~1. ᐯᒪᗩᗪᎥᗰᎥᖇ~
Era primo pomeriggio, Vladimir stava viaggiando sulla metropolitana, diretto dal Re dei Vampiri. Era raro che lo chiamasse senza un motivo, e se lo aveva fatto doveva esserci una buona motivazione. Fu allora che accadde. Alla stazione di Termini, un profumo catturò la sua attenzione, anzi, più che catturarlo, ebbe il potere di ipnotizzarlo, di far uscire la sua parte più istintiva. Un odore che aveva il potere di stimolare i suoi più reconditi ricordi, di ere lontane, e nel caso suo, lontanissime.
Si alzò dal suo sedile, senza accorgersene, guidato da una forza invisibile come se il suo corpo non gli appartenesse più. Spostò malamente la signora di fronte a lui, senza curarsene, nonostante le imprecazioni di questa e della gente che gli stava intorno. Il vagone era pieno, ma con forza si fece strada, diretto senza alcuna difesa verso il punto da cui proveniva quel profumo inebriante. Un afrodisiaco per i suoi sensi da vampiro. E quando la trovò, il mondo intero svanì, e c'erano soltanto lui e lei a pochi centimetri di distanza. La ragazza se ne stava lì, inconsapevole di quello che stava accadendo, inconsapevole che dietro di lei un vampiro millenario la stesse fissando. Se ne stava in piedi, la testa china per controllare il cellulare, i capelli castani pieni di boccoli dai riflessi dorati che le ricadevano sul seno, lasciando il collo scoperto. Poteva vedere solo la sua schiena, ma per lui era abbastanza. Anche se non avesse mai visto il suo volto, non avrebbe mai dimenticato quel profumo, per niente al mondo. L'avrebbe ritrovata ovunque. E l'avrebbe riconosciuta all'istante.
Le si avvicinò lentamente, come se il solo fatto di vederla potesse essere un'allucinazione e potesse svanire da un momento all'altro.
Per anni aveva dissanguato innumerevoli vittime, abbandonando poi i loro corpi per le campagne nei dintorni di Roma, che spesso non venivano nemmeno ritrovati. Di ognuno di loro ricordava gli odori, il sangue era sempre unico, reso tale dallo stile di vita di ogni individuo; ma quello di lei era tutta un'altra cosa. Niente poteva somigliargli, neanche lontanamente.
Non era semplicemente il buon profumo della sua pelle a dargli alla testa, ma il suo sangue, che lo incantava come se fosse un potente e antico incantesimo che gli toglieva la ragione.
La raggiunse, arrivando così vicino da poterle sfiorare la schiena col suo corpo. Un contatto lieve, ma che ebbe il potere di produrre una scarica elettrica che gli attraversò ogni muscolo. Lei si scostò appena, probabilmente non ci fece molto caso, in un vagone pieno di gente capita che due persone stiano così tanto vicine da toccarsi. E anche se il fatto che un estraneo possa toccarti può essere fastidioso, in una situazione simile non ci si fa caso. E lo stesso fece lei, non ci fece caso.
Vladimir, in preda a quell'incantesimo, non si rese conto di aver saltato la sua fermata. Non si ricordava nemmeno più del suo appuntamento con Marcus, e in fin dei conti, non gli sembrava più tanto importante. Rimase li, in piedi dietro di lei, ad osservare il suo collo, l'osso che sporgeva leggermente dalla sua pelle chiara e liscia, le vene appena visibili sotto la sua pelle che lo invitavano a mordere. Resistere a quella richiesta gli costò uno sforzo enorme. Persino i suoi canini erano usciti senza che lui ne avesse il controllo.
Scosse la testa, nel tentativo di risvegliarsi da quella sorta di sogno, e ritirò i canini, prima che qualcuno potesse vederli. Si guardò intorno, allarmato da quello che era appena caduto, cercando di scrutare i volti delle persone intorno a loro, in cerca di un segnale che gli facesse capire se qualcuno aveva visto. Quando si sentì tranquillo, tornò a concentrarsi su di lei.
