9. Sospiri di carta
Mi svegliai con un insolito dolore alla schiena. Co nel sonno mi aveva spinto giù dal letto e il resto della notte lo avevo passato distesa sul pavimento.
Alzandomi notai le coperte disfatte, ma della ragazza non c'era traccia.
Il giorno prima, con il suo aiuto, avevo gettato a fatica il carico nella fossa comune. Il cimitero non era troppo distante dalla città di Inkland. Non ci andavo spesso, in verità era la prima volta che ci entravo.
Circondato da un grosso muro chiaro, il cancello d'ingresso era lungo e di ferro. La fossa comune era in quello che si poteva definire il retro del cimitero. Lontana da tombe e fiori secchi lasciati lì molti anni prima da parenti e amici dei defunti. Non in molti facevano visita a quel luogo. Sulla rivista Glitter&co era stato classificato come il meno chic del regno, dopo ovviamente Inkland e la redazione di un noto giornale suo rivale.
Dopo esserci liberate dei corpi ci eravamo dirette con il carro verso il ristorante. Lungo il tragitto mi ero scritta in mente il discorso che avrei dovuto fare a Sarino per giustificare la presenza della ragazza. Una volta arrivati davanti al suo letto, però, si rivelò inutile.
«Sono contento che hai fatto amicizia con qualcuno», aveva detto allegramente l'anziano una volta che ebbi presentato Co. «Temevo che avresti continuato a parlare solo con me per il resto della tua vita.»
«Quindi posso stare?», aveva domandato incerta la ragazza di Inkland.
«Ma certo, rimani qui quanto ti pare!», esclamò lui in risposta. «Puoi dormire con Res dato che non ci sono altre stanze.»
Noi ci eravamo guardate negli occhi, stupite del fatto che fosse stato davvero così semplice convincerlo.
«Lascia che la ragazza si dia una sciacquata e prestale i tuoi vestiti.», continuò Sarino rivolto a me.
«Hai capito che io sono un fuggitivo e che se qualcuno lo scopre ti uccideranno?»
«Ho già in casa un criminale, averne uno in più non cambierà la situazione.», tagliò corto lui. «Adesso va a riposarti.»
Avevo poi aiutato Co a farsi il bagno, strofinandola con una grossa spugna.
Più volte mi ero vista costretta a cambiare l'acqua nella vasca perché troppo sporca. La ragazza protestò quando le insaponai i capelli e tentò anche di mordermi la mano. Si comportava proprio come un gatto randagio.
Era magra quel tanto che bastava da vedergli le ossa della cassa toracica, ma allo stesso tempo, come avevo già sperimentato, era dotata di una grande forza. Le gambe e le braccia erano percorse da tanti piccoli tagli coperti da stoffa sporca.
L'avevo avvolta in un grande asciugamano e fatta sedere sul bordo della vasca per asciugare i lunghi capelli. In alcuni punti erano così sporchi e ben annodati che dovetti tagliarli via. Non sembrò molto contenta di vedere la forbice nelle mie mani ma, oltre che tentare di spaccarmi il naso con un pugno, non fece troppe storie.
Avevo fasciato, sotto il suo attendo sguardo, la ferita sul braccio con nuove bende pulite. Probabilmente un proiettile sparato dal soldato l'aveva presa di striscio in quel punto, ma per fortuna non sembrava essere niente di grave. Le bende che già indossava, come pure il sacco che le faceva da vestito, furono immediatamente gettati nel cassonetto più vicino.
Co non sembrava fidarsi ancora molto di me, ma con il tempo sperai che la cosa sarebbe cambiata.
Scendendo in cucina la trovai seduta sul freddo pavimento, intenta a mangiare qualcosa con le mani.
Sarino la stava osservando a qualche metro di distanza con la schiena appoggiata al muro.
«Buongiorno», dissi entrando nella stanza.
«Giorno», salutò l'anziano.
Alla ragazza non sembrava importare del mio arrivo, troppo concentrata a fare a pezzi con i denti quella che sembrava essere una bistecca cruda.
«Quella dove l'hai presa?», domandai sorpresa, notando che si trattava davvero di carne.
«Gliel'ho data io», rispose Sarino tirandosi su leggermente gli occhiali dal naso. «Ha detto che voleva della carne.»
«Questo va bene, ma DOVE l'hai presa?», insistetti iniziando già a temere il paggio.
«Al supermercato.», rispose lui senza esitare. «Ci sono passato questa mattina per fare stampare i volantini.»
«Quali volantini?»
«Quelli per la grande apertura del locale.», disse porgendomi un piccolo foglio tutto colorato.
Lo lessi cercando di non farmi prendere dalle emozioni che divoravano la mia mente in quel momento.
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~ 06/07/1806 ~
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/ Grande riapertura del locale Outland! |
- Non mancate! -
/ Veniteci a trovare in Via Ballarini n. 5^ \
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- Vi aspettiamo! -
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«Pensi che la data vada bene?», continuò Sarino osservando il volantino. «Sembravi preoccupata che non saremmo riusciti facilmente...»
«Quanti ne hai fatti?», lo interruppi.
«Una cinquantina di copie, ma se sono poche posso tornare a farne stampare di nuove.»
«Cosa ce ne dovremmo fare?», domandai restituendo il lucido foglietto al suo proprietario.
«Andiamo a distribuirle per la città.»
«Ovviamente», replicai con un sospiro di rassegnazione.
Ormai avevo imparato ad assecondare le folli idee che a volte aveva l'uomo, ma ciò non voleva dire che approvassi i soldi spesi in questo modo.
«Vuoi un piatto?», domandai a Co. «Non dovresti mangiare la carne cruda, fa male, lo sai?»
Lei mi lanciò un'occhiataccia e addentò l'ultimo boccone di quel freddo cibo.
Le avevo prestato una maglietta rossa che le stava larga e i pantaloni che ormai non mi entravano più.
Dalla sua espressione capii che non era molto contenta del fatto di trovarsi addosso quei vestiti.
«Perché non usciamo a distribuire questi volantini?», propose l'uomo sorridendo. «Sarà divertente»
«Io non mi muovo da qui.», sentenziò Co. «Se qualcuno mi vede mi riportano in quell'inferno.»
«Solo se ti riconoscono. Non avrai mica intenzione di rimanere chiusa qui per tutta la vita?», domandò Sarino.
«È una cosa seria. Potrei morire.»
«Morirai se rimani sempre chiusa in casa», continuò lui cercando di persuaderla. «Esci un po' e vivi la vita adesso che sei libera.»
«Cosa ha che non va oggi questo?», domandò la ragazza rivolta a me.
«Niente, era così da ancora prima che lo incontrassi.»