2.2 Sconosciuto
Mi risvegliai che era già mattina inoltrata. Il mal di testa era passato, ma sentivo ancora un leggero fastidio che mi intorpidiva. Fortunatamente era lunedì, e iniziavano i miei giorni di riposo. Fino al giovedì seguente, niente serate al Pub. La porta della mia camera era chiusa, e fu in quel momento che riordinai i pensieri e mi ricordai dello sconosciuto che mi aveva riaccompagnata a casa e della litigata con Andrea. Anzi della nostra rottura. Rimasi seduta sul bordo del mio letto a ripensare alle parole che mi aveva detto. Non era mai stato tanto aggressivo nei miei confronti, e quella era una cosa su cui non potevo sorvolare.
Presi il cellulare dal mio comodino, e come previsto, era intasato dai messaggi di Andrea. Non avevo nessuna voglia di leggerli, almeno non in quel momento. Non se ne parlava. Anzi, avevo proprio bisogno di un bel caffè.
Uscii dalla camera, ero ancora vestita, e non mi ero nemmeno fatta la doccia. Stavo troppo male. Ma avrei provveduto, dopo il caffè. Prima la caffeina.
Iris era già sveglia, stava sul divano a guardare una serie su Netflix.
«Buongiorno.»
Bofonchiai, con una voce talmente tanto impastata che sembrava avessi bevuto la notte precedente. Iris nemmeno mi sentì, troppo presa da quello che stava guardando. Pazienza, io mi concentrai sulla preparazione del caffè.
Dopo aver preparato la macchinetta mi andai a sedere su una delle sedie del tavolo, dando le spalle alla cucina a vista. Quell'appartamento era un grande open space, con due camere ognuna delle quali aveva il bagno privato. Perfetta per due ragazze. E il terrazzo che girava tutto intorno, essendo un attico.
Non notai subito il bigliettino sul tavolino di fronte a me. Lo aveva lasciato Vladimir era il suo numero di telefono, e sotto aveva lasciato scritto di fargli sapere come stavo. Lo riposi, dopo essermelo rigirato tra le dita. Il caffè stava per uscire. Ero indecisa se scrivergli. Era stato gentile, mi aveva riaccompagnata a casa, ma in quel momento non volevo iniziare nulla. E sarebbe stato inevitabile se gli avessi scritto. La conversazione sarebbe andata avanti, e io non volevo. Non quel giorno. Avevo bisogno di stare da sola. Mi sentivo svuotata delle mie emozioni.
Ma il caffè avrebbe ridato un senso a quella giornata, o almeno lo speravo.
Lo assaporai, mi piaceva prenderlo bollente, appena fatto.
Era tutto perfetto, finché il campanello non suonò. Guardai Iris, nessuna intenzione di alzarsi. No, io non sarei andata. Mi avvicinai a lei, scuotendola bruscamente.
«Hey, vai tu, io sono impresentabile devo ancora spogliarmi da ieri sera e farmi una doccia. Se è Andrea digli che non lo voglio vedere. E se insiste, chiama i carabinieri.»
Senza attendere oltre mi rifugiai in camera mia, mentre il campanello suonò una seconda volta. Tornai indietro velocemente e presi il foglietto con il numero di Vladimir. Rientrando in camera mia, chiusi la porta a chiave.
Perché avevo preso il bigliettino? Perché ero spaventata e lo sapevo. Non volevo ammettere nemmeno a me stessa che dopo la scorsa notte avevo paura di Andrea. E chiamare Vladimir mi parve la cosa più sensata da fare, nel caso lui si fosse ripresentato. Mi pareva avventato denunciarlo subito, volevo dargli il tempo di smaltire la rabbia. Almeno speravo che gli sarebbe passata.
Presi il telefono. Ci pensai un attimo, se fossi entrata su whatsapp Andrea lo avrebbe visto. Quindi lo bloccai. Era la cosa giusta da fare, io non volevo più vederlo. Per me era finita, ed era finita male. Avrei dovuto chiuderla molto prima, i miei sentimenti per lui erano andati scemando negli ultimi due mesi e l'avevo trascinata anche troppo.
Salvai il numero di Vladimir e iniziai a comporre il messaggio: "Ciao Vladimir, sto bene grazie per esserti preso cura di me ieri sera, e scusa per la scenata a cui hai assistito con Andrea. Non mi sento tranquilla ho paura che possa passare, se non hai da fare, ti va di venire nel pomeriggio per un caffè?".
Guardai il messaggio che avevo appena scritto. Poteva sembrare un'avances? Non volevo che pensasse che poteva avere il via libera. Ma in fin dei conti, perché dovevo pensare che lui volesse provarci con me? Però aggiunsi un'altra frase al messaggio, in modo che non si facesse strane idee. "Scusami se lo chiedo a te, ma non conosco molti ragazzi, a parte Bjorn, ma lui e Andrea sono amici, quindi...".