Gli parve che il tempo si fosse fermato, osservò ogni suo singolo movimento, cercando di farsi un'idea su chi fosse. Contò ogni suo respiro, concentrandosi sul rumore che l'aria faceva entrandole nei polmoni.
Una volta arrivata alla sua fermata, lei si mosse per uscire e lui non poté fare altro che seguirla, come se una catena invisibile lo legasse a lei. Stava cacciando? Non lo faceva mai di giorno, ma non aveva idea del perché la seguisse. Cosa cercava? Se ne voleva nutrire oppure no? Era la fame a spingerlo o la curiosità?
Una volta scesi dal treno, continuò a seguirla mentre camminava sulla banchina della metropolitana, per le scale mobili, rimanendo ad una distanza accettabile, che non avrebbe destato sospetti. Anche se i suoi occhi erano sempre fissi su di lei. Avrebbe dovuto decidere in fretta quello che voleva fare, continuare a seguirla poteva essere pericoloso, lei poteva accorgersene e a quel punto sarebbe fuggita, o avrebbe urlato, richiamando a se l'attenzione dei passanti.
Una volta arrivati al corridoio che li avrebbe portati fuori dalla stazione, prese la sua decisione: poco più avanti, una piccola porta era semiaperta, forse il ripostiglio degli inservienti, una porta metallica arancione, con una piccola finestrella da cui difficilmente qualcuno avrebbe visto qualcosa. Ne sondò l'interno con i suoi sensi da vampiro, cercando di capire se dentro ci fosse qualcuno, ma non si udivano ne battiti ne respiri. Era l'occasione perfetta. Si guardò intorno, in quel momento il corridoio era deserto, c'erano solo loro due. Era una delle uscite secondarie della metro, quelle che non erano frequentate da tutti perché portavano in vie meno importanti della zona. Di solito, le più affollate erano quelle che conducevano nelle piazze o nelle vie principali.
Era il momento di agire. O non avrebbe avuto più modo di farlo. Quando lei si trovò in linea d'aria con la piccola porta, Vladimir si mosse con velocità innaturale, afferrò la ragazza da dietro per le spalle, coprendole il torace con un braccio, e con l'altra mano le tappò la bocca, sollevandola da terra. Si precipitò all'interno della piccola stanza, mentre lei scalciava e si dimenava. Sentiva il suo battito sotto il proprio braccio accelerare. Una cosa che gli dava sempre alla testa. Appena entrato, si richiuse la porta alle spalle, continuando a tenere stretta la povera ragazza, che non stava capendo nulla di quanto le stesse per accadere.
Il profumo del suo terrore riempiva la piccola stanza in penombra, illuminata solo da una piccola finestrella in alto che dava in strada, mentre il rumore del suo flusso sanguigno gli riempiva le orecchie. Chiuse gli occhi, mentre i canini uscirono di nuovo. In condizioni normali sarebbe stata davvero una caccia. Ma ucciderla lì sarebbe stato veramente folle, non poteva occultare il corpo in nessun modo e non era intenzionato a lasciare tracce. Anche perché, il Re dei vampiri, lo avrebbe di certo punito. Non che potesse ucciderlo, ma poteva rendergli la vita un inferno se avesse voluto.
La fece voltare bruscamente, facendola sbattere malamente addosso al muro, bloccandola con il peso del suo corpo, mentre con una mano continuava a tapparle la bocca. La ragazza cercava di spingerlo via, di liberarsi, inutilmente contro una forza sovraumana come la sua. Ma lei ne era del tutto ignara. Non si sarebbe mai liberata, era bloccata da un predatore perfetto.
Vladimir avvicinò il suo volto a quello di lei, annusandola, sfiorando la sua guancia con le proprie labbra. Una lacrima le solcò il viso, e lui l'assaggiò. Sotto le sue forti mani sembrava un uccellino dallo sguardo impaurito. Un solo tocco e avrebbe potuto ucciderla. Quel senso di potere lo faceva eccitare.
