1. Roma
Mi aspettavo che il mio primo giorno a Roma fosse totalmente diverso. Non mi sarei aspettata certo ne la frenesia dei Romani, ne tanto meno di essere scippata appena uscita dalla Stazione. Inizialmente credevo che volessero investirmi, due idioti col motorino che sfrecciavano vicinissimi al marciapiede. C'era mancato davvero poco, ed io mi ero spostata per non finire sotto le loro ruote. Mi resi conto solo dopo essermi ricomposta che mi avevano rubato la borsa. Per mia fortuna, documenti e telefonino erano in valigia. Quei due cretini si erano presi un pacchetto di fazzoletti, qualche assorbente e il mio burro per le labbra. Ah, una crema mani ai fiori. Bel bottino complimenti. Nemmeno la borsa era di marca per fortuna. La cosa era servita solo a farmi innervosire più che a fare un danno vero e proprio. Grazie Roma, andremo d'accordo.
Sospirai, cercando di mantenere la calma e ricordandomi che avrei dovuto vivere lì. Mi dicevo che Roma non poteva essere tutta così. Mia nonna viveva in uno dei quartieri più trafficati e contorti del centro. Era una donna di settant' anni, sposatasi giovanissima e diventata nonna nel fiore della sua mezza età. Ora doveva vedersela con tre nipoti davvero niente male.
Io ero la più grande, poi c'erano mia sorella Aurora, con cui mi passavo due anni e la minuscola Sofia.
Nostra madre si era risposata da poco. Mio padre, un comandante di polizia, era sempre lontano, sempre fuori per lavoro. Aveva conosciuto un'altra donna, Rosa. Parliamo di circa dieci anni fa. Non do la colpa a mio padre e nemmeno a mia madre. Suppongo siano cose che capitano, ormai sembra la normalità. In ogni caso non mi sono mai sentita di giudicare nessuno dei due.
Hanno fatto le loro scelte, e nel bene o nel male ci hanno portare a vivere a Roma.
Ricordo ancora il giorno in cui mia madre conobbe il suo nuovo marito. Era l'estate di tre anni fa, il traffico sulla via Aurelia era davvero insostenibile. Viaggiavamo con i finestrini aperti, e nonostante questo, non c'era un filo d'aria. Il tettuccio della nostra auto era diventato rovente e Aurora si lamentava come al solito.
Passai l'unica bottiglietta presente nella borsa frigo a mia sorella, seduta nel sedile posteriore, e mia madre che non avrebbe mai tolto l'acqua alle sue figlie, si ritrovò ad umettarsi continuamente le labbra. Fin quando uno sconosciuto non le passò una bottiglietta dal finestrino.
Era seduto nella macchina di fianco alla nostra, sul posto del passeggero. E da li aveva allungato la sua bottiglia direttamente dentro il finestrino della nostra auto, piazzandola davanti al viso di mia madre, che presa dallo spavento, suonò il clacson.
Robert, un omone in confronto alla struttura esile di mia madre, stava fermo col busto fuori dal finestrino, e le sorrideva, mostrando i denti perfetti. Mia madre non si lasciò incantare dal sorriso, no.
Anzi, si voltò isterica verso la loro macchina, gridando che le aveva fatto prendere un colpo. Lui però non si arrese, e tra un urlo e l'altro di mia madre, la convinse a prendere l'acqua e a bere.
La cosa sembrava finita lì, Robert era rientrato nella sua macchina e non aveva più fatto irruzione nella nostra.
Mi resi conto che mia madre non avrebbe mai iniziato un flirt con le sue figlie in macchina. Lei cercava sempre di essere precisa e perfetta, un buon esempio per noi. Ma era ora che anche lei si rifacesse una vita, così dovetti pensarci io.
Avevo visto che mentre mia madre cercava di evitare di guardare di nuovo nella loro direzione, l'omone che le aveva offerto l'acqua non faceva altro che guardarla. Così mi avvicinai a mia madre, che mi guardò senza capire cosa avessi in mente o mi servisse, e prima che potesse reagire, mi rivolsi direttamente a lui.
