4. La stanza dei giochi
La stanza si trovava al terzo piano e affiancava la mia camera da letto. Il pavimento era di marmo bianco, e sulle pareti nere c'erano appesi i miei strumenti preferiti.
Fetonte, dopo aver legato i due intrusi alle sedie e aver messo il cadavere sul tavolo da lavoro, uscì.
Mi sedetti davanti a loro, sulla mia sedia di metallo con le ruote, e osservai i loro volti cercando di decidere cosa farne.
Il mezzo-gnomo di nome Dragon che prima mi stava per attaccare, come avevo già detto, aveva dei folti baffi e una lunga barba castano scuro. Il suo grosso naso arrossato era in mezzo a due occhietti marroni che esprimevano odio.
Mi accorsi che mi stava guardando anche lui, si era svegliato.
«Perché siete qui?», gli chiesi.
«Non te lo diremo mai, piuttosto moriremo con atroci tortu...»
Non fece in tempo a finire la frase perché l'altro gnomo lo interruppe.
«Siamo venuti a liberare le fate che hai catturato giorni fa durante la festa dei cinquant'anni di...»
«Le ho uccise.», lo interruppi io spostando lo sguardo su di lui.
Era più giovane dell'altro di almeno un centinaio di anni. Indossava ancora il suo cappello di un rosso acceso, molto probabilmente non era ancora ufficialmente un adulto. I ciuffi che spuntavano da sotto il cappello rivelavano dei capelli arancioni. Non aveva né barba né baffi, cosa strana per uno gnomo. Gli occhi erano anch'essi di colore arancione, con l'unico particolare che l'iride andando verso la pupilla diventava turchese chiaro.
Entrambi gli gnomi rimasero in silenzio, il primo mi guardava come se volesse darmi fuoco, il secondo invece guardava a terra con gli occhi spalancati.
«Adesso se non volete fare anche voi la stessa fine delle fate e del vostro amico rispondete a questa semplice domanda», dissi mentre li osservavo malignamente. «Perché mai degli gnomi dovrebbero immischiarsi nelle faccende delle fate? Perché invece non sono venute loro a salvare i loro compagni? Che bisogno c'era di mandare voi qui?»
«Signore, non vorrei darle alcun fastidio, o causarle imbarazzo, ma queste mi pare siano tre domande, non un...»
Fulminai con lo sguardo il giovane gnomo che aveva parlato.
«Ti chiami Neon giusto?», chiesi provando tenere sotto controllo la rabbia cambiando posizione sulla sedia.
«Veramente, signore», si mise a raccontare lo gnomo. «mia madre alla nascita mi diede il nome di Neonefistocle X, ma con quel nome mi chiama solo se è arrabbiata per qualcosa che ho fatto o dimenticato di fare. Solitamente tutti quelli che conosco, tranne a chi sto antipatico, mi chiamano Neon. Anche se a volte i parenti quando sono concentrati a fare altro, magari a costruire qualcosa o ad aggiustarlo, mi chiamano Ne. Ora che ci penso però certe volte vengo chiamato semplicemente Decimo, forse per non confondermi con il mio quarto cugino di secondo grado, Neonefistocle XVI, che vive a tre tunnel di distanza dal mio e da quello di mia madr...»
«BASTA!», urlai alzandomi dalla sedia. «Ecco perché odio gli gnomi, voi piccoli esseri fastidiosi non la smettete più di parlare! Non vi sopporto!»
«Però ha ragione», disse Dragon interrompendo la mia esplosione di rabbia improvvisa. «le domande erano sicuramente tre. Se avevi intenzione di farne più di una allora avresti dovuto dire "vorrei che voi rispondeste alle mie domande", invece tu hai detto "rispondete a questa semplice domanda", il che non è corrett...»
«Avete intenzione di rispondermi?!», sbraitai esasperato.
Nessuno dei due mi diede una risposta, erano entrambi tornati con le espressioni di prima.
«Ok», dissi per tranquillizzarmi. «se nessuno dei due vuole rispondermi, allora me la prenderò con il terzo.»
Neon alzò gli occhi sorpreso per ciò che avevo appena detto.
Dragon invece non fece una piega, come se quella l'affermazione non gli avesse sortito alcun effetto.
Mi avvicinai al corpo dello gnomo morto e lo osservai di nuovo.
«0,55 cm...0,07 cm...ma dato che devo diminuire...», dissi a bassa voce pensieroso. «Si, dovrebbe essere di sei»
Mi diressi verso l'armadietto di legno di ciliegio e lo aprii. Il suo contenuto non vi è dato conoscerlo, ma sappiate che da lì estrassi un vaso con all'interno un piccolo fiore.
