UN ANNO DOPO...
Pioveva. Esattamente come faceva da giorni, non ne potevo più. Io avevo appena staccato, ma come tutte le sere, stavo aspettando che Iris finisse di pulire. Se solo Bjorn avesse messo una tettoia più grande all'entrata del suo pub, non sarei dovuta rimanere attaccata alla porta. Certo, avrei potuto aspettare dentro, ma non mi andava. Ci passavo già sei ore a sera, ed era abbastanza. Non perché non mi piacesse anzi, adoravo quel posto. Ma avevo le orecchie che mi ronzavano per il volume della musica sempre troppo alto, e avevo bisogno di silenzio, mentre dentro c'era ancora gente seduta ai tavoli e i camerieri che parlavano. Mi infastidivano i rumori e avevo mal di testa.
Quando si aprì la porta alle mie spalle, mi spostai per far passare il cliente che stava uscendo, e di conseguenza, finii con un braccio sotto la pioggia.
«Scusami.»
Disse lui. Era sempre lo stesso, da un po' di tempo veniva da solo nel locale, ogni tanto con qualche amico, ma non sempre. Alzai la mano per fargli capire che era tutto a posto. Ma lui rimase lì. Guardai il telefono, sperando che non iniziasse a parlare. Non ero dell'umore giusto. Erano tre giorni che io e Andrea non facevamo altro che litigare, e come se non bastasse, non si era fatto sentire per tutto il giorno. Eppure, controllando il suo ultimo accesso su whatsapp, mi risultava che fosse entrato dieci minuti prima. Bene, di certo non lo avrei cercato io. In quel preciso istante mi arrivò il messaggio di Iris. Non dovevo aspettarla a quanto pareva, stava aiutando suo fratello con l'inventario. Fantastico. Incazzata, dolorante e sola. E soprattutto, pioveva sempre più forte.
«Se vuoi posso darti un passaggio con l'ombrello, se non abiti distante.»
Sollevai il volto. Era sempre lui. Non se ne era andato, era rimasto lì per tutto il tempo.
«Non disturbarti, abito davvero molto vicina.»
«Nessun disturbo, sempre che per te non sia un problema.»
Lo guardai. Era davvero molto bello, soprattutto i suoi occhi verdi. Andrea doveva fare molta attenzione, se mi ignorava mi sarei data un'occhiata in giro, e lui non era l'unico ragazzo sulla faccia della terra.
«Nessun problema in realtà. Ma non ti conosco, chi me lo dice che tu non sia un maniaco?»
Scoppiò in una fragorosa risata. Ah, bene. O avevo fatto centro, oppure ero appena passata per una pazza paranoica. Che situazione.
«Ti assicuro che non sono un maniaco, ma d'altronde quale maniaco ammetterebbe di esserlo? Non voglio insistere, ci vediamo.»
Brava, bravissima Luna. Uno cerca di essere gentile e tu lo fai scappare.
«Aspetta, scusami. Non volevo offenderti. Ma sono una ragazza che lavora fino a tarda notte, le precauzioni devo prenderle tutte. E di solito torno a casa con la mia amica, ma sta sera deve aiutare suo fratello, quindi sono sola.»
Mi sorrise prima di rispondermi. C'era qualcosa nei suoi occhi che non riuscivo a decifrare.
«Lo capisco. Per questo ti ho offerto il mio ombrello e la mia protezione nel tragitto verso casa. Sarei davvero un idiota se mandassi una ragazza a casa da sola in piena notte, no?»
Certo. Quale maniaco non lo direbbe? Sospirai. Non potevo vivere nella paura. Un passaggio sotto l'ombrello non poteva essere pericoloso, e io abitavo a pochi passi.
«Non abito lontano. A piedi sono pochi minuti.»
«Andiamo, fai strada»
Aprì l'ombrello, uno di quelli grandi e neri. Un ombrello molto elegante. Come lui. Giubbotto di pelle, maglia di cotone bianca scollata e jeans. Un figo. Ma non ero il tipo di ragazza che tradisce, e la mia storia con Andrea non era ancora finita. Dopo quasi un anno di relazione non potevo buttarmi sul primo venuto solo perché era bellissimo. E poi anche Andrea lo era.
