5. Libri e Polvere




Non avrei mai pensato di avere il coraggio di fare un passo del genere, e soprattutto, non mi sarei mai aspettata di poter provare qualcosa per Vladimir. Per come era iniziata, ero certa che lo avrei odiato fino alla fine dei miei giorni, per motivi sconosciuti. Ero del tutto sicura che la sensazione di terrore fosse data dal fatto che lui poteva essere una specie di serial killer, ed io, chissà per quale ragione, lo percepivo col mio sesto senso.

Un sesto senso che non mi aveva salvata da Francesco, però. Questo avrei dovuto ricordarmelo nel momento in cui avevo iniziato a dubitare delle buone intenzioni di Vladimir. E invece avevo passato le ultime settimane a stare alla larga da lui, quando veniva a trovare mia sorella. Non avrei mai immaginato di ritrovarmi davanti al portone di casa ad attenderlo, con lo stomaco che si contorceva dal nervoso. Che cambiamento repentino avevo avuto, dal giorno precedente. Ma più ci pensavo, più mi ritrovavo a pensare ad altro.

Come se i miei pensieri non volessero soffermarcisi, o non potessero. Per qualche strana ragione, il mio cervello non voleva chiedersi come fossi passata dall'odio all'amore in una sola notte. Anzi... in un pomeriggio. O forse era il cuore che impediva al mio cervello di ragionare. Chissà.

I minuti passarono lenti come ore, eppure non attendemmo per molto, ma a me sembrarono attimi interminabili. Quando finalmente lo vidi arrivare, nella sua Audi bianca brillante, sentii il cuore salire direttamente in gola, le orecchie fischiare e le mani sudare. Era arrivato il momento, ed io non ero pronta.

Si fermò direttamente davanti a noi, e il suo sguardo si posò subito su di me. Solo per un attimo, poi lo distolse, per scendere dalla macchina e aprirci lo sportello. Era un'auto a tre porte, quindi spostò il sedile anteriore, porgendo la mano ad una di noi. Mia sorella, prontamente e con il suo solito atteggiamento esuberante, afferrò la sua mano, precipitandosi ad entrare in macchina.

«Io sono la più piccola, il mio posto è dietro! Da una vita ormai, ci sono abituata, che nessuno tenti di rubarmi il posto!»

Si sedette e mi sorrise, un sorriso malizioso, col quale mi diceva esattamente quello che pensava. L'aveva fatto di proposito, proprio per fare in modo che io mi sedessi accanto a lui. E la cosa mi agitava, proprio come una ragazzina alla sua prima cotta, quello che mi ero ripromessa di non apparire. Invece, quando lui tirò indietro il sedile, e mi porse la sua mano per aiutarmi a sedere, fu proprio quella che sembrai. Una ragazzina, stupida ed impacciata. Ebbi il timore anche di sfiorargli la mano. Ma non potevo rifiutarmi, farlo sarebbe stato scortese, oltre al fatto di dimostrare che aveva il potere di destabilizzarmi. Non dovevo mostrare quel lato di me.

Così appoggiai la mia mano sulla sua, in modo quasi impercettibile, così tanto che le nostre dita si sfiorarono a malapena, provocandomi un brivido tale che la mia pelle divenne elettrostatica, e una scintilla schiccò nel punto in cui le nostre mani si sfioravano. Mi spaventai talmente tanto che urlai, balzai sbattendo la testa sul tettino della macchina, e caddi seduta sul sedile. In modo scomposto. Mia sorella scoppiò a ridere, come se avesse visto un pagliaccio fare un numero al circo. Arrossì, guardando con la coda dell'occhio Vladimir, che ovviamente sorrideva. Un sorriso divertito.

«Ti fa tanto ridere?»

Gli chiesi, con il tono più acido che potevo tirare fuori. Attaccare mi parve la miglior difesa.

«E' colpa tua se sono caduta!»

Lui non rispose, continuò a sorridere mentre chiudeva lo sportello e faceva il giro della macchina, per riprendere il suo posto sul sedile del guidatore. Chiuse tutti i finestrini, accendendo l'aria condizionata. Nonostante fosse Settembre, le ore di punta rimanevano ancora calde rispetto alla stagione.

E si sa, a Roma fino ad Ottobre, le ore di punta possono diventare davvero calde.

Fu lui a decidere la meta. C'era una libreria al centro di Roma che sapeva di vecchio. Ma non nel senso dispregiativo del termine, odorava di carta vecchia. Il profumo della carta ha sempre un che di affascinante. Molti dei libri venduti li, dovevano avere venti o trent'anni. Alcuni avevano le copertine consunte, sbiadite dal tempo. Alcuni molto più nuovi. Affascinanti. Mia sorella rimase perplessa inizialmente, ma Vladimir la rassicurò. Molti studenti si recavano li per comprare libri di testo scolastici usati.

