai, alzando gli occhi al cielo. Era sempre la solita, diciotto anni appena compiuti e sembrava una bambina.
«Ehi! Che fai?»
Si buttò di peso sul mio letto scaraventandomi quasi a terra.
Sventolai il giornale di fronte al suo viso.
«Non si vede?»
Le risposi. I suoi capelli biondi erano raccolti in una coda morbida, talmente lisci da risplendere nonostante la luce nella nostra camera non fosse tanta. Mi guardò coi suoi occhi celesti raggianti, e le sue lentiggini risaltavano sulla sua abbronzatura ambrata. Sapevo che aveva qualcosa da dirmi dal modo in cui era piombata nella stanza. Prese il giornale dalle mie mani e lo scaraventò ai piedi del letto.
«Basta, ci penserai domani. Oggi abbiamo altro a cui pensare!»
Aveva una personalità frizzante, molto più della mia, io ero quella più pacata, forse perché ero la più grande, e quindi la più responsabile delle due. Prese il cellulare, e dopo aver smanettato per un po' sul suo profilo facebook, lo girò verso di me mostrandomi quello che aveva trovato.
«Ladispoli, spiaggia, mare...e festa!»
Lo urlò praticamente nelle mie orecchie.
«Ha detto mamma che se vieni anche tu, guidi tu e dormiamo nella casa al mare di Cerenova, possiamo andare!»
Scossi la testa.
«Possiamo?»
Le chiesi scettica. Come se fosse stata una mia idea e non sua. Probabilmente mi aveva già messo in mezzo con la mamma.
«Si, possiamo! Senza di te non mi manda...»
Concluse, guardandosi le unghie rosse laccate e corte.
«E che cosa ti fa credere che io voglia venire? Rory, tu sei arrivata a inizio estate, io sono arrivata oggi. Ho lavorato fino a ieri sono stanca.»
«Bene, allora riposati e poi ci prepariamo!»
Lei era fatta così, trascinava sempre tutti. In pratica aveva già deciso. Mi alzai dal letto, avvicinandomi alla porta e lei mi tirò un cuscino addosso.
«Luna, avanti!»
«Posso almeno farmi una doccia?»
Sorrise, iniziando a saltellare come una bambina, correndo ad abbracciarmi. Riusciva ad avercela sempre vinta, opporsi era inutile.
Lasciai stare la ricerca del lavoro e me ne andai in bagno per levarmi di dosso il sudore che avevo accumulato tra treno e autobus. Solo quando entrai nella doccia mi resi conto di non essermi portata il cambio. Anzi, non avevo proprio la minima idea di cosa mettermi. Non ero una tipa da festa in spiaggia, ma sapevo bene per quale motivo lei voleva che andassi. Mi rimproverai per aver accettato senza pensare. Era una vera manipolatrice.
Avevo rotto da poco con Francesco. Tra me e lui le cose erano iniziate ad andare male appena gli avevo comunicato del mio trasferimento, nonostante in treno la distanza tra Roma e Viterbo non fosse molta. I primi giorni li passammo a litigare, mentre io continuavo a dirgli che in qualche modo potevamo sistemare le cose, farle funzionare. Ma lui insisteva sulle difficoltà di una relazione a distanza. Continuava a dirmi che sarei potuta rimanere, che potevamo cercare una piccola casa insieme e mantenerla. Non voleva capire, per me il trasferimento significava nuove opportunità di lavoro, e dovevo cogliere quell'occasione, soprattutto dal momento che volevo lavorare come cantante. Non c'erano molti locali di quel genere a Viterbo. Ed era proprio quello che lui non capiva, secondo lui avrei potuto continuare a fare la barista, ma non era quello che io volevo. Solo ora capisco che se mi avesse amata davvero mi avrebbe sostenuta. Anche se una strada del genere in Italia non è facile, avrebbe almeno potuto incoraggiarmi. Invece no.
Iniziò a rimproverarmi di aver lasciato l'Università, e per molte altre cose. Gli ricordai che se anche fossi tornata a studiare, sarebbe stato meglio per me trasferirmi a Roma. Fin quando non iniziò a distaccarsi. Inizialmente non capii subito, credevo che in qualche modo avesse accettato dal momento che i nostri litigi erano finiti. Non potevo sbagliarmi di più. Anche se non litigavamo, lui aveva preso l'abitudine di iniziare a sminuire tutto quello che facevo, ponendosi con delle battute che celavano in realtà quello che pensava.