Mi incamminai, lui mi seguì con l'ombrello sopra le nostre teste. Era autunno inoltrato, e le piogge iniziavano ad essere sempre più copiose.
Camminammo in silenzio, più presi a sbrigarci e non bagnarci che a parlare. Quando arrivai di fronte al portone del palazzo, trafficai con la borsa per cercare le chiavi, tentando di sbrigarmi. Aprii il portone e lo lasciai aperto per farlo entrare. Non era un invito esplicito a casa mia, ma almeno per salutarlo avrei dovuto permettergli di non bagnarsi.
«Scusa, non volevo ti bagnassi. Posso offrirti qualcosa? Io abito all'ultimo piano, io e la mia amica abbiamo affittato l'attico.»
Sproloquiavo. Per l'imbarazzo. Mi sentivo un'idiota ad aver dubitato, e volevo in qualche modo chiedere scusa.
«Scusa non mi sono nemmeno presentato, io sono Vladimir.»
«Giusto. Luna piacere.»
Gli tesi la mano, e lui la strinse.
«Grazie per avermi riaccompagnata.»
«E vuoi sdebitarti offrendomi qualcosa.»
Sorrise.
«Accetto volentieri. Anche perché piove molto.»
Gli sorrisi. Mi incamminai sulle scale facendogli segno di seguirmi. Nessun ascensore, un piccolo dono dei palazzi vecchi.
Quando arrivammo sul nostro pianerottolo, davanti alla mia porta c'era un mazzo di fiori. Mi chinai per raccoglierli. Un mazzo di rose rosse, e un bigliettino con scritto "scusa". Certo. Dopo tre giorni che litigavamo a causa del suo caratteraccio, e un giorno intero che non si faceva sentire. Presi le rose e le gettai nel cesto degli ombrelli.
«Un ammiratore segreto?»
Infilai le chiavi nella porta e girai.
«No. Il mio ragazzo.»
«Ah. E le hai buttate?»
«Se dopo tre giorni che litighiamo e uno che non si fa sentire pensa di cavarsela con un mazzo di rose, ha proprio sbagliato ragazza.»
Entrammo, e lo invitai a sedersi alla tavola, mentre trafficavo con la teiera per scaldare l'acqua.
«Ti vedo spesso al locale.»
«Beh, si mi rilassa dopo una giornata di lavoro. E poi posso ascoltarti cantare, sei molto brava te lo hanno detto in molti immagino.»
«Si, e mai un produttore discografico. Se ogni tanto qualcuno di loro si facesse vivo al locale non mi dispiacerebbe.»
«Lo faresti davvero come professione? Ha i suoi pro ma anche i suoi contro.»
Lo guardai.
«Mi piace cantare. So fare solo questo nella vita, cosa dovrei fare? Se non posso aspirare ad arrivare più in alto dovrei iniziare a pensare di lasciare stare e trovarmi un vero lavoro. Ma a fare cosa? Rintanarmi a fare la commessa in un negozio o la cassiera? Davvero, non ho molte abilità particolari.»
Mi voltai per prendere le tazze, e due bustine di thè dalla credenza.
«Lo vuoi zuccherato?»
Annuì con la testa. Presi il barattolo con le zollette e lo poggiai sul tavolo.
«Non era quello che volevo dire. Intendevo dire che è un mondo di squali e che a volte devi scendere a compromessi. Spiacevoli compromessi. Insomma...sai cosa voglio dire.»
«Si lo so. Ma io spero che prima o poi il mio talento venga premiato.»
Sfoderai la mia migliore espressione ottimista e gli strizzai un occhio. Lo sapevo che aveva ragione. Non era la prima volta che facevo provini quell'anno e di cose ne avevo viste.
Quando il thè fu pronto portai le tazze a tavola, allungando la sua verso di lui.
«Da quanto tempo state insieme tu e il tuo ragazzo?»
«Circa otto mesi.»
«Scusa non voglio farmi gli affari tuoi.»
«Figurati, nessun problema.»
Portai la tazza alle labbra, sorseggiando un po' del mio thè che era bollente.
«E tu? Non hai una ragazza da cui tornare di notte?»
Rise di cuore. Avevo detto una scemenza? Oppure era gay. Quelli così belli lo sono sempre.
