Capitolo 16
Il garage di Keira era in condizioni peggiori del solito. Oltre alle scatole piene di attrezzi e pezzi di ricambio accatastate ovunque, alle cianfrusaglie riposte sulle mensole in maniera del tutto casuale e un paio di scarponi sporchi di una schifezza nera, l'intero pavimento era cosparso di una poltiglia disgustosa. Olio di motore, a detta di Keira, ma la puzza che ristagnava fra le mura ricordava quella di bruciato.
Altair sbuffava su uno sgabello sgangherato, nascosta in mezzo a due pile di scatole. L'umidità aveva rovinato il cartone, creando macchie dalle forme più disparate. Lei fissò lo sguardo su quella che somigliava in maniera palese alla faccia di un tizio col naso abbastanza grosso da poter servire da ombrello.
«Non mi sembra di avergli chiesto la luna,» diceva Evelyn. Gesticolava forsennata davanti alla scrivania con il computer. Sul viso portava un trucco meno vistoso del solito, niente mascara né matita, solo del fondotinta per fingere una pelle perfetta.
Keira sedeva davanti allo schermo, ma gli dava le spalle. La sua attenzione restava incollata su Evelyn e sul suo chiocciare disperato da gallina. «Mi spiace, Eve. Ma se non vuole venire forse è meglio se ce ne facciamo una ragione e lasciamo perdere. Non sarà la fine del mondo.»
«È mio fratello!» Evelyn picchiò il palmo sulla scrivania. L'altra sussultò poi, senza aggiungere niente, si limitò ad annuire.
Altair si riavviò i capelli, il capo reclinato a fissare un soffitto riverniciato da poco. Quante storie per un fratello di merda. Lo scazzo era sacrosanto, ma che senso aveva farne una tragedia?
Quella lagna andava avanti da quando avevano lasciato lo studio.
Evelyn si sedette in braccio a Keira. Le prese una ciocca di capelli scuri e se l'attorcigliò attorno al dito, distratta. «E poi già non ci sarà la tua, di famiglia. Vorrei che almeno la mia fosse al completo.»
Keira le diede una spintarella con la fronte. «La mia famiglia c'è invece.» Allungò il braccio a indicare Altair.
Lei sollevò il mento in risposta. «Bella famiglia di pazzi.»
«Considerato i miei parenti biologici, direi che mi è andata bene.»
«Sì,» disse Eve, «però mi sarebbe piaciuto avere anche Ethan.» Quest'ultimo pezzo lo aggiunse in un filo di voce, e subito dopo nascose il viso nell'incavo del collo di Keira.
Chissà perché le famiglie erano sempre in grado di risvegliare il lato più disperato di chiunque. O forse Altair era abituata ad avere a che fare solo con persone con famiglie di merda: dopotutto perché qualcuno con dei genitori decenti, sorelle sane di mente e fratelli gentili avrebbe dovuto interagire con una come lei?
«Che cazzo ci devi fare con quell'asociale?» Altair schioccò le dita. «Hai la damigella d'onore più figa della città.»
«E che culo.» Un tono sarcastico, ma la risatina che seguì raccontava una storia diversa. «Hai ragione però. Sai cosa? Non me ne frega niente se quel deficiente che si veste come una nonna non vuole venire.»
Keira le carezzò la schiena, il capo inclinato e lo sguardo incollato su Evelyn. «Esatto. Poi se proprio ci tieni, possiamo convincere Vega a mettersi un camice e a spacciarsi per tuo fratello.»
«Convincermi a fare cosa?» Parli del diavolo e spuntano le corna.
Vega si fece strada fra le pile di scatole. L'orlo del cappotto gli oscillava sulle ginocchia; una sciarpa scura gli fasciava il collo. Con una mano sul petto e l'altra nascosta in tasca, Vega sollevò la suola in una smorfia. L'olio che ricopriva il pavimento gli gocciolava dalla scarpa. «Dovresti assumere una donna delle pulizie.»
