14. Ipocrisia




Non sentii gridare. Mi chiesi se fosse un buon segno o se dovevo aspettarmi una carneficina. Di positivo, c'era che Anna non poteva fare nulla che Vladimir non volesse. A parte snervarmi.

Non sapevo se potevo uscire o meno dal bagno, ero rimasta seduta nella grande vasca a fissare le increspature che il mio corpo faceva muovendosi. Potevo uscire? Il mio stomaco brontolava, ma avevo paura di vedere cose che non avrei voluto.

Alla fine mi feci coraggio, non potevo diventare una prugna secca. Uscii dall'acqua e mi infilai di nuovo l'accappatoio. Rimasi per qualche secondo con la mano poggiata sulla maniglia della porta, incapace di aprire. Che scena avrei trovato di fronte a me? Ci sarebbe stato sangue? Avrei visto due cadaveri? Scossi la testa; Vladimir mi aveva promesso che non avrebbe ucciso nessuno. Lui. Ma Anna? Lei mi odiava e forse me lo avrebbe fatto apposta.

Con lentezza abbassai la maniglia. La porta era di una qualità così alta che non fece il minimo rumore. La luce nelle altre stanze era spenta, ed io avevo così paura di muovermi che per qualche minuto rimasi ferma dietro la porta. I miei occhi cercavano disperatamente di vedere nel buio, cosa che non mi riusciva affatto.

E non ricordavo dove fosse l'interruttore. Il mio telefonino era stato frantumato, quindi non potevo nemmeno usare la torcia sul retro. Niente, dovevo muovermi a tentoni.

«Vladimir?»
La mia voce era più flebile di un sussurro, ma sapevo che mi avrebbe sentita. Attesi. Niente. Iniziai a tastare il muro alla ricerca dell'interruttore. Percorsi tutto il perimetro dell'ingresso del nostro appartamento fin quando non lo trovai.

Col dito pigiai, e la luce si accese.

Urlai terrorizzata. Il cuore stava per esplodermi o per uscire dalla gabbia toracica. Di fronte a me, ad un centimetro dal mio viso, c'era quello di Anna. Aveva gli occhi iniettati di sangue e un ghigno compiaciuto stampato sulle labbra, semi aperte a mostrare i canini.

L'aveva fatto di proposito. Aveva spento lei la luce e mi aveva attesa fin quando non fossi riuscita a riaccenderla. E non avevo sentito nessun movimento nella stanza anche se lei si trovava molto vicina a me.

Subito dopo il mio urlo, Vladimir piombò dentro, quasi scardinando la porta, ed afferrò Anna per il collo. La poveretta, che non si aspettava di essere aggredita evidentemente, si ritrovò schiacciata al muro, sollevata da terra e con gli artigli di una mano semi demoniaca piantati nella carne del collo.

«Stai bene?»

«A parte lo spavento, si. La stronza voleva spaventarmi e ci è riuscita!»

«Che ci facevi accanto alla porta d'entrata in accappatoio?»

«Cercavo l'interruttore. Era tutto buio quando sono uscita dal bagno...»

Vladimir guardò Anna con odio. Lei lo guardava con terrore, la bestia era li, appena sotto la sua pelle.

«Che razza di vampiro sei tu?»

«Di quelli che non ti conviene fare incazzare! Sappi che il mio morso può ucciderti. Un solo tocco e bruceresti tra le fiamme dell'inferno. Vedi di non costringermi a farlo!»

«Marcus...»

«Non nominare il suo nome come se tu contassi qualcosa per lui! Sei una semplice pedina, trasformata per una sorta di vendetta contorta, volta a far credere a Luna di essere dalla sua parte. E per tenerci d'occhio ovviamente. Ma ti svelo un segreto.»

Si avvicinò alle orecchie di Anna, ed abbassò la voce, non troppo perché riuscii a sentire anche io.

«Per lui non conti nulla, e lui non è più forte di me. È il Re solo perché io mi sono rifiutato...»

Anna impallidì, ed ebbe giusto il tempo di rendersi conto che lui la stava scaraventando a terra. Atterrò con un tonfo sinistro, riuscii a sentire alcune ossa rompersi. Poi Vladimir si inginocchiò accanto a lei.

«Smetti di infastidirla! O la prossima volta Marcus dovrà trovarsi un'altra spia!»

«Riferirò a Marcus di tutto questo...»

La voce di Anna usciva in un rantolo, seguito da un colpo di tosse con cui sputò fuori del sangue. Probabilmente qualche costola le aveva bucato un polmone.

«Puoi dire a Marcus quello che vuoi. Ma sono certo che nei tuoi compiti non sia menzionato quello di torturare Luna.»

L'espressione di Anna confermò le parole di Vladimir. Io ero rimasta quasi senza respirare per tutto il tempo. Me ne resi conto quando lui si girò verso di me e mi sorrise. Rilassai il diaframma e inspirai profondamente. E quando lui mi guardò il mio cuore prese a battere più forte. Maledetto cuore. Volevo che stesse zitto, sapevo bene che lui poteva sentire i battiti.

«È tutto ok?»

Riuscii solo ad annuire con la testa.

«Tra poco serviranno la cena di sotto. Ti accompagno.»

«Devo vestirmi»

«Non potete andare senza di me!»

Di nuovo Anna in mezzo a noi. Era il terzo incomodo più odioso della storia. Ed io la odiavo davvero. La sua voce si spense di nuovo tra i rantoli e il sangue che le usciva dalla bocca.

«Sistemati e vieni.»

«Da sola non riesco, devi aiutarmi!»