«No no, nessuna ragazza. Ho passato un anno molto duro dal punto di vista lavorativo, e non ho avuto tempo per pensare alla vita privata. Inizio a respirare proprio adesso. Diciamo che posso concedermi una piccola pausa.»
Bene, uno stakanovista.
Guardai il telefono, erano quasi le tre del mattino e nessun messaggio, ne di Iris, ne di Andrea. Perché continuavo ad aspettarmi un suo messaggio? Forse era lui ad aspettarsi un messaggio da me, in fin dei conti mi aveva lasciato le rose davanti alla porta. Ma non gli avrei scritto. I suoi atteggiamenti non potevano essere perdonati solo per dei fiori.
«Si è fatto tardi, credo che sia meglio che vada.»
Mi riportò alla realtà. Che stupida, mi ero chiusa nei miei pensieri ignorando completamente quello che aveva detto.
«Scusami, non volevo ignorarti ma ho mal di testa e...»
Il campanello suonò. Voltai bruscamente la testa in direzione della porta. Iris aveva le chiavi, chi diamine poteva essere a quell'ora di notte?
«Accidenti...»
Mi alzai, pronta ad aprire la porta, ma Vladimir fu più veloce di me.
«Una ragazza da sola in un appartamento non dovrebbe aprire la porta a quest'ora della notte.»
Aprì. Immaginavo che fosse Andrea. E come se non bastasse era stato un altro ad aprirgli la porta. La cosa avrebbe generato altri litigi. Ne ero sicura.
«Tu chi sei? Che ci fai qui?»
Andrea mi guardò, il suo sguardo lasciava chiaramente intuire quanto fosse arrabbiato.
«E le rose. Le hai buttate perché c'era lui?»
«No, le ho buttate perché non è così che otterrai il mio perdono.»
«Te la fai con questo qui?»
Ero esasperata. Non c'era più un momento tranquillo con Andrea. Ogni minima cosa era fonte di litigio. Io lo capivo che trovarmi in casa mia con un altro poteva non essere bello, ma non eravamo nudi, e lui poteva anche darmi il beneficio del dubbio, se si fidava di me.
«No guarda amico hai frainteso. L'ho solo riaccompagnata a casa visto che pioveva e non aveva l'ombrello. Io sono un cliente del pub.»
«Tu fatti gli affari tuoi se non vuoi che ti spacchi la faccia.»
Mi lasciai cadere sulla sedia, con la testa tra le mani. Mi scoppiava veramente tanto e non avevo voglia di litigare. Non volevo affrontare nessun tipo di discorso.
«Andrea ti rendi conto che sono le tre del mattino e stai urlando sulle scale vero?»
«Non ci sarebbe bisogno di urlare se tu non fossi una sgualdrina che si porta gli uomini a casa!»
«Ma non ti vergogni a trattare così la tua ragazza?»
La situazione si faceva sempre più imbarazzante. Quella era la goccia che faceva traboccare il vaso. Tra me e Andrea non poteva funzionare. Non in quel modo. La sua gelosia, la sua mancanza di fiducia nei miei confronti, io non la sopportavo più. Non faceva altro che criticarmi, attaccarmi verbalmente. Non approvava il lavoro che facevo, ma quando mi aveva conosciuta io già lavoravo al pub, e di certo non avrei accantonato la mia passione per lui. Ne per lui, ne per nessun altro. Glielo avevo ripetuto svariate volte. Non era così fino a un paio di mesi prima. Si vede che aveva sempre finto. Negli ultimi due mesi avevamo litigato spesso e sempre per lo stesso motivo. Lui voleva che trovassi un altro lavoro e io non volevo. Quale segnale più chiaro di quello.
«Basta...»
La mia voce uscì flebile come un sussurro. Le tempie mi pulsavano sempre di più, e non riuscivo nemmeno a parlare. Ma non mi aveva sentita, così lo ripetei, alzando la voce. A quel punto ottenni la sua attenzione.
«Andrea vattene. È finita.»
Mi guardò. Non se lo aspettava. Ma davvero non lo aveva intuito che continuando così mi avrebbe persa? Che me ne facevo di uno che dopo sei ore di lavoro veniva in casa mia e invece di farmi stare bene, contribuiva a farmi stare peggio? Niente. Proprio niente.