«Oppure potresti farlo tu gratis,» disse Altair. «Scommetto che ti ci divertiresti un mondo, a riordinare tutto in ordine alfabetico.»
«O magari potresti approfittarne tu, non eri in cerca di lavoro?» Difficile capire se fosse serio o se la stesse solo prendendo per il culo, dalla faccia impassibile. Conoscendolo, protendeva più per la seconda. Non che le facesse differenza.
«Vedo che la tua simpatia non era merito dei fulmini.»
Lui raccattò una pezza consunta da una delle mensole e si chinò a pulire la suola della scarpa. Aveva lasciato una serie di impronte d'olio durante il tragitto. «Felice di vedere che la mancanza di fulmini non ti ha sbloccato battute nuove. Sarei morto di nostalgia.»
Che stronzo.
Altair gli puntò un dito contro e saltò giù dalla sedia. Un'idea di merda. Il secondo successivo si ritrovò piegata in due, l'intero stomaco in fiamme e una ragnatela rossa di dolore che le si espandeva lungo il corpo. Merda. Eppure aveva appena preso una di quelle pasticche del cazzo.
Schioccò la lingua, risollevando il busto come se niente fosse. I capelli le oscillarono dietro la nuca, in una cascata. «Sei fortunato che sto una merda, superuomo,» borbottò.
A questo, Vega non ribatté. Lui fece scivolare lo sguardo lungo la sua figura, come se cercasse la ragione del suo malessere. Come se fosse convinto di trovare una macchia di sangue impregnarle la maglia. «Allora è vero che sei diventata peggio di un vecchio.»
Lei gli mostrò il medio. «Sono comunque più figa di te.»
Lui fece uno strano suono, una specie di sospiro interrotto da un mezzo sorriso. Scosse la testa e, senza aggiungere altro, si chinò ad asciugare le impronte che aveva lasciato sul pavimento. Che cazzo ci si sprecava a fare?
«Le altre?»
«Stanno per arrivare, immagino,» gli rispose Keira.
«Di cos'è che dobbiamo discutere di tanto importante?» Vega si rialzò ripiegando la pezza sporca con cura maniacale.
Evelyn diede una pacca a Keira prima di alzarsi in piedi e puntargli un dito contro. «Non ancora. Dovete esserci tutti.»
Lui gettò la pezza sulla mensola, lì dove l'aveva presa. Gli erano rimasti dei rimasugli di olio nero sui palmi; se ne accorse anche lui e provò a sfregarle via. «Tu lo sai?» chiese ad Altair.
«Può darsi.»
«Lo prendo per un sì.»
Altair si tirò i capelli all'indietro in uno sbuffo, quando udì un rumore di passi pesanti. Incazzati. Di sicuro non potevano essere di Elettra. Si voltò con un ghigno stampato sulle labbra, a osservare Mira addentrarsi nel garage. Niente abiti rockettari quel giorno, solo un paio di semplici jeans e una sobria polo bianca sotto il cappotto lasciato aperto. I capelli le sostavano sulla nuca, legati in una coda morbida e spettinata; solo due ciocche le scendevano libere lungo le guance.
Fece vagare lo sguardo nella stanza. Incrociò gli occhi di Altair, e una veloce scintilla attraversò entrambe. Durò appena un attimo, un rimasuglio della forza che le aveva unite la sera prima sulla pista da ballo.
Altair sollevò il mento in un cenno di saluto. Mira distolse subito l'attenzione, senza nemmeno risponderle. Rivolse un gesto frettoloso col capo a Vega e le altre, immobile poco oltre la soglia.
Qualsiasi filo le tenesse legate, si spezzò in quel momento. Altair ne osservò l'estremità a cui si teneva aggrappata cadere a terra, dissolversi nel nulla. Ficcò entrambe le mani nelle tasche, cercò le chiavi di casa; le afferrò fra le dita e strinse fino a sentire le gocce di sangue bagnarle il palmo.
Ricadde sulla sedia in un tonfo. Stronza.
«Quindi?» Mira inclinò appena il capo. Una delle ciocche le ondeggiò sull'occhio. «Che volete?»
