7. Rete d'oro


«Ti ringrazio per l'informazione», risposi alla giovane sirena.

Adesso dovevo solo trovare il modo per raggiungere la grande città di quelle donne e distruggerla, ma ancora non sapevo cosa dovessi fare.
Come già avevo accennato nella mia mente un piano c'era e sapevo di aver tutti i mezzi a disposizione per realizzarlo, ma qualcosa non andava e ancora non capivo cosa fosse.

«Hey, signora, perché il tuo riflesso è diverso?», chiese una fastidiosa voce distraendomi dai miei importanti pensieri.

Guardai nuovamente la sirena per capire a chi si stesse riferendo, ma mi accorsi con enorme disappunto che doveva trattarsi proprio di me.

«Io non sono una donna.», risposi secco.

«Ma hai i capelli lunghi e un vestito», ribatté lei.
«Non è un vestito, è solo un cappotto! Tu poi non sei nella condizione di poter dire qualcosa date le tue mani poco femminili!», replicai con una punta di rabbia.

Lei nascose velocemente dietro la schiena le grosse mani, ma io non avevo ancora finito.

«E poi, non è cortese dare del tu agli sconosciuti.»

La creatura rimase per un attimo in silenzio, come rimuginando su ciò che avevo appena detto, poi parlò.

«Piacere, io sono Butter, e voi chi siete?»

Decisi di ignorare la mano tesa nella mia direzione voltandomi dall'altra parte, verso la terraferma. Lei invece era intenzionata a non demordere e con un rapido movimento della coda, che spostò dolcemente l'acqua azzurrina, tornò nella mia visuale.

«Perché il tuo riflesso è diverso?», domandò quasi a bassa voce, temendo che mi alterassi di nuovo.

L'acqua, nonostante fosse tanto chiara, pareva una sorta di grande specchio che rifletteva in modo impeccabile tutto ciò che lo circondava.

Tutto ad eccezione di me.

La figura che si trovava al posto del mio riflesso non rispecchiava affatto il mio aspetto fisico, ma bensì quello mentale, la bestia feroce che risiede dentro di me e che prende vita dal mio desiderio di vendetta. Essa, infatti, si nutre delle mie vittorie e prova godimento nel vedere la sofferenza altrui.

«Non sono affari che ti riguardano e adesso vedi di sparire dalla mia vista.», risposi freddo.

Solo quando la creatura si inabissò fino a sparire completamente confondendosi con il profondo fondale marino potei ritenermi soddisfatto.

Nel mentre Neon e Fetonte erano rimasti nel completo silenzio, l'uno troppo spaventato per parlare e l'altro concentrato sul controllo dell'imbarcazione.
Stavo proprio per esporre a loro il mio piano, quando la stessa voce di prima mi interruppe.

«Perché Sibilla?», domandò.

Ancora una volta non capivo a cosa si riferisse, ma ero abbastanza occupato a cercare la sirena con lo sguardo.
La laguna pareva disabitata, non vedevo nulla di sospetto in acqua, a eccezione di una grossa e pesante roccia che si era palesata sul fianco della barca.

«Sei dietro la roccia?»
«No》, rispose lei facendo oscillare leggermente la grigia massa rocciosa che teneva tra le mani «sono invisibile.»

«Sì, sei lì dietro.»

«Però così non mi vedi, quindi... Perché si chiama Sibilla?»
«Intendi la nave?», domandai confuso e irritato indicando il mezzo.
«Sì, la cosa sotto di te»
«È solo un nome, non ha importanza.»

«Mia madre dice che i nomi sono molto importanti. Determinano le sorti della nostra vita.», ribatté lei.

«Detto da una che ha un nome insignificante come il tuo non ha molto senso»

«Il mio è un nome bellissimo!», esclamò lasciando che la roccia le scivolasse via dalla forte stretta dalle sue mani palmate.

«Non hai davvero niente di meglio da fare che stare qui a infastidirmi?»

La creatura rimase in silenzio, come se stesse davvero riflettendo su quello che le avevo detto.

«Qual è il tuo nome?», domandò in fine.

Non risposi, ignorarla era la scelta migliore.
Mi voltai per allontanarmi dal bordo della barca, ma le sue successive parole mi fermarono.

«Se i nomi sono davvero importanti allora lo deve essere anche il tuo, se non lo è allora hai ragione, ma in quel caso non saresti molto diverso da me.»

Fu quella la goccia che fece traboccare il calice, sulla sua superficie di vetro si formò una piccola crepa, ma era già anche troppo per il mio limite.
Probabilmente senza volerlo, Butter, aveva colpito il tassello più in bilico del mio domino, procurandone così un effetto catena che spinse giù tutti gli altri.

Una volta ero famoso per le mie crisi di rabbia, ma con il passare del tempo avevo imparato a controllarle e non rispondere agli impulsi.

Anche questa volta prima di agire pensai. Avrei potuto facilmente vincere questo dialogo, avrei potuto mentire negando di avere un nome, ma non sono quel tipo di persona.

No, anzi, non sono più una persona, sono un demone.

Con tutta la calma di cui ero a disposizione afferrai la rete d'oro legata al pontile della nave e la lanciai in acqua.
Le sue urla di dolore, le avrei anche potute udire dalla cima del mio castello.

Senza che ci prestassi troppa attenzione sul mio viso si era formato un grosso e crudele sorriso, e quasi non persi il controllo sui miei occhi che pregavano di poter essere lasciati liberi di rigirarsi all'indietro.

Dovrei forse darvi spiegazioni adesso?
È semplice, ma se ancora non ci foste arrivati, le sirene e l'oro non vanno molto d'accordo.
In termini più pratici, la pelle di queste creature marine a contatto con il materiale dal colore dell'alba si brucia, come mille aghi di ferro per una fata.

Fetonte si avvicinò ridestandomi così dalla nube di follia che aveva preso il controllo di me.
Mi voltai verso la sirena che urlava e rimasi ancora più compiaciuto alla vista di quella scenetta.

Una madre che aveva appena salvato la figlia dal patire il dolore più grande che essa possa immaginare, e una figlia che guarda la madre soffrire dolcemente senza poter fare niente per salvarla se non ferirsi egli stessa.

In certi momenti il caso si rivela molto favorevole e benigno verso di me, ma non sperate certo che io possa perdonarlo per ciò che mi ha fatto.




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Scusate se ci ho messo un po' a pubblicare ma ho avuto un piccolo blocco, per fortuna sono riuscita a superarlo.

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