Il suo profumo era sempre più forte in quella piccola stanza, una cosa che lo fece sorridere, scoprendo i canini. Quando la ragazza li vide emise un grido soffocato dalla mano possente di Vladimir. Si, aveva capito. I suoi incubi peggiori avevano appena preso vita. Vladimir si gustava sempre quei momenti magici, in cui la sua vittima si rendeva conto che di fronte a se non c'era un normale assassino, ma un vampiro assetato di sangue. Era il suo momento preferito, rendeva la sua caccia quasi teatrale, e lui si rivelava volontariamente, e si gustava sempre i momenti in cui quegli stupidi umani fuggivano. Li lasciava fare per un po', giocando al gatto col poco, rincorrendoli, dandogli l'illusione che potessero scappare. E poi li uccideva, lentamente, voleva che capissero che non era un incubo ma la pura realtà.
Ogni volta ricreava sempre la stessa vicissitudine di eventi.
Anche in quel momento, mostrò i suoi canini di proposito, e quando la ragazza spalancò gli occhi pieni di terrore, ne assaporò ogni istante. La guardò dritta negli occhi, cogliendone la particolarità: uno era celeste e uno nocciola intarsiato di verde. Era il momento di dare il via alla compulsione; anche se tutto ciò lo divertiva, non era certo di volerla uccidere. Un essere umano con un odore del genere non era normale. E lui voleva saperne di più.
«Ora leverò la mia mano dalla tua bocca, e tu non griderai, non fuggirai e non avrai paura di me...»
Le sue pupille si dilatarono quasi al massimo, si restrinsero e poi tornarono normali, segno che la compulsione era avvenuta con successo. Lei annuì, abbassando leggermente le palpebre, come se fosse drogata. Vladimir tolse la sua mano dalla bocca di lei, lentamente, come se la stesse accarezzando, osservandola più attentamente. La sua bellezza lo lasciò senza fiato, ucciderla sarebbe stato un vero peccato. Ora che la vedeva meglio, i suoi capelli castani avevano dei riflessi che passavano dal dorato al ramato, labbra carnose che parevano disegnate con una matita, un piccolo naso dritto, puntinato da alcune lentiggini. Si chiese se il suo carattere fosse indisciplinato tanto quanto il suo aspetto. La sua pelle era olivastra, leggermente abbronzata.
«Come ti chiami?»
Le chiese. Non lo aveva mai fatto con nessuna delle sue vittime, in fin dei conti che importanza aveva il loro nome? Con lei stava procedendo in modo del tutto diverso, e forse sbagliato. Se fosse stato furbo, sarebbe fuggito e l'avrebbe lasciata li. Per quella ragazza stava mettendo a rischio tutto quello per cui aveva lottato nel corso dei secoli, la sua libertà e i diritti di tutti i vampiri.
«Luna...»
Anche la sua voce era bellissima, seppure uscì come un flebile sussurro. Vladimir ripeté il suo nome, quasi sfiorandole le labbra tanto le era vicino, per quanto fosse ipnotizzato da lei. Poteva sentire il proprio respiro finire sulla sua pelle, una cosa che provocava nella ragazza una reazione strana, perché il suo respiro si fece più corto. Continuando in quel modo sarebbe di certo impazzito, si accorse di non essere mosso dalla fame, ma dal desiderio carnale nei suoi confronti. E se il buonsenso non lo avesse frenato, l'avrebbe posseduta lì e subito.
Si limitò a giocare un po' con lei, spostandole i capelli dal collo, le sfiorò la pelle con un dito. la sentì gemere lievemente, spostando il mento leggermente all'insù. Quella dannata ragazza invece di avere paura stava al suo gioco perverso. Ma subito dopo averlo pensato si diede dell'idiota; l'aveva soggiogata, ed era così preso da quel vortice di sensazioni, da essersene dimenticato.
Chiuse la mano stringendo il pugno, colpendo la parete dietro di lei che si sgretolò. Quando tolse la mano, al suo posto c'era un buco.
Maledetta ragazza. Chi sei davvero?