Era passato un anno da quando gli avevo annunciato del mio trasferimento, e le cose tra noi erano cambiare in un modo che non era recuperabile. Quando ci sentivamo spesso litigavamo, e se non litigavamo, lui rispondeva a monosillabi. Io ne ero innamorata, quindi inizialmente non ci feci caso. Fin quando non scoprii tutto.
Una sera, dopo qualche settimana che avevo dei sospetti, lo seguii, per vedere se fossi paranoica oppure no. Un mio amico mi prestò il motorino, e io mi coprii in modo che non potesse riconoscermi. Francesco si fermò in una via buia, e io mi appostai dietro un cassonetto, cercando di nascondere bene il mio mezzo, aiutata dal fatto che fosse nero.
Lei arrivò e salì nella sua auto. Lei. Fu una doppia pugnalata, scoprire che era la mia migliore amica, solo poco prima nel pomeriggio stavamo organizzando l'uscita del giorno dopo, e lei sembrava entusiasta. Quando li vidi baciarsi, per me fu troppo. Misi in moto il motorino e sgassai, pronta a tornare a casa. Le lacrime scorrevano libere, e io non cercai di trattenerle.
Una volta arrivata a casa feci quello che non avrei mai creduto di fare in tutta la mia vita. Io conoscevo bene la password del profilo facebook di Francesco, e lui stava tranquillo, sapeva che non ci sarei mai entrata. E lo pensavo anche io, fino a quella sera.
Però dovevo sapere, non potevo e non volevo fare scenate. Dopo essere entrata aprii la chat di facebook, e la conversazione con Anna era la prima, subito sotto c'era la mia. La aprii, e scoprii che la cosa andava avanti da un po'. Più o meno da quando gli avevo detto della mia partenza. Era iniziata come una confidenza, e poi era andata oltre. Alla fine, in molte delle loro conversazioni, si dicevano che non vedevano l'ora che me ne andassi. Secondo loro era inutile che Francesco mi lasciasse, lo avrebbe fatto dopo la mia partenza, in modo da non doversi sorbire i miei piagnistei. E in quel modo Anna poteva continuare a parlarmi, almeno fin quando la cosa non sarebbe svanita da sola.
Mi fece male leggere quelle cose.
Non era Anna il terzo incomodo, ero io. Stavamo insieme da quattro anni. Ed ero finita per essere l'amante scomoda.
Decisi di non dire nulla a nessuno dei due, non avrei sprecato un minuto del mio tempo o un grammo delle mie energie per loro. Smisi semplicemente di cercarli. L'unica che continuava a mandarmi messaggi era lei, fin quando non le bloccai il contatto di whatsapp. Non so neppure se avesse capito il motivo oppure no, non mi importava. Se non ci arrivava da sola era davvero stupida.
Non dissi loro nemmeno quale sarebbe stato il giorno della partenza, non lo dissi a nessuno dei miei amici. Me ne sarei andata in silenzio, ma prima spedii ad entrambi una lettera. Avevo ad ognuno qualcosa da dire.
E Aurora sapeva che anche se non lo volevo dare a vedere, ne soffrivo. Più nell'orgoglio che per amore.
Mia sorella bussò alla porta richiamandomi alla realtà. Avevo ancora la schiuma tra i capelli.
«Luna, fammi entrare dai! Devo prepararmi anche io!»
Sorrisi, in fin dei conti quella testarda di mia sorella faceva tutto per il mio bene, e per non farmi pensare a quei due imbecilli. Che si fottessero e vivessero la loro storia d'amore come volevano. Facevano esattamente l'uno per l'altra. Due traditori.
Mi sporsi verso la porta, girando la chiave per farla entrare. Vedendomi ancora sotto la doccia, spalancò le braccia.
«Non ci credo, stai ancora così?»
Mi sgridò.
«Non ti agitare soré, faccio subito!»
Mi sciacquai più in fretta possibile, ma quando uscii dalla doccia mia sorella mi guardava con un'espressione torva in viso. Poi impallidì e gridò, puntando il dito verso di me. Io non capii, mi affrettai a guardarmi allo specchio, rimanendo a bocca aperta per lo stupore. Poco più su della mia clavicola c'erano due punti rossi, piccoli e profondi, da cui scendevano due rivoletti di sangue.
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