«E' per lui che mi lasci?»
«Fai sul serio Andrea? Non ci arrivi? Mi scoppia la testa, sono stanca, e tu arrivi qui e mi insulti. Vattene ti prego, non ho voglia di litigare.»
Invece di andarsene, entrò. Niente, aveva voglia di litigare a tutti i costi, ma non capiva che per quanto mi riguardava eravamo arrivati al capolinea.
Con mia sorpresa Vladimir lo fermò. Con una sola mano. Andrea guardò prima la mano sul suo petto e poi il ragazzo che secondo lui mi ero fatta.
«Io non voglio mettermi in mezzo, ma ti ha chiesto di andartene. Se sei furbo dovresti ascoltarla.»
«Altrimenti che fai?»
«Io niente. Ma se non la lasci in pace adesso continuerai ad esasperarla e perderai anche la possibilità di chiarirci domani quando le sarà passato il mal di testa.»
«Ha mal di testa perché invece di fare un lavoro dignitoso, va a fare la puttana in un pub!»
«Se non te ne vai chiamo la polizia. Adesso basta. Davvero è finita, non cercarmi più. Non parleremo nemmeno domani, hai esagerato. Vattene.»
Somigliava a un toro. Si un toro, con gli occhi rossi e le orecchie fumanti di rabbia. Che si fottesse. E mi lasciasse dormire. Per fortuna mi diede retta e se ne andò. Ma ero certa che non sarebbe finita così. Lui mi avrebbe chiamata. Mi avrebbe tempestata di messaggi. Vladimir chiuse la porta.
«Senti, facciamo che rimango finché non torna la tua amica. Dove sono le medicine?»
«In bagno. Nell'armadietto.»
Ormai faticavo a parlare. Mi faceva così tanto male la testa da avere la nausea. E avevo le vertigini.
«Ok, senti vai a stenderti. Ti porto un antidolorifico.»
Perfetto. In casa con uno sconosciuto che mi chiedeva di andarmi a stendere. Ma il mal di testa che avevo ebbe il sopravvento, e non me lo feci ripetere due volte. Me ne andai in camera, e senza nemmeno spogliarmi, mi sdraiai sul letto, senza nemmeno aprire le coperte. Era ormai un anno che soffrivo di quei mal di testa violenti. Erano sempre più frequenti. Forse avrei dovuto farmi visitare, ma ero ipocondriaca e avevo il timore di scoprire qualcosa di terribile.
«Ecco, tieni.»
Il mio prode cavaliere sconosciuto era arrivato con un bicchiere d'acqua e una pasticca. La presi senza dire niente.
«Soffri spesso di queste emicranie violente?»
«Da circa un anno si. Ma ultimamente sono più volente.»
Si incupì. Certo, era esattamente la reazione che non volevo vedere in un medico, motivo per cui non ci andavo.
«Adesso cerca di dormire. Ti spengo la luce. Io starò di là se hai bisogno di qualcosa. Aspetto la tua amica e poi me ne vado. Rimango per assicurarmi che il tuo ragazzo non faccia qualche pazzia.»
«Ex... ed è innocuo davvero...»
«Senti noi non ci conosciamo, ma io conosco i tipi come lui. E quello che ho visto era un uomo folle di gelosia. Non hai idea di cosa commettano gli uomini in preda a certi scatti d'ira. Ora dormi.»
Se ne andò, spegnendo la luce dietro di se. Forse aveva ragione, mi fidavo di Andrea ma non lo avevo mai visto in quello stato. Era uno sconosciuto in pratica, non più di quanto non lo fosse il ragazzo che mi aveva riaccompagnata a casa e si era preso cura di me. Basta. La mia vita sentimentale era un casino. A partire da Francesco che mi aveva tradita con la mia migliore amica, per finire con Andrea. Entrambi avevano cercato di cambiare quello che ero. Forse dovevo lasciar stare. Ero stufa di relazioni che non portavano da nessuna parte. Mi sarei presa una grossa pausa, si era proprio quello che volevo. Niente uomini, solo io. Avevo bisogno di dedicarmi a me stessa, alla mia vita, alla mia carriera.
Lentamente scivolai nel sonno.
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