Inviai. Attesi guardando il telefono. Sospirai, perché avrei dovuto attendere la risposta? Lasciai il telefono sul comodino, e dopo essermi spogliata, mi infilai in doccia.
Uscii dalla camera con i capelli raccolti nell'asciugamano ancora umidi. E senza guardarmi intorno mi diressi verso la cucina.
«Chi era alla porta?»
Mi voltai verso Iris, e con mia sorpresa vidi Vladimir. Non avevo controllato il telefono, non avevo letto se mi avesse risposto oppure no, ma non riuscii a nascondere la mia espressione stravolta dal viso.
«Era Vladimir.»
Disse Iris alzandosi dal divano e venendo verso la cucina. Tirò fuori due pizze dal congelatore.
«Oggi facciamo queste, abbiamo ospiti a quanto pare.»
Mi fece l'occhiolino, ma non ne capivo il motivo. Io non avevo alcuna intenzione con nessuno. Non capivo per quale motivo si era presentato subito a casa nostra.
Lui si alzò e venne verso di me.
«Ciao. Ho lasciato il cellulare qui ieri sera e sono passato per riprenderlo. Poi ho letto il tuo messaggio e non mi sembrava il caso di andarmene. Quando sono andato via sta notte, lui stava ancora sotto casa tua. E quando ho letto quello che hai scritto ho deciso di restare.»
Si aveva senso. Ma io non sapevo cosa dire. Riuscii solo a ringraziarlo. Ma la realtà era che volevo stare per i fatti miei.
«Io e Vladimir stavamo guardando un film. Cazzo Luna, perché non mi hai detto subito di Andrea!»
«Non ci ho pensato Iris. Non so se l'hai notato ma mi sento alquanto stralunata oggi. Ho avuto un brutto mal di testa ieri sera.»
«Allora siediti, guarda il film con noi e la pizza la faccio io. Devi farti controllare per questi mal di testa.»
«Non se ne parla. Va bene così, niente che un antidolorifico e un po' di riposo non possano curare.»
Andai a sedermi, poggiando la testa sullo schienale del divano. Non avevo l'emicrania, ma avevo un fastidioso cerchio alla testa che mi rendeva irritabile. Vladimir venne a sedersi vicino a me. Avrei dovuto dire qualcosa.
«Scusami per averti disturbato, oggi non sono nemmeno me stessa.»
«Non mi hai disturbato. Sarei comunque passato per prendere il mio telefono, e non lascerei mai una ragazza spaventata da sola. Te l'ho detto, ho già visto uomini del genere e so riconoscere la rabbia folle quando la vedo. Può tornare. Vediamo se puoi stare tranquilla, poi quando mi sarò accertato che non corri nessun pericolo, leverò il disturbo.»
Mi passai una mano sulla fronte, era tutto assurdo. Come ho fatto a non rendermi conto di che tipo fosse Andrea? Come ho fatto a non capire che la gelosia se lo mangiava dall'interno? Era più grande di me, ma non mi aspettavo che fosse così insicuro.
«Come mai conosci bene uomini come lui?»
La mia domanda era lecita, in qualche modo. Mi guardò, come se per lui la risposta fosse così ovvia, che avrei dovuto conoscerla anche io. Come se avessi dovuto conoscerla. Ma era ovvio che non era così.
«Diciamo che per lavoro mi capita di incontrare tanta gente. E a volte non proprio persone raccomandabili.»
Bene, cos'era, uno spacciatore? Un boss mafioso? Lo guardai con sospetto, cercando di capire e di inquadrare che tipo fosse anche lui.
«Non è che sei un criminale?»
Scoppiò a ridere. Collezionavo una figuraccia dietro l'altra con lui.
«No, ma quale criminale ammetterebbe di esserlo? Sei sempre così diretta. Da un anno ho aperto il mio studio, sono uno psicologo. E spesso mi occupo di casi particolari, la polizia mi contatta per parlare con i loro sospettati. A volte lavoro in tribunale. Ecco, una vita tranquilla.»
Ah, si aveva senso.
«Bene, non psicanalizzarmi per favore.»
«Non lo farei mai.»
«Quindi cosa fai di preciso? Parli con i sospettati e cerchi di capire se mentono?»
«Si, se sono colpevoli li spingo a confessare. Ho risolto moltissimi casi, e per questo ultimamente mi chiamano sempre più spesso.»
In quel momento Iris arrivò con le pizze, le poggiò sul tavolo e si lasciò cadere bruscamente in mezzo a noi.
«Allora, Vladimir, metti Play per favore e continuiamo a vedere il film.»
Mi allungai per prendere un pezzo di pizza. Anche se mangiare mi costò fatica, avevo la nausea a causa del mal di testa. Dopo qualche boccone, mi alzai, non avevo voglia di guardare il film, e non avevo nemmeno appetito. Volevo solo stare da sola, al buio, sdraiata sul mio letto.
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