«Io aiutare te? Mocciosa impertinente, porta più rispetto ad uno del mio rango! O ti schiaccerò la testa. Allora si che avrai roba da sistemare! Non posso ucciderti ma posso renderti la vita davvero schifosa, tanto che potresti pregarmi di farti fuori! Marcus è il Re, ma ricordati che io sono subito sotto di lui ed ogni Vampiro che esiste al mondo deve portarmi il dovuto rispetto. Te compresa!»

Bene. Non avevo ancora inquadrato questo fatto. Si Marcus era il Re, il cattivo e spietato Re, almeno per come lo vedevo io. Ma Vladimir cos'era? Aveva anche lui qualche titolo? Subito al di sotto di Marcus, aveva detto. Cazzo Luna, pensai, non ce la fai proprio a farti piacere un tipo normale, eh?

Anna aveva provato per tutto il tempo a sistemarsi le costole ma era svenuta più volte per il dolore. A quanto pareva, doveva abituarsi a certe cose da Vampiri, o almeno così mi aveva spiegato Vladimir. Per quanto riguardava lui, non sentiva più il dolore da tantissimo tempo. Per come ne parlava potevo capire che aveva parecchie centinaia di anni. Evitavo di chiedermi quanti anni avesse in realtà.

Nella sala grande del ristorante dell'albergo, i tavolini ostentavano un lusso che avrebbe potuto sfamare dozzine di poveri in giro per il mondo. Non ero abituata a certe cose, e mi chiedevo come certe persone potessero spendere tanti soldi inutilmente. In ogni caso mi ci sarei dovuta abituare dal momento che Vladimir ne aveva prenotato uno per noi.

Le posate erano interamente d'argento e i bicchieri di cristallo. Ero chiaramente a disagio. Non riuscivo a smettere di giocherellare con le mie mani. Fin quando Vladimir non posò una sua mano sulle mie. Non potei fare a meno di notare quanto fosse fredda. I miei occhi indugiarono sulle sue dita chiuse sulle mie mani. Improvvisamente mi sentii avvampare, prima ancora di rendermi conto che intorno a noi potevano esserci occhi indiscreti e scambiare quel gesto per qualcosa che non era.

Ritirai in fretta le mani e lo guardai negli occhi, con le guance ancora bollenti.

«Scusa non volevo infastidirti...»

«Non hai capito. E se ci vede qualcuno?»

«Volevo solo fermarti le mani. Mettevi ansia anche a me.»

«Ah. Pensavo avessi altre intenzioni...scusami tu.»

Attese un attimo prima di continuare. Il suo sguardo cambiò, non era più dolce come pochi istanti prima, ma infastidito, o confuso, non riuscii a capirlo.

«Si...cioè...Luna non offenderti. Sei tu che sei scappata. Ti ho confessato i miei sentimenti nonostante conoscessi le regole. E tu li hai ignorati. È da quando ti conosco che ti corro dietro, ed ora ho capito che disprezzi quello che sono. Non voglio sprecare il mio tempo con chi non si sforza nemmeno di vedere oltre le apparenze.»

Touché. Abbassai gli occhi, cercando di rimandare indietro le lacrime. Aveva ragione, lui aveva detto di amarmi ed io ero fuggita, concentrandomi solo sul suo essere un Vampiro e non sulla persona che si era aperta con me. Avevo ignorato i suoi sentimenti e lo avevo giudicato. Ancora in quel preciso istante dovevo evitare di pensare alla realtà.

«Li ho lasciati andare.»

Tornai a guardarlo. Non capii subito. E lui se ne rese conto.

«I due tizi di prima. Sono vivi.»

Perché me lo stava dicendo? Il problema non era solo se fossero vivi o meno, ma che due esseri umani erano diventati un semplice pasto. Forse lui aveva ragione: non riuscivo ancora ad accettarlo del tutto, come potevo pretendere che lui tornasse a dimostrare i suoi sentimenti verso di me? Le persone non si cambiano, non è giusto chiedergli di farlo e io non potevo chiedergli di farlo per me. Ma era più forte di me.

«Dì qualcosa almeno.»

«I vampiri nei romanzi mangiano anche gli animali...»

«Anche tu puoi diventare vegana sai? Faccio portare indietro la bistecca che hai appena preso?»

«Io non amo la mucca. Non mi innamorerei mai di una mucca! Come fai ad amare i tuoi pasti? La prossima volta mangia me.»

«Sei una stronza. Mangia da sola.»

Si alzò dal tavolo, spostando rumorosamente la sedia. Niente, quel lato ci divideva e forse era meglio così. Prima di andarsene si abbassò portandosi fino al mio orecchio.

«E tanto perché tu lo sappia: se bevessi sangue di animale, morirei. Non siamo in grado di tollerarlo. Butta i tuoi romanzi, principessa.»

Se ne andò davvero, lasciandomi li da sola. Avrei mangiato comunque, perché ero davvero affamata. Il cameriere che mi servì mi guardò con un'aria indecifrabile. Incolpava me? O forse ero io a voler leggere la colpa nei suoi occhi, perché in realtà mi sentivo in torto.

Guardai la mia bistecca nel piatto. Non potevo non mangiare carne. Ero anche anemica già di mio, come potevo diventare vegana? Capii che agli occhi di Vladimir suonava come un'ipocrisia. Dicevo a lui di non nutrirsi, ma io non mi limitavo certo a mangiare verdure.

Decisi che dovevo chiedergli scusa. Mi affrettai a finire il mio pasto per tornare in camera. Sarei andata da lui e gli avrei detto che aveva ragione. Che non avrei più giudicato la sua dieta se lui mi avesse garantito di non uccidere nessuno. Su quello non potevo sorvolare.

Corsi in camera, saltando i gradini due per volta. Ero stata stupida e volevo dirglielo il prima possibile.

Spalancai le porte e mi bloccai.

Non potevo credere ai miei occhi.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top