«Dritta al punto,» disse Vega.
«No, no, dobbiamo essere tutti,» rispose Evelyn.
Altair batteva il tacco contro il pavimento. «Che rottura di palle.» Lasciò la presa sulle chiavi, che le ricaddero nella tasca. L'unghia dell'indice le si era intrisa di sangue. Trascinò i piedi contro il terreno fino a raggiungere la pezza che Vega aveva riposto sulla mensola e pulirsi alla bell'e meglio.
La gettò sul lago di olio nero, a fare da zattera in mezzo al putridume.
Mira faceva di tutto pur di evitare il suo sguardo. La stronza preferiva fissarsi le scarpe, riaggiustarsi le maniche o sospirare come un'anima in pena mentre passeggiava fra le pile di scatole. Si spostò all'altro capo della stanza, verso la sedia dove Altair era stata fino a pochi secondi prima.
«Scusatemi.» La voce di Elettra arrivò improvvisa a increspare l'aria, a regalare una goccia di calore nell'atmosfera di merda che aleggiava. «Ho fatto tardi. Ho avuto un piccolo contrattempo.» Camminava piano, scandagliando la strada di fronte a sé col bastone. Aveva messo un paio di occhiali scuri, uno scudo contro un mondo che poteva vederla, ma che per lei non esisteva.
Faceva una brutta impressione, un ritorno indietro nel tempo. Il primo giorno in cui si erano incrociate, Altair l'aveva scambiata per una creatura miserabile prima di capire con chi avesse a che fare per davvero. Eppure l'Elettra che aveva davanti adesso era ancora una volta quella donna miserabile.
Vega le fu subito affianco, a sorreggerla. «Tutto bene? È successo qualcosa?» Gli piaceva giocare al bravo fidanzatino. Sempre pronto a supportarla, sempre a tentare di sollevarsi sulle punte e raggiungere il piedistallo su cui aveva messo Elettra.
«No. Cioè, sì.» Elettra arricciò il naso in un'espressione confusa. «Credo dovrei chiederlo a Mira e Altair.»
«Che cazzo ho fatto io adesso?»
Il petto di Mira sobbalzò appena. Non disse niente, se ne stette immobile, con una mano ad accarezzare lo schienale della sedia vuota accanto a sé.
In un sospiro, Elettra scosse la testa. «Niente. Ne parliamo dopo.» Si aggrappò al braccio di Vega e rivolse l'attenzione davanti a sé, oltre la pozzanghera di olio nero e la zattera di stoffa. Verso lo schermo spento del computer. «C'è qualcosa che dovete dirci, no?»
«Assolutamente.» Evelyn scivolò nella traiettoria del suo sguardo vuoto. Keira le si accostò, le circondò la vita con un braccio e la tirò a sé. Si scambiarono un sorriso, poi entrambe sollevarono la mano. Uno scintillio di luce attraversò i loro anelli.
«Ci sposiamo,» cantilenarono insieme, in perfetta sincronia.
«Oh.» Elettra vacillò per un attimo, come se fosse indecisa se buttarsi in avanti o rimanere incollata come una cozza a Vega. Alla fine attraversò la pozzanghera d'olio, il bastone bacchettava per terra per impedirle di inciampare.
Non fu un abbraccio impacciato, perché Evelyn le andò incontro a metà strada; si lanciò fra le sue braccia. La deficiente non vedeva l'ora che qualcuno si entusiasmasse per la sua stupida notizia.
«Congratulazioni,» disse Elettra, la faccia affondata nei capelli dell'altra.
Vega strinse la mano di Keira, un gesto più sobrio, virile. Adatto al ciocco di legno che era. «Doveva succedere prima o poi, eh?»
Keira si illuminò in un sorriso. «Già. Spero solo di non fare un casino.»
Mira fu l'unica a non partecipare ai festeggiamenti, oltre ad Altair. Rivolse soltanto un cenno con il capo in direzione di Keira, che in tutta risposta sollevò il pollice. Lo scazzo tornò a tirarle i lineamenti subito dopo.
