9. La Bestia
L'aveva detto.
Le parole che avrei voluto sentire più di ogni altra cosa al mondo, che avevo anelato per giorni. Il cuore mi scoppiava nel petto, il mio battito era accelerato. Smisi di piangere, ma non alzai lo sguardo verso il suo viso. Non volevo in ogni caso dargliela vinta, il pensiero che si era nutrito di me era ancora lì, in mezzo a noi.
Lui però poteva sentire il mio cuore, ne ero certa, e mi strinse a sé affondando il viso tra i miei capelli. Chiusi gli occhi. Era davvero quello che desideravo. Le sue mani che mi stringevano invadevano tutto il mio mondo. Sarei morta, perché mi sarebbe scoppiato il cuore nel petto.
Cercai di allontanarmi, dovevo riprendere fiato, respirare, bagnarmi il viso, dovevo fare qualcosa, non potevo rimanere lì, sul letto con lui. Ma lui mi trattenne.
«Non andare...»
La sua voce suonò roca, come se avesse davvero fatto fatica per farla uscire dalla gola. Potevo sentire il suo bisogno, ma non ero sicura che non fosse anche del mio sangue. Ero così confusa, dentro di me lottavano amore e ragione. Chiunque sarebbe fuggito. Chiunque. Io invece dovevo faticare per far stare zitta la parte irrazionale di me che mi gridava di rimanere. Una parte stupida, così stupida! Che cosa mi diceva la testa? Quello era un vampiro! Un mostro uscito dagli incubi di tutte le donne che aveva ucciso nel corso della sua esistenza.
Chissà se sarei morta anche io per mano sua. O per mano di Marcus. O di uno dei suoi... non sapevo nemmeno come chiamarli. Soldati? Qualunque cosa fossero, avevano l'ordine di uccidermi.
Mi tirai su a forza, aggrappandomi al cuscino sotto di me.
«Devo andare in bagno.»
Dissi secca. Mi controllavo a stento, la bocca si era asciugata all'istante. Se credeva davvero che mi avrebbe fatta sua solo per una parolina dolce che mi aveva detto, si sbagliava di grosso. Non avrei ceduto. Non quella notte, avevo bisogno di tempo per riprendermi dallo shock. Avrebbe dovuto capirlo. Percorsi lentamente i pochi metri che mi separavano dalla porta del bagno, entrai e mi chiusi dentro. Ironia della sorte, un altro bagno in cui rifugiarmi. Solo che questa volta era angusto, piccolo, con uno specchio da ripulire, una luce fioca. Dietro di me una doccia. Mi voltai, era quello di cui avevo bisogno. Iniziai ad armeggiare con gli sportelli e i cassetti, doveva esserci un asciugamano lì dentro!
Mi fermai quando Vladimir bussò alla porta. Chiusi gli occhi e sospirai, piegata a guardare in uno degli scaffali sotto il lavandino.
«Ti serve una mano?»
«Vorrei fare una doccia...»
Silenzio. Mi alzai, controllando la porta come se potessi vederci attraverso. Una porta di quelle laccate di bianco, scadente. Dopo qualche minuto bussò di nuovo alla porta. Deglutii, incerta se aprire oppure no. Me lo sarei trovata di fronte, costretta a guardare i suoi bellissimi occhi. Mi chiesi se il mio cuore avrebbe retto a tutto questo. Ma alla fine aprii, dovevo. Era li, in piedi, con un paio di asciugamani neri, grandi, piegati sulle mani e un accappatoio. Cercavo di tenere gli occhi bassi, ma lui non accennava ad allungare le mani per passarmi tutto. Così, per sbrigarmi e poter richiudere subito la porta, allungai le mani. Lui però fu più veloce, allungò una delle mani che stavano nascoste sotto gli asciugamani e mi afferrò.
La sua presa era forte, di pietra, eppure non mi faceva male. Tentai di ritrarmi, sempre senza guardarlo in viso.
«Dovrai concedermi un minuto, non credi?»
«Non credi di dovermelo concedere tu, invece? Ho diritto di riprendermi!»
Avevo alzato gli occhi, costretta a guardarlo. Forse se avesse visto la mia disperazione avrebbe capito. Mi guardò alcuni istanti, poi lasciò andare il mio braccio, e mi porse gli asciugamani. Avevo vinto, certo, ma il suo sguardo mi strinse il cuore. Anche lui era disperato quanto me. Mi tornò in mente in quel momento quello che aveva detto Marcus. I rapporti tra umani e Vampiri erano proibiti. E lui aveva appena confessato di amarmi, in barba a quella stupida legge.