Aveva cinque lobi tondeggianti e allungati, di un blu misto al violaceo, e delle sottili radici flessibili.
Lo appoggiai sul tavolo e andai a prendere un bisturi dagli attrezzi sulla parete. Tornai al tavolo e rapidamente sbottonai la camicia dello gnomo morto. Osservai la chiara pelle esposta che si vedeva attraverso alla sua lattea barba.
Presi poi il bisturi e gli feci uno squarcio all'altezza del cuore.
Neon sussultò sulla sedia al mio gesto, ma Dragon rimase nuovamente impassibile.
Al mio passaggio con il bisturi la carne si apriva velocemente, come se si fosse trattato della cerniera di una borsa. Appoggiai poi l'arnese sporco di sangue sul tavolo ed estrassi il fiore dal vasetto mettendolo sul cuore esposto dello gnomo.
Il fiore si attaccò rapidamente con le radici al suo organo fermo, quasi si fosse trattato della sua unica fonte di salvezza.
Il corpo dello gnomo ebbe dei violenti spasmi, all'improvviso si tirò su seduto e voltò la testa verso i suoi compagni.
«A-aiUta-a-T-temI-i», balbettò a fatica allungando il braccio verso di loro.
Neon ormai non stava più guardando, teneva gli occhi stretti e rivolti verso terra, e se avesse avuto le mani libere si sarebbe già tappato le orecchie.
Dragon invece adesso sembrava decisamente sorpreso e guardava il suo ex compagno che cercava di scendere giù dal tavolo.
«Sono disposto a lasciarvi andare tutti e due se risponderete alle mie domande», dissi. «Altrimenti vi accadrà questo.»
Rovesciai sulla testa dello gnomo una pozione verdastra che emanava un forte odore di terra e muschio.
Subito venne colpito da altri spasmi e iniziò a vomitare.
La saliva e il vomito gli colavano addosso sporcandogli la barba e gli indumenti, e cadendo a terra andavano a fondendosi alla pozza di sangue che gli usciva dal petto.
Il fiore si stava ingrandendo e gli stava stritolando il cuore in una stretta morsa.
Tentò di balbettare qualcosa di incomprensibile per via del vomito che gli riempiva la bocca. Cadde a terra ed arrancò soffocando fino ai piedi di Neon a cui si aggrappò.
Il giovane rimase paralizzato con gli occhi sbarrati su di lui, dal quale iniziavano a cadere lacrime.
Anche gli occhi gentili di Otone si riempirono di calde e salate lacrime che si unirono a quel disgusto scenario di liquidi corporei.
Con un ultimo rantolo lo gnomo si lasciò cadere a terra, ma le sue lacrime proseguirono a scendere ancora per un po'.
«Allora, parlate», chiesi agli gnomi vivi.
«Non romperemo il giuramento che abbiamo fatto al nostro Re. Non importa se faremo la sua stessa fine.»
«L-la principessa d-delle fate è la figlia adottiva della R-regina delle sirene e d-del Re dei nani», disse singhiozzando e tirando su il naso Neon, senza staccare gli occhi da Otone e senza neanche smettere di piangere. «S-si dice sia cugino alla lontana del Re degli gnomi, che per q-questo ha d-deciso di mandarci qui a recuperare le fate e ad ucci...»
«Perché riveli al nemico queste informazioni!? VUOI FORSE CHE UCCIDA ANCHE GLI ALTRI?», sbraitò Dragon. «L'avevo capito nel preciso istante in cui ti ho visto, TU SEI SOLO UN VILE CODARDO! UN TRADITO...»
«So di essere un codardo.», disse Neon singhiozzando. «Il fatto è che loro ci hanno mandati qui per una missione senza certezze, pur sapendo che saremmo sicuramente morti. Eppure hanno mandato noi. Tra tutti, noi che siamo i più scarsi, che non valiamo niente, che siamo sacrific...»
Questa volta nessuno lo aveva fermato. Si era come bloccato da solo in cerca delle parole per proseguire il discorso, ma il concetto era chiaro.
«Ha risposto, adesso slegaci e lasciaci andare. Almeno il mio onore rimarrà intatto se gli porto la testa di un traditore.», disse Dragon.
Risi sonoramente a quelle parole.
«Non ho mai detto che vi avrei lasciato andare via vivi»
Erano stati mandati qui per uccidermi e io avrei ucciso loro.
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
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