Elettra sciolse l'abbraccio, ma non si toglieva di dosso quel sorriso gentile e, per una volta, genuino. «Sono davvero felice per voi. Ve la meritate un po' di felicità, dopo tutto quello che avete passato.»
«Grazie, Ely. Finalmente qualcuno che si sa congratulare come si deve.» L'insinuazione di Evelyn strisciò fino all'altra sponda del lago nero, verso Altair.
Lei scrollò le spalle. «Ehi, almeno non ho fatto schifo come quell'asociale di tuo fratello.»
«Per favore, non ricordarmelo. Vorrei tanto prenderlo a pugni, quello stupido.»
Elettra indietreggiò per lasciarle spazio. La mano le vagò alla cieca, alla ricerca di un appiglio, o forse di qualcuno in particolare. Incontrò la spalla di Keira, e gliela strinse con gentilezza. «Avete già deciso una data?»
«Quasi. Ma sarà a breve, non vogliamo aspettare quindici anni. Non m'importa se dovesse essere una festicciola piccola, non vedo l'ora di essere sposata.» Evelyn saltellava sul posto. L'eccitazione le traspariva da ogni poro.
Altair schioccò la lingua. «Tra qualche anno ti manderai a fanculo da sola.»
«Sì che ti importa della festa,» disse Keira.
L'avevano appena ignorata.
«No,» rispose Eve. «Forse sì. Un pochino. Magari non deve essere per forza una cosa deprimente fra noi quattro gatti.»
Vega emise uno sbuffo divertito. «Inviterà tutta la città.»
«Inviterà tutta la città,» disse Keira.
La scintilla di assoluta allegria che la alimentava si spense di colpo. Evelyn lasciò ciondolare le braccia lungo i fianchi. «Che differenza vi fa? Tanto poi la gente si crede troppo superiore per partecipare.»
La ragnatela rossa riprese a lampeggiare; in una smorfia, Altair premette il palmo contro il fianco, il centro esatto di quella merda di rete che trasmetteva il dolore da un punto all'altro. Durò poco più di una manciata di secondi. «Smettila di lagnarti,» disse dopo. «Quante volte ti devo dire che quello è solo uno sfigato?»
Ci fu un verso sprezzante da parte di Mira.
«Tuo fratello ha detto di non voler venire?» chiese Elettra.
Evelyn si lasciò andare a uno dei suoi sospiri teatrali esagerati. Keira intrecciò le dita con le sue. «Già. Quello stupido faccia da criceto.»
«Dagli tempo. Magari cambia idea.»
«Esatto!» saltò su Keira. «Forse ha solo bisogno di pensarci su.»
Quella del Dottor Asociale però non sembrava affatto una risposta momentanea. Odiava la sua cazzo di famiglia. E aveva fatto capire senza mezzi termini di non tenere a Eve abbastanza da affrontare la paura di rincontrarli tutti.
In poche parole, un fratello di merda.
Evelyn ricadde sulla sedia, le dita ancora strette in quelle di Keira. «Ne dubito.» Ma non aggiunse altro, fece roteare il palmo in direzione di Elettra. «Che ti è successo? Che ha combinato il duo del caos?»
Elettra si lasciò andare a un breve sorriso. «Credo si siano fatte un paio di nemici di cui non ci hanno mai parlato.»
«Devi essere più specifica, ghiacciolina.»
«Sherlin,» sbuffò invece Mira.
Oh. Già. Altair se l'era quasi dimenticata. «Ah, la pony.»
«Non so il nome.» Elettra ritrovò il braccio di Vega, gli si appiccicò. «Era una ragazza abbastanza giovane, con una banda di ragazzini armati. Uno di loro si chiama Gael.»
Bella merda. Non se li sarebbero mai tolti dai piedi. «Che cazzo volevano da te?»
«Propormi una collaborazione, a quanto pare.»
«Per che cosa?» chiese Mira.
