22. Freddo


La nostra "gita" in barca era continuata nel totale silenzio. Mi sembrava di aver rovinato tutto di nuovo parlando del futuro. Vladimir non mi guardava nemmeno, evitava ogni contatto. Ed io, non ricevendo risposta alla mia ultima domanda, evitavo di fare conversazione. Non potevo non chiedermi se davvero lui non ci avesse pensato. Forse era esattamente come diceva Ilona; un vampiro si innamora in modo più profondo rispetto ad un essere umano, ed essendo immortale, non può sperare in un futuro con un'umana, a meno che questa non diventi immortale. Ma se ami una persona, la trasformeresti davvero in un vampiro?

Non riuscivo a capire dove fosse il problema. Una vita di solitudine? Certo, trasformarmi avrebbe significato dire addio ai miei cari prima del tempo. La cosa mi dispiaceva. Ma i miei cari prima o poi sarebbero comunque morti, e prima o poi avrei dovuto comunque affrontare la perdita dei miei genitori. Si magari sarei invecchiata con mia sorella, avremmo cresciuto i nostri nipoti un giorno. Ma per quanto avrei rimpianto il mio amore per Vladimir? Per quanto avrei conservato il ricordo del nostro amore? E sarei mai riuscita ad amare qualcun altro in questo modo?

Chi lo sa, forse si. Ma mi sembrava molto più semplice in quel momento andare lontano dalla mia famiglia, sentirci ogni tanto, e più in la osservarli da lontano e magari proteggerli silenziosamente. Poteva bastarmi, pur di stare con lui.

Vladimir attraccò il nostro yacht in un molo che pareva abbandonato. Aveva ragione, faceva molto più freddo rispetto alla Romania, e tutto era coperto dalla neve. Scese, porgendomi poi una mano per aiutarmi a fare altrettanto. Guardai la sua mano, incerta se prenderla oppure no. Decisi di rifiutarla. Doveva vedere che in qualsiasi occasione potevo cavarmela benissimo. Sentii il suo sguardo addosso quando scesi dalle scalette. Ma lo ignorai. Rimasi ferma, aspettando qualsiasi cosa dovessimo fare. Ma lui non si muoveva, rimaneva a guardarmi.

«Allora? Cosa dobbiamo fare?»

Lui rimase in silenzio ancora qualche istante, poi si mise di fronte a me, guardandomi seriamente.

«Luna, come fai a non capire?»

Lo interruppi.

«No, io capisco benissimo invece. Mi hai presa per stupida forse? So cosa comporterebbe, credimi, ci ho pensato. Trasformarmi ha molte conseguenze, tra cui dire addio alla mia famiglia. Anche se potrebbe non essere necessario in modo definitivo, dal momento che sono assolutamente certa che mia sorella capirebbe. Ma anche se fossi costretta a farlo, è una mia scelta! E credi forse che non trasformarmi sarebbe una soluzione? E quanto andremmo avanti? Ma soprattutto, quanto tempo impiegherei per dimenticarti? Per quanti anni mortali mi porterei dietro il tuo ricordo e il dolore che esso mi causerebbe? Sei immortale, Vladimir, ma non conosci tutto, soprattutto, non puoi sapere cosa sia meglio per me. Levatelo dalla testa. Hai migliaia di anni in più di me, ma sono adulta, si forse sono giovane, ma non significa che i pochi anni che ho vissuti non mi diano la facoltà di discernimento. Non sai cosa io abbia passato nella vita e non puoi giudicarmi dopo qualche mese che mi conosci.»

«Bene, allora nemmeno tu puoi rinunciare alla tua vita mortale per uno che conosci appena, mi pare ovvio no?