Sfiorò il tessuto della sua camicetta bianca smanicata, ne percorse il bordo del colletto, fino ad arrivare al primo bottone. Temporeggiò, sfiorando ancora per un po' la plastica del piccolo bottoncino perlato impreziosito da piccole gemme che chiudeva la camicetta. Ma si... afferrò il lembo che la chiudeva, e tirando, un bottone dietro l'altro, scoprì il suo seno, tenuto su da un reggiseno a balconcino rosso trasparente, ricamato con merletti molto fitti. L'impulso di toccarla era così forte che non era certo di voler resistere. I rapporti tra umani e vampiri erano severamente vietati, lei sarebbe morta e lui sarebbe stato rinchiuso fino alla fine dei tempi, lasciato in chissà quale luogo sperduto fin quando non ci fosse stato più sangue nelle sue vene. Avrebbe patito per anni, fin quando la sua mente non si sarebbe spenta. Ma chi lo avrebbe saputo? Sfiorò il suo collo con un dito, scendendo fino al centro dei suoi seni. La ragazza continuava a gemere, come se la cosa le piacesse. In circostanze normali non le sarebbe piaciuto affatto. Si fermò, non voleva rischiare di finire quasi essiccato per una stupida umana.
La piccola vena subito sopra la scapola pulsava in modo quasi prepotente, lo chiamava, lo invitava, ne sentiva il rumore e il profumo. Quello non sarebbe stato pericoloso. Un piccolo assaggio se lo poteva permettere.
«Questo ti farà male, dolce piccola Luna, ma tu non farai un fiato, sarai brava.»
Di nuovo la ragazza annuì, e lui non indugiò oltre, non aspettò di ricevere altre conferme. Aveva bisogno di quel sangue, come se non avesse mai desiderato altro da quando era venuto al mondo. Lentamente si avvicinò al suo collo, sfiorando delicatamente la sua pelle con le labbra, come se fosse un tenero bacio. I canini erano pronti, ma lui voleva che quel momento durasse il più possibile. Non voleva affrettare le cose. Le sue gengive pulsavano come se fossero infette, ma era solo la brama di sangue. quando i suoi canini sfiorarono la pelle di lei, la sentì gemere di nuovo e senza nemmeno accorgersene, le strinse un seno tra le mani, mentre i suoi denti perforavano la pelle fragile. Assaporò ogni istante in cui i canini affondarono, godendo di ogni millimetro che guadagnavano.
Quando il sangue uscì, finendo nella sua bocca, sbarrò gli occhi. Non aveva mai assaporato nulla del genere, per quanto lo riguardava, era la leggendaria Ambrosia degli antichi Dei. Chiuse gli occhi, e questa volta fu lui a gemere. Non capiva nel modo più assoluto cosa stesse accadendo, e fermarsi, fu davvero difficile. Stava per perdere il controllo, ma se lo avesse fatto, lei sarebbe morta. E non voleva. Una cosa del genere andava sorseggiata, e non bevuta tutta in una sola volta. E inoltre, era ancora più deciso a scoprire chi fosse in realtà.
Riluttante si staccò da lei, osservando i piccoli fori che i suoi denti avevano lasciato sul collo della ragazza. Era davvero un maestro a riguardo, riusciva a mordere senza provocare una ferita tale da far morire le sue vittime dissanguate, evitando che il sangue fuoriuscisse copiosamente. Si portò un dito alla bocca, bucandolo con uno dei suoi denti, e poi lo avvicinò alla ferita che le aveva fatto. Il suo sangue ebbe il potere di guarirla, lasciando appena un'ombra dei due fori, lievemente più rossi rispetto al colore della pelle. Entro la mattina seguente sarebbero guariti del tutto.
Afferrò di nuovo Luna per le spalle, era arrivato il momento di lasciarla andare.
«Torna sui tuoi passi, vai ovunque tu fossi diretta. Dimenticati di me, non ci siamo mai visti, e tutto questo non è mai avvenuto.»
Di nuovo la ragazza annuì e lentamente si richiuse la camicetta sbottonata. Una volta finito uscì dal ripostiglio, e lui subito dopo di lei. Rimase immobile mentre la guardava allontanarsi. Poi si mosse.
Non l'avrebbe persa di vista, era deciso a scoprire chi fosse veramente.
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