Qualche attimo di pausa. Elettra si afferrò il lobo dell'orecchio fra indice e pollice e lo tirò verso il basso. «Vogliono che li aiutiamo a liberare un tale che lavorava per la S.d.» sospirò. «Sperano possa aiutarci a capire quello che è successo. Trovare un rimedio.»
Vega si passò una mano sulla nuca. «Perché alla fine si torna sempre lì?»
«Non lo so,» disse Evelyn, «forse il destino ha poca fantasia.»
Keira le batté un colpetto sulla spalla. L'altra si rialzò in un verso infastidito, e Keira si accomodò al suo posto; Evelyn le si sedette in braccio. «Potrebbe non essere una brutta idea. Se questo tizio può dare una spiegazione alla sparizione dei fulmini...»
«Può darsi.» Elettra spostava il peso da un piede all'altro, il bastone ben piantato a terra. Le impronte d'olio lasciate la circondavano, una descrizione perfetta del suo nervosismo. «Ma preferirei che prima facessi qualche ricerca su questo Pablo Alvaréz.»
«Uno già di cognome fa Alvaréz, che cazzo lo chiami Pablo?» commentò Evelyn. «Cos'è, uno stereotipo umano?»
Keira le carezzava i capelli, attraversata da un sorriso. «Mi dice qualcosa. Vedo cosa riesco a trovare.»
Elettra annuì. «Grazie.»
Assurdo che fosse proprio quella sciroccata di Sherlin a portare un briciolo di speranza.
Altair attirò l'attenzione con un fischio. Poi spalancò le braccia, e una piccola spirale di ferro rovente le attraversò il corpo. «Se abbiamo finito con le stronzate, me ne vado, o rischio di scordarmi come ci si diverte in mezzo a voi pallosoni.»
Nessuno ebbe da ridire. Soprattutto non Mira, che non la ritenne nemmeno degna della propria attenzione. Lei e quella sua stupida faccia incazzata fissavano le scatole umide, evitavano i riflettori, si rifugiavano dalle attenzioni.
Se proprio ci teneva a rendersi invisibile, Altair l'avrebbe accontentata.
Con l'arrivo ufficiale della neve a imbrattare le strade, Nuova Folk aveva perso la testa. La voglia di festeggiare aveva convinto i commercianti a radunare le bancarelle lungo la strada; con i loro cartelli al neon coloravano la distesa di bianco candido di tinture arcobaleno.
Gruppi entusiasti di gente scalpitavano da un carretto del cibo all'altro. Altair si faceva strada in mezzo alla calca schioccando le dita.
Dagli amplificatori disposti ai lati della strada proveniva una musica dal ritmo incalzante. Un rock alternativo, dal suono datato di qualche decina d'anni. Altair apprezzava la rabbia psicotica che la cantante lasciava trasparire nella voce; le note le si attorcigliarono al cuore, lo accompagnarono nei suoi battiti.
Il fiato le si condensava in una nuvola a ogni respiro. Non certo la più geniale delle idee, organizzare una festa all'aperto subito dopo una bella tormenta di neve.
Si lasciò guidare dall'odore di carne e frittura. Ordinò un panino con salsiccia al chiosco più vicino, dove una tizia con più piercing che naso all'altro lato della bancarella annuì senza troppo entusiasmo. Batté i numeri sulla cassa, lenta e pigra, mentre agitava la testa con la grazia di un piccione a ritmo di musica.
«Vuole anche da bere?» Lo chiese senza nemmeno guardarla. Qualcos'altro teneva distratta la sua mente da adolescente troppo cresciuta.
«Una birra.» Altair infilò le mani nelle tasche, alla ricerca dei soldi. Aveva solo chiavi.
«Sono dieci dollari.»
Merda. Non si era portata dietro nemmeno un centesimo bucato. «Pago dopo,» rispose, in un gesto noncurante.
L'altra scosse la testa. «Mi spiace, non posso preparare nulla se prima non batto lo scontrino. Le regole.»
Altair batté il palmo contro il bancone. Quante cazzo di storie per un panino di merda. «Allora fallo.»
«Non faccio scontrini se non ha intenzione di pagare.»