Si voltò e si avviò verso la terra ferma, camminando a passi decisi sul molo. A me non restava che seguirlo. Ma questo non voleva dire che avevo gettato la spugna, avrei vinto io. Appena toccò terra, raccolse un grosso masso, e dopo averlo soppesato un po' tra le mani, lo lanciò contro lo yatch. Lo tirò ad una tale velocità che riuscì a fare un vero e proprio buco, da cui iniziò ad entrare acqua. Poi, molto velocemente, si avvicinò alla nostra imbarcazione e la spinse lontano con forza sovraumana. Rimasi a guardarlo affondare lentamente, a bocca aperta. In che modo sperava fossimo tornati indietro?

Quando lo yatch fu affondato del tutto, si voltò e tornò indietro, e mentre mi passò accanto, parlò.

«Ho nascoso qualunque cosa li aiuti a rintracciarci. Perderanno le nostre tracce a Costanza, e anche se controlleranno l'intero Mar Nero, non avranno mai la certezza ne che siamo partiti, ne dove siamo arrivati. E come ti ho detto, Marcus non ha modo di sospettare che siamo venuti in Russia, in fin dei conti, qui non c'è più nulla che ci interessi.»

Lo guardai sbalordita. Era un ottimo stratega, mi chiesi quante volte si fosse trovato al comando di truppe e a dover attuare misure come quella.

Il luogo in cui ci trovavamo era sperduto nel nulla, era chiaro che quel molo non veniva utilizzato per vie legali, e non era sicuramente dichiarato. Di fronte a noi c'era la foresta più grande che io avessi mai visto. E appena fuori dalla finestra c'erano due cavalli sellati, legati ad un tronco morto.

Io non avevo mai cavalcato in vita mia, come avrei fatto? La cosa importante fu che Vladimir mi aiutò a salire sul mio, prima di recarsi verso la foresta, staccare un ramo da un albero, e intimarmi di rimanere assolutamente immobile sul mio cavallo. Erano due bellissimi cavalli bianchi, dalla criniera folta e gli zoccoli larghi. Si sarebbero camuffati bene col bianco della neve. Se non fosse stato per i nostri vestiti.

«Cosa stai facendo?»

«Cancello le nostre impronte. La neve qui congela, e queste impronte sono un libro aperto per chi sa seguire le tracce. La cosa buona è che tra poco nevicherà, e anche il tuo odore sarà meno percettibile. Ma dobbiamo affrettarci»

Con il ramo che aveva preso cancellò le impronte, disperdendo la neve da una parte all'altra. Quando ebbe finito, pareva che nessuno fosse mai passato di li.

Da una sacca legata al fianco dei due cavalli tirò fuori due enormi cappotti di pelo bianco. Evitai di chiedermi come fossero fatti, quando mi aiutò ad indossarli. Poi mi passò dei guanti fatti allo stesso modo. E un copricapo di folta pelliccia bianca. Bene, eravamo completamente mimetizzati con il paesaggio intorno a noi.

Appena ci addentrammo nella foresta, Vladimir scese dal suo cavallo per cancellare le tracce che erano ancora visibili. Il mio cavallo era legato al suo, in modo che non potessimo perderci. Questo significava che avrebbe viaggiato abbastanza distanzi, senza poterci parlare più di tanto. Lui magari anche in mezzo ad una tormenta mi avrebbe sentita, ma io probabilmente non avrei sentito lui.

Avevamo viaggiato sullo yatch per quasi tutta la notte, e anche se iniziava ad albeggiare, i fitti alberi della foresta impedivano ai raggi di sole di penetrare e raggiungere il suolo. Quello che sapevo era che eravamo sbarcati nella parte più sud della Russia, e faceva comunque molto freddo, e iniziai a chiedermi quanto ci saremmo addentrati, e quanto avremmo cavalcato prima di raggiungere la nostra destinazione.

Cavalcammo per tutto il giorno. Ero esausta e sfinita quando Vladimir fermò i cavalli. Scese di cavallo, e da un'altra sacca tirò fuori una tenda di quelle che si montano velocemente per il campeggio. Dopo avermi aiutata a scendere montò la tenda, in completo silenzio. La tenda era piccola, appena sufficiente per due persone. L'idea di stare li dentro con lui mi metteva leggermente in soggezione, visto che dopo la nostra discussione non ci eravamo praticamente rivolti la parola.