Richiusi la porta in fretta, chiudendo fuori la sua schiena che si allontanava. Lo sentii accendere la televisione. Meglio così, avevo tutto il tempo che volevo. Mi sfilai velocemente i vestiti, facendoli cadere sul pavimento. Puzzavano, dopo tutto il tempo che ero rimasta chiusa in quella stanza ammuffita. Desiderai di essere a casa mia, con il mio armadio, i mei abiti, le mie cose.
Lasciai cadere l'acqua dalla doccia, gocce calde sulla mia pelle. Mi pareva di essere congelata, senza che me ne fossi resa conto. Mi accorsi solo in quel momento di sentire freddo, quando il calore dell'acqua mi avvolse e il vapore iniziò ad espandersi. Le lacrime ripresero a scendere, sciogliendosi come se non ci fossero davvero. Automaticamente, come un gesto di routine, iniziai a passare le mani tra i capelli.
Mi guardai intorno, c'era solo una bottiglietta dentro la cabina della doccia, uno shower gel da uomo. Desiderai ancora di più essere a casa mia. Ma mi accontentai, almeno il profumo era buono. Niente balsamo per i miei capelli, pazienza. Mi attaccavo a pensieri fugaci, per non pensare al guaio in cui mi trovavo, perché se ci avessi pensato davvero, probabilmente sarei sprofondata.
Dopo essermi sciacquata mi infilai l'accappatoio, troppo grande per me, e avvolsi i capelli in uno dei due asciugamani. Tornai davanti allo specchio rovinato per potermi guardare ancora. Avevo ripreso un aspetto normale. Vladimir aveva ancora la televisione accesa, non riuscivo a capire che programma stesse guardando, ma aveva poca importanza. Quello che mi interessava, era pensare che il mio tempo da sola era finito. Avrei dovuto aprire la porta e tornare nella stanza in cui c'era anche lui.
Aprii la porta, dopo essermi rivestita. La televisione andava da sola, non c'era nessuno nell'appartamento. Mi resi conto che aveva acceso la tv per non farmi sentire la porta d'entrata che si apriva e si chiudeva. Avanzai cauta, come se avessi paura di rendermi conto che ero da sola, nella casa di un vampiro. Aveva lasciato un foglietto sul letto. Un piccolo pezzo di carta, strappato da un taccuino. Aveva una bella calligrafia, fine e lineare, elegante e precisa.
"Non volevo allarmarti, se quando avrai finito non sarò ancora tornato, sarà questione di poco. Avevo bisogno di... nutrirmi. Scusami. Confido di ritrovarti a casa per quando sarò tornato. Riposati un po'."
Mi guardai ancora intorno. Certo, avevo l'opportunità di poter tornare a casa. Era un rischio, ma forse avrei potuto correrlo, andare dritta a casa mia senza fermarmi da nessuna parte, e restarci. Ma avevo il cellulare scarico, se mi fosse successo qualcosa non avrei potuto chiamare nessuno, nemmeno inviare un messaggio veloce. In una situazione normale non mi sarei fatta fermare da una sciocchezza simile, ma quando scopri che i mostri esistono, inizi a pensare a tutto.
Mentre pensavo, tenevo gli occhi fissi sulla porta, come se fosse un pericolo da cui avrei dovuto stare alla larga. Poi scattai come una molla rotta, senza penarci, recuperai il mio telefonino ed uscii. Corsi per le scale, non presi l'ascensore, per non fermarmi nemmeno un minuto in più. Aprii il portone del palazzo, e mi ritrovai nell'aria del mattino, il sole doveva ancora sorgere e una pioggia leggera bagnava tutto quanto.
Non conoscevo la zona, in realtà non conoscevo ancora nessuna zona di Roma, ma corsi. Presi la direzione alla mia destra e iniziai a correre. Da qualche parte sarei arrivata, una stazione metro, una stazione degli autobus. Ovunque le mie gambe mi avessero portata, purché fosse lontano da lì. Sarei tornata a casa, avrei fatto le valige, e sarei scappata. Avrei cambiato città, portandomi dietro mia sorella e la piccola Sofia.