«Mi scusi, potrebbe darmi di nuovo la sua bottiglia? Sa, mia sorella ha finito la nostra!»
Mia madre impallidì, guardandomi come se volesse uccidermi. Ed io la ignorai del tutto. L'uomo dall'altra parte mi sorrise, mi fece l'occhiolino e poi mi passò la bottiglia.
«Tienila pure, un gentiluomo non priverebbe mai tre fanciulle dell'unica bottiglia d'acqua!»
Io sorrisi, ci eravamo intesi. Non mi aspettavo certo che si sarebbero sposati e che avrebbero avuto una bambina.
Però è andata così e siamo tutti più felici.
Comunque, dopo quasi un'ora passata ad affrontare la giungla della mia nuova città, ero arrivata finalmente a casa, e disfare le valigie fu la mia priorità.
Casa di mia nonna era molto grande, una di quelle che si vedevano nei film anni '60, in stile sfarzoso, con i mobili pieni di ricami e i pavimenti in marmo. Aurora ed io eravamo finite a dormire nella stessa stanza, accanto a quella degli ospiti in cui si erano trasferiti mamma e Robert. La piccola Sofia dormiva con loro ma quella era una sistemazione decisamente momentanea.
Sebbene mia nonna continuava a ripetere a mia madre che per lei non c'era problema, e che le avrebbe fatto piacere averci lì, mia madre e Robert erano sempre più convinti di voler trovare una casa loro. Continuavano ad includere anche me nei loro progetti, e sebbene fossi consapevole del fatto che a mia madre avrebbe fatto comodo una mano con Sofia, io desideravo trovare la mia strada. Non avevo ancora accennato alla cosa, ma speravo di trovare lavoro come cantante in qualche pub, o con qualche agenzia. Così da potermi mantenere un monolocale tutto mio.
Ero intenta a sfogliare il giornale degli annunci, cercando le offerte di lavoro, quando mia sorella entrò saltellando. Spalancò la porta in malo modo, facendola sbattere addosso all'armadio. Sospirai, alzando gli occhi al cielo. Era sempre la solita, diciotto anni appena compiuti e sembrava una bambina.
«Hey! Che fai?»
Si buttò di peso sul mio letto, quasi scaraventandomi a terra.
«Non si vede?»
Risposi, sventolando il giornale davanti al suo viso. I suoi capelli biondi erano raccolti in una coda morbida, così lisci da risplendere anche nella poca luce della nostra camera. I suoi occhi celesti erano raggianti, e le sue lentiggini risaltavano sul colore dell'abbronzatura ambrata.
Doveva avere qualcosa da dirmi, per piombare così in quel modo. Infatti, prese il giornale dalle mie mani e lo scaraventò ai piedi del letto.
«Basta, ci penserai domani! Oggi dobbiamo pensare ad altro!»
Prese il cellulare, e dopo aver smanettato per qualche secondo sul suo profilo facebook, lo girò verso di me per mostrarmi quello che aveva trovato.
«Ladispoli, spiaggia, mare... e festa!!!»
Disse, urlando praticamente nelle mie orecchie.
«Ha detto mamma, che se vieni anche tu, guidi tu e dormiamo nella casa al mare a Cerenova, possiamo andare!»
Scossi la testa.
«Possiamo?»
Chiesi.
«Si, possiamo! Senza di te non mi manda...»
Concluse, guardandosi le unghie rosse e corte.
«E cosa ti fa credere che io voglia venire? Aurora, tu sei arrivata a inizio estate, io sono arrivata oggi. Ho lavorato fino a ieri, sono stanca.»
«Bene, allora riposati e poi ci prepariamo!»
Concluse mia sorella. Lei era fatta così, trascinava sempre tutti. In pratica aveva già deciso.
Mi alzai dal letto, avviandomi verso la porta, e lei mi tirò il cuscino addosso.
«Luna, avanti!»
«Fammi almeno andare a fare una doccia!»