«Mi dispiace non poter accendere un fuoco per rendere l'ambiente leggermente più caldo, ma all'interno della tenda dovresti stare bene. Rimani coperta, e chiudi l'entrata in modo che il tuo calore corporeo non vada disperso.»

«Non vieni dentro anche tu?»

La mia domanda uscì quasi strozzata dal pianto. Mi stava evitando, si era allontanato di nuovo, costringendomi ancora una volta a corrergli dietro. La cosa stava diventando sfiancante, ma se credeva che avrei rinunciato, si sbagliava di grosso. Mi lanciò uno sguardo interrogatorio, che non riuscii a decifrare. E nemmeno riuscii a sostenere, abbassando lo sguardo. Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, ma senza dire una parola e senza darlo a vedere, entrai nella tenda, richiudendo subito la lampo dietro di me.

Guardai l'interno della tenda, troppo vuoto per me. C'era un sacco a pelo dentro, uno solo. Lui non aveva la minima intenzione di stare vicino a me. Sospirai, ero troppo stanca per rifiutarmi di dormire.

Dopo essermi sistemata fissai il telo sopra di me, non so per quanto, ma ad un certo punto probabilmente scivolai nel sonno.

Mi risvegliò Vladimir, il sole non era ancora sorto. Aveva preparato una zuppa in scatola con un fornelletto da campeggio, e solo l'idea di mangiare qualcosa del genere appena svegliata mi dava la nausea. La mia colazione solitamente era diversa, ma mi sarei adattata.

Chiusa nel mio ingombrante cappotto peloso di dubbia provenienza, me ne stavo seduta su un tronco improvvisato, fissando la mia ciotola fumante.

«Non sarà calda ancora per molto, devo ricordarti che fa molto freddo?»

Sussultai. Non mi aspettavo di sentire la sua voce. Lo fissai per alcuni istanti, incenerendolo con lo sguardo. Ma aveva ragione, e iniziai a mangiare. Il sapore era ancora peggio dell'aspetto, ma mi costrinsi a mandare giù, immaginando che non avrei avuto molte occasioni per fare altri pasti.

«Tutta questa roba, quest'attrezzatura...chi ce l'ha messa?»

«Te l'ho detto che ho contatti qui in Russia. Ti basti sapere che ho fatto una chiamata prima di partire, e subito dopo ovviamente ho distrutto il cellulare. Sapevano che saremmo arrivati, e ci hanno preparato l'occorrente per attraversare la Russia. Abbiamo un'altra tappa che ci attende fuori da questa foresta. Ma la strada per arrivarci è ancora lunga, e dobbiamo sbrigarci. Quindi mangia in fretta.»

«E tu?»

Stava rimettendo a posto la tenda, e improvvisamente si bloccò. Aveva mangiato due notti prima, e non aveva di che mangiare in quella foresta, se non...me. A detta sua il sangue animale lo uccideva, quindi aveva due opzioni: digiunare, oppure nutrirsi di me.

«E' da un bel po' che non ti nutri...»

«Non è un problema. Posso resistere qualche giorno.»

«Ma ti indebolirai, se qualcuno dovesse attaccarci...»

«Sono in grado di combattere. Ti prego non riprendere questo discorso.»

«Ma...»

«Finisci la tua zuppa.»

La Romania sembrava un ricordo lontano. Eppure erano passate poche ore, ma lui era cambiato di nuovo con me. Non mi parlava e si rifiutava di bere il mio sangue, nonostante lo avesse già fatto per ben due volte.

Quando ebbe finito di sistemare tutto, riprendemmo la nostra marcia. Il silenzio tra di noi era più assordante dei rumori ovattati della foresta che ci circondava.


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