Aurora si allontanò verso il bancone, rimanendo a chiacchierare col ragazzo che prendeva i nomi dei libri che le occorrevano. La guardai per qualche istante, e dal momento che mi pareva ci avrebbe messo un po', mi allontanai anche io, girando tra gli scaffali di alluminio laccato di bianco. Non so cosa mi attirava. Certo, mi piaceva leggere, le mie storie preferite erano fantasy o paranormale, o comunque tutto quello che allontanasse la mia mente dalla realtà, catapultandomi in un mondo diverso da quello che vivevo abitualmente. Leggere cose troppo simili alla mia vita non mi interessava.

In fondo al negozio, nascosto da alcune pile di libri accatastate in un angolo, c'era un piccolo corridoio. Non c'era il divieto di entrare, quindi mi apprestai ad attraversarlo. L'illuminazione era fioca, c'erano alcune lampade a muro di una luce arancione. Il corridoio era breve, e dava su una stanza adiacente a quella più grande, divisa anche essa da scaffali pieni di libri. E pergamene. Non ne avevo mai viste in una libreria. Mi avvicinai, camminando come se le mie scarpe fossero la cosa più rumorosa del mondo, mi pareva di profanare quel luogo. Anche li la luce era fioca, e nell'aria si intravedevano granelli di polvere che fluttuavano nei pochi raggi di sole che passavano attraverso le grate della finestra posta in alto.

Le mie dita accarezzarono i bordi arrotolati di molte pergamene, e di libri ancora più vecchi e laceri. Le giunture delle copertine erano sfilacciate, la polvere formava uno strato bianco-grigio sulle pagine ingiallite. Poi successe qualcosa. Tra tutti i libri, uno in particolare attirò la mia attenzione. Mi sentii come ipnotizzata dalla copertina nera lucida. Quel libro stonava in mezzo a tutti quelli presenti nella stanza. Erano tutti pezzi di antiquariato, era abbastanza evidente. Ma quello no.

La copertina era di pelle, nera e ben tenuta, non aveva graffi né sfilacciamenti di sorta. Le pagine erano bordate d'oro e sembrava non ci fosse scritto nulla. Vedevo solo la costa del libro, nient'altro. Così allungai la mano, e feci per estrarlo.

«Fermati.»

Sobbalzai. Ero così persa nell'atmosfera che mi pareva di essere uscita fuori dal mondo. Era come se nel mondo ci fossi solo io e sentire una voce mi spaventò. Mi voltai, guardando Vladimir, che nel frattempo aveva bloccato la mia mano. Guardai la sua mano, pallida, chiusa sul mio polso. Era fredda.

«Tu non vuoi veramente prendere quel libro.»

La sua voce era fredda e glaciale, ma ferma e autoritaria. Pronunciò quella frase come se fosse la cosa più importante a cui dovessi prestare attenzione. Mi colse di sorpresa, per questo esitai un attimo prima di rispondere. Ma dopo qualche secondo, riacquistai il mio autocontrollo.

«Vorrei almeno osservarlo, non credi?»

«Lascia stare. Credimi. E poi che te ne fai di libri polverosi? Questa libreria vende solo merce usata, sicuramente troveresti di meglio in altre librerie.»

Lasciò andare la mia mano, prima di continuare.

«Comunque tua sorella ha fatto, dovremmo andare a consegnare i tuoi curriculum, ricordi?»

Mi lasciai spingere fuori da quella stanza. Le sue mani mi sfioravano le spalle nude, con un tocco talmente tanto leggero da farmi venire i brividi. E passare nel corridoio buio, sapendo che Vladimir aveva la sua mano sulla mia pelle nuda, mi fece uno strano effetto. Lo stomaco si mosse e il cuore rallentò appena. Repressi l'istinto di fermarmi. Deglutii e proseguii uscendo dal corridoio e tornando nelle luci calde del resto della libreria.

Mia sorella mi aspettava appoggiata al bancone, tutta sorrisi e occhi per il ragazzo che l'aveva servita.

«Marco non ti approfittare di una ragazza innocente, lei è sotto la mia custodia, ti avverto.»

Suonò strano solo a me credo. Ma lasciai andare via quelle parole dalla mia testa, era evidente che mia sorella e quel ragazzo stavano flirtando, e Vladimir lo conosceva, dovevano essere amici per rivolgersi a lui in quel modo. Infatti, il ragazzo del bancone si voltò verso di noi, sorridendogli in modo amichevole.