La pioggia stava aumentando, ormai ero fradicia, le gocce d'acqua picchiavano sul mio viso facendomi male e impedendomi di vedere bene dove stessi andando. Finii addosso a qualcuno, ma non mi fermai nemmeno per chiedere scusa. Ero così spaventata, le parole di Marcus rimbombavano nelle mie orecchie. Aveva detto che se i suoi uomini mi avessero trovata senza Vladimir, avevano l'ordine di uccidermi. Uccidermi. Non di riportarmi in qualsiasi posto si trovasse quella sua strana corte, proprio eliminarmi. Magari si sarebbero nutriti di me prima...
Qualcuno mi afferrò per il polso, strattonandomi. Un uomo, con una barba folta, Con una felpa nera ed un cappuccio che gli metteva in ombra il viso, mi tirò a sé. Andai a sbattere contro di lui, l'impatto fu tale da spezzarmi il respiro. Era una cosa inaspettata, quindi la botta arrivò improvvisa. Alzai gli occhi per guardarlo, spaventata. Lui mi sorrise, gli occhi scuri avevano un guizzo di ironia, e un sorriso sornione mi mostrava i canini, bianchi e lucidi.
Cosa mi era venuto in mente? Come potevo pensare di non essere sorvegliata? Chissà quanti vampiri si aggiravano intorno casa mia o casa di Vladimir. La stretta sul mio braccio divenne sempre più forte, tanto che avrei urlato se non fossi stata così terrorizzata. Sentivo i tendini scricchiolare sotto la sua mano. Avevo il vantaggio di trovarmi su una strada principale, non mi avrebbe uccisa davanti a tutti i passanti. Avrebbe dovuto trovare almeno una via nascosa, forse potevo ancora scappare. Che poi, per andare dove? Mi avrebbe ritrovata sicuramente.
«Guarda cosa abbiamo qui! Dove te ne vai girando tutta da sola?»
Annusò il mio viso, la mia pelle. Come un animale inferocito che fiuta la sua preda.
«Devo ammettere che hai davvero un odore... particolare! Non ho mai sentito niente del genere. Credo proprio che ti terrò con me qualche giorno, prima di ucciderti! Dopo tutto, Marcus vuole vedere il tuo corpo come prova, ma non significa che non possa nutrirmi di te!»
Iniziò a tirarmi. Forse se avessi iniziato a gridare in mezzo a tutta la gente mi avrebbe lasciata. Invece accadde l'inaspettato.
«Cosa stai facendo?»
Riconobbi subito la voce che udii. Inconfondibile e in grado di far fermare il mio cuore. Vladimir, chissà come, mi aveva trovata. Non credevo sarei stata così felice di vederlo. Fino a pochi istanti prima, tutto quello che volevo era tornarmene a casa mia, scappare il più lontano possibile da lui. Invece, vederlo lì in quel momento, alto, mentre sovrastava l'altro vampiro che indietreggiava di fronte a lui, mi rese felice.
I suoi occhi non avevano nulla di umano, erano iniettati di sangue, e la bocca mostrava apertamente i canini, più lunghi rispetto a quelli dell'altro. Come due cervi che si misuravano incrociando i palchi. Ma il mio rapitore, se così si può definire, non si lasciò intimorire più di tanto. In fondo, io avevo infranto l'accordo.
«Dovevi tenerla d'occhio! Marcus ha dato ordine di ucciderla se fosse stata vista senza di te!»
«Vuoi che ti stacchi la testa qui, o possiamo andare altrove? E comunque, era con me, stavamo correndo.»
«Ma davvero? Mi sembrava sola in realtà!»
«Vuoi mettere in dubbio la mia parola?»
Lo sconosciuto grugnì, poi dopo qualche secondo, mi scaraventò addosso a Vladimir. Sta volta ero preparata all'impatto, e lui mi cinse con un braccio, proteggendomi.
Rimasero a guardarsi per alcuni secondi, poi l'altro si voltò e se ne andò. Vladimir rimase immobile a guardarlo allontanarsi. Poi, senza dire nulla, si avviò verso casa sua, tenendomi ancora per il braccio. La sua presa non era più gentile, potevo sentire le dita stingermi la carne e bloccarmi la circolazione. Era forte, davvero forte. La sua mano oltre ad essere fredda, sembrava dura come il marmo.