Dissi, accettando la sua proposta e voltandomi verso di lei. Fu così contenta che saltò giù dal letto e corse ad abbracciarmi. Ce l'aveva sempre vita lei, era inutile tentare di opporsi. Così lasciai stare la ricerca del lavoro e me ne andai in bagno per lavarmi di dosso il sudore che avevo accumulato tra treno e autobus. Proprio quando entrai nella doccia, mi accorsi di non aver pensato minimamente a cosa mettermi.
Sapevo bene per quale motivo mia sorella mi aveva praticamente costretta, e mi rimproverai per aver accettato senza pensare.
Ero fidanzata, prima di partire per Roma. E anche se col treno la distanza non è molta, le cose tra me e Francesco avevano iniziato ad andare male appena gli avevo comunicato la notizia del mio trasferimento. Era diventato sempre più distaccato, nonostante io gli ripetessi che le cose si sarebbero potute sistemare. Continuava a dirmi che sarei potuta rimanere, ma io gli dicevo che volevo comunque provare a cercare lavoro a Roma, approfittando del fatto che i miei si trasferivano. Questo lui non lo capiva, diceva che potevo continuare a fare la barista, ma non era quello che io volevo. Io volevo vivere di musica. Certo, non è facile una strada del genere, soprattutto in Italia, ma volevo provarci. E questo per lui non era accettabile. Voleva che rinunciassi, che mi trovassi un lavoro migliore o che tornassi a studiare.
Avevamo iniziato a litigare pesantemente tute le sere, lui che sminuiva ogni cosa che facevo, ed io che continuavo a ripetergli che se fossi andata all'Università sarebbe comunque stato un problema rimanere a Viterbo. Alla fine capii che la sua era solo volontà di litigare con me.
Stavamo insieme da quattro anni, ma lui da quasi un anno aveva una storia con la mia migliore amica, Anna.
Quando lo scoprii fu un duro colpo, ma mi aiutò ad accettare la mia partenza. Una sera seguii lui per vedere se le mie erano solo fissazioni o se davvero potesse avere un'altra. Si fermò in una via buia, io rimasi appostata dietro il cassonetto col motorino che mi aveva prestato un nostro amico. Lei arrivò e salì nella sua auto. Quello che vidi non me lo scorderò mai più. Il giorno dopo decisi di entrare sul profilo facebook di Francesco. Conoscevo la Password ma non lo avevo mai fatto, mi ero sempre fidata. Trovai le loro conversazioni che andavano avanti da parecchio tempo. Mi faceva male però sapere che tutti e due non vedevano l'ora che me ne andassi. Ero io tra loro due e non Anna tra me e Francesco.
Non dissi nulla, a nessuno dei due, smisi di cercarli semplicemente. Lei continuava a mandarmi messaggi, fin quando non decisi di bloccare il suo contatto Whatsapp. Chissà se si è mai chiesta il motivo, ma non mi importava. Se non lo capiva era davvero stupida.
Non volli vederli nemmeno il giorno della partenza, ma lasciai loro due lettere, che spedii tramite casella posale. Ad ognuno di loro avevo qualcosa da dire.
Mia sorella bussò alla porta, riportandomi alla realtà. Mi ero così persa nei miei pensieri che dopo tutto quel tempo avevo ancora la schiuma tra i capelli.
«Luna, fammi entrare dai! Devo prepararmi anche io!»
Sorrisi, pensando che quella testarda di mia sorella aveva architettato tutto per farmi divertire e non pensare a quei due imbecilli. Che si fottessero e vivessero la loro storia d'amore come volevano!
Mi allungai verso la porta, girando la chiave. Mia sorella entrò e vedendomi ancora sotto la doccia, spalancò le braccia.
«Non ci posso credere! Stai ancora così!»
Mi sgridò.
«Stai tranquilla sorellina, faccio subito!»
Dissi, cercando di sciacquarmi il più in fretta possibile. Quando uscii dalla doccia, Aurora mi fissava torva in viso, ma poi impallidì e gridò, puntando il dito verso di me. Io non capii, mi affrettai ad andare davanti allo specchio, rimanendo a bocca aperta per lo stupore. Poco più su della mia clavicola c'erano due punti rossi, piccoli e poco profondi, da cui scendevano due rivoletti di sangue.
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