«Non vorrai tenerle tutte per te?»

«No, affatto amico mio. Ma lei non è una delle tue solite vittime mordi e fuggi. Chiaro? Se parli con lei, la tratterai da vera signora, intesi?»

I due ridevano, e anche mia sorella. Il mio sesto senso mi diceva qualcosa, ma lo ignorai, e sorrisi anche io. Vladimir e Marco si salutarono con una possente stretta di mano, fissandosi negli occhi. Poi Marco prese la mano di Aurora e la baciò. Mia sorella ci stava mettendo tutta se stessa per flirtare con quel tipo, sbatteva gli occhi e sorrideva timidamente, cosa che non era affatto. Prese una penna dal bancone, e frettolosamente, scrisse qualcosa sulla mano del ragazzo dietro il bancone. Sollevai gli occhi al cielo. Aveva la carta a disposizione. Un foglio che si trovava proprio sotto il braccio di Marco. Lei doveva proprio scrivere il suo numero sulla mano di lui. Era fatta così e non potevo farci niente.

Una volta fuori, dopo aver risalito le scale che ci riportarono a livello stradale, osservai il cielo, pieno di nubi grigie che si erano addensate sopra le nostre teste. Avvertivo l'aria più fredda causata dalla bassa pressione, e l'odore di pioggia trasportato dal vento.

«Sarà meglio tornare in macchina, tra poco inizierà a piovere.»

Dissi. Vladimir mi guardò in modo strano, e quando me ne accorsi, scrollai le spalle. Vedendo che non si muoveva, mi avviai io per prima in direzione del punto in cui avevamo parcheggiato, lasciando che loro due mi seguissero.

Durante il viaggio di ritorno, mia sorella tempestò Vladimir di domande su Marco. Quanti anni aveva, se la libreria fosse sua, se usciva con qualcuna, quanto erano amici. Il terzo grado. E lui rispondeva, a volte si a volte lasciava dubbi sulle risposte, il tutto ridendo come se fosse la cosa più divertente del mondo.

«Vedo che come sorelle avete qualcosa in comune!»

«E sarebbe?»

Risposi, prendendo parte per la prima volta alla conversazione.

«Ma come? Vi piacciono i tipi tenebrosi!»

Mi voltai verso il posto del guidatore, guardandolo prima di rispondere.

«Scusami? E chi sarebbero i tipi tenebrosi?»

Vladimir rise sonoramente, e mia sorella rispose per lui.

«Marco e Vladimir, polla!»

Arrossii, tornando a guardare la strada, mentre le prime gocce d'acqua bagnavano il parabrezza. Cambiai discorso, concentrandomi sulla pioggia.

«Ve lo avevo detto che stava per piovere.»

Vladimir mi guardò, sorridendo. Potevo sentire i suoi occhi su di me, ma scelsi di ignorarlo, sebbene lo avessi visto con la coda dell'occhio. Poi la pioggia, all'inizio leggera, divenne un vero e proprio acquazzone. Le vie si riempirono di traffico, i tergicristallo andavano a velocità massima, e nonostante tutto la visibilità era scarsa. Decidemmo di comune accordo che avremmo atteso che spiovesse un po' per andare a consegnare i miei curriculum. Nel frattempo Vladimir ci aveva riaccompagnate a casa, e mia nonna lo aveva invitato a salire. La piccola Sofia era sveglia, e il pranzo era pronto, quindi perché non fermarsi a mangiare tutti insieme? Idea di mia sorella.

Mi faceva piacere che rimanesse Vladimir? Si certo. Certo. Ma la sola idea mi agitava, come una bambina stupida. Non riuscivo proprio a comportarmi da donna. Detestavo perdere il controllo delle mie emozioni. Vedere Vladimir, bello, sicuro di se e sorridente mentre mangiavamo tutti insieme, scherzare con mia sorella sempre più sicura e solare rispetto a me, mi fece sentire insicura e non degna di lui. No, forse non degna non è il termine giusto. Non all'altezza. Pensai che probabilmente aveva una fila di ragazze dietro di lui, magari ne aveva ogni sera una diversa, uno così poteva farlo tranquillamente.

Ed io mi ero appena innamorata di un ragazzo che probabilmente era irraggiungibile, o che da me non avrebbe mai desiderato altro che quello che tutte potevano dargli. Perché io sarei dovuta essere migliore? Repressi a stento l'istinto di andarmene dal tavolo e fuggire in camera mia a piangere, dovevo rimanere, per educazione. Rimasi, ma in silenzio. Osservando la gioia e le risate degli altri commensali.


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