Non credevo di aver fatto tanta strada correndo, eppure tornando indietro sembrava di più rispetto a quella che avevo percorso da sola. Quando arrivammo sotto il suo palazzo, aprì con violenza il portone, spaventando una donna che stava per uscire, e mi trascinò sulle scale, tirandomi, fin quando non fummo nel suo appartamento. Mi strattonò, lanciandomi praticamente verso l'interno, poi entrò e richiuse la porta.
Rimasi immobile, al centro della piccola cucina, guardandolo camminare avanti e indietro, con impazienza e a pugni chiusi. Poi colpì la parte dietro di lui, affondandovi la mano. Alcuni pezzi di intonaco finirono a terra. La mano insanguinata, guarì pochi istanti dopo. La guardai affascinata, non avevo mai visto una cosa del genere.
Dalla sua gola sentivo provenire dei rumori bassi, simili a ruggiti di una belva famelica. Avevo paura, il mio cuore batteva all'impazzata. Poi si voltò verso di me, gli occhi ancora rossi per il sangue che vi era affluito. Venne verso di me, puntando i suoi occhi nei miei, ed io indietreggiai. Il suo volto era contorto dalla rabbia, era la creatura più spaventosa che avessi mai visto, nemmeno Marcus mi aveva fatto così tanta paura quando lo avevo visto la prima volta. Poi lo vidi cambiare, i canini aumentarono, divennero quattro, invece di due. Accanto a quelli più grandi ne spuntarono due più piccoli, la pelle del viso sembrò cambiare, prendendo sfumature nere, simili a venature che si diramavano da sotto la maglietta.
Finii contro il muro, senza nessuna via di fuga, lui mi bloccò poggiando le sue mani sul muro dietro di me, una mano a destra e una a sinistra, sovrastandomi. Del verde dei suoi occhi era rimasto ben poco, anche del suo aspetto umano. Mi voltai, guardando le mani, sembravano quelle di un mostro, al posto delle unghie erano spuntati gli artigli.
Si stava trasformando. Alcune leggende dicevano che Dracula di trasformasse in pipistrello, ma quello sinceramente mi parve troppo. Sulla sua testa spuntarono delle protuberanze, che poi divennero grosse corna ricurve, il suo corpo crebbe, la muscolatura esplose sotto i suoi vestiti, lacerandoli. Ero completamente terrorizzata, la voce era bloccata, non riuscivo nemmeno ad urlare. Non era più Vladimir. Era un mostro, uno vero, una bestia che non poteva essere un Vampiro. Ma poi, cosa potevo saperne io? Ero paralizzata.
«Hai paura?»
La sua voce era cambiata, era mostruosa, più simile ad un ringhio animale che ad una voce umana, più bassa, sembrava riempire l'intera stanza. Non risposi, non potevo. Iniziai a tremare.
«Brava fai bene. Spaventati. Sei fortunata perché tutti i Vampiri che incontrerai hanno paura di me! Io sono l'unico che può ucciderli, l'unico che può proteggerti. Guardami bene ragazzina, ho cercato di essere buono con te, di fidarmi, lasciandoti qui per nutrirmi, senza portarti con me e farti assistere. E tu, sei scappata. C'è solo una persona che può uccidermi e quello è Marcus, che ha l'unica arma in grado di annientarmi, e tu avresti messo a rischio anche la mia vita! Non te ne frega niente di me vero? E nemmeno di te a quanto pare! Ma da oggi in poi, non metterai mai più a rischio la mia vita, e se proprio vuoi morire, sarò io ad ucciderti! Basta che me lo fai sapere! Ma non scapperai ancora, sono stato chiaro?»
Non riuscii nemmeno ad annuire, solo a tenere gli occhi sbarrati, guardando la sua bocca terrificante. Poi lui si voltò, fracassando con un colpo il piccolo tavolino su cui avevamo chiacchierato poche ore prima. Prese le sedie e le scaraventò sul pavimento, rompendole in mille pezzi. Respirava affannosamente, come se avesse voluto frantumare me invece che quegli oggetti. Poi, lentamente, riprese le sue sembianze umane. Mi accasciai a terra, ancora tremante, colpita dalla realtà del mondo in cui ero finita. Un mondo in cui i mostri erano reali, la vita umana non contava niente, e poteva essere spazzata via come se fosse sabbia mossa dalle onde di un mare tumultuoso. La mia vita poteva finire da un momento all'altro, e sarebbe bastata una mano di Vladimir per porvi fine, senza dover per forza prendere il mio sangue...
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