«Andiamo. Non andate mica in banca rotta per un cazzo di scontrino.»
Le spuntò un sorrisetto sulle labbra. «Non è la prima che pensa di potermi fregare. Non sono così stupida da cascarci.»
Fantastico. Le doveva capitare proprio la stronza che si credeva furba. Altair annuì, le dita a tamburellare sul bancone. Attorno a lei si radunò un gruppo di uomini in abiti casual e l'aspetto ordinario. «Va bene, stronza. Tieniti la tua merda di panino allora.»
Il contenitore delle salse aspettava a pochi centimetri dalla sua mano. Altair prese la confezione del ketchup e glielo spruzzò dritto sul naso pieno di piercing. Gli uomini in fila trattennero a stento una risata, mentre la ragazza le bestemmiava dietro. Altair si allontanò con il medio sollevato.
Lo stomaco le si arrotolava su se stesso. Se non fosse stato per la musica incazzata in sottofondo, sarebbero stati i suoi lamenti a fare da sfondo a quella festa di merda.
Un furgoncino sostava poco più distante dalle bancarelle del cibo. Un uomo puntava un fucile giocattolo, l'aria concentrata. Ciocche scomposte di capelli scuri gli cadevano sugli occhi, e lui scuoteva la testa di continuo nel tentativo di levarseli di torno. Nonostante l'aspetto trasandato, vestiva bene, lo stronzo. Soltanto il giubbotto di pelle era un modello costoso, doveva valere almeno trecento dollari.
Sparò tre colpi in successione. Colpì due lattine. Abbassò il fucile con un sorriso soddisfatto.
Altair gli andò vicino, puntando le lattine ancora in piedi. Ne restavano quattro. «Ohi, scicchettone, dieci dollari che faccio meglio di te.»
Quello spostò l'attenzione su di lei con una certa curiosità. Inclinò la testa di lato. Non aveva degli occhi grandi, ma dalla forma allungata. «Scusa?»
«Non fare il finto sordo, mi hai sentito.»
Una risata. Poi le passò il fucile. «Prego, Miss Sfacciataggine. A lei l'onore di umiliarmi.»
Altair non se lo fece ripetere due volte. Gli tolse l'arma giocattolo dalle mani e prese la mira. Al contrario di lui, non si prese tre ore per testare l'impugnatura o pregare chissà che divinità di non fare una figura di merda. Sparò quattro colpi, uno dopo l'altro.
Tutti i barattoli caddero giù.
«Cosa sei, una specie di killer? Ti hanno ingaggiata per uccidermi, vero?»
In uno sbuffo, Altair lanciò il fucile sul bancone. «Scommetto che è così che comincia la tua fantasia segreta.» Allungò la mano. Una folata di vento le congelò la pelle calda. «I dieci dollari, scicchettone.»
Lui si passò il pollice sul labbro. «Mi hai beccato. Di solito però nella mia fantasia c'è una bionda con il seno prosperoso.» Sollevò le sopracciglia con un sorrisetto da cazzo.
«Sì? Anche nella mia.» Altair gli diede una pacca sulla spalla. «Ora sgancia i soldi, non ho tutta la cazzo di sera.»
«A che ti servono dieci dollari?» Le si avvicinò, una mano poggiata sul bancone, l'altra sospesa a mezz'aria, come se volesse sfiorarle il braccio ma non osasse.
«Segreti da killer,» gli rispose, sollevando il mento.
«Magari se mi dici cosa vuoi, posso offrirtelo.» Abbassò di poco il busto verso di lei. Una fame vorace gli brillava negli occhi. La fissava senza timore, la sfidava.
Non la evitava.
Altair si limitò a scrollare le spalle e a mordersi il labbro. «Se proprio ci tieni a sperperare i soldi, comprami un panino allora.»
Note:
Ehm... ehm... che dire? Vorrei pregare di non odiarmi, ma è meglio se mi sto zitta mi sa. Se dovete prendervela con qualcuno, prendetevela con quelle due dementi però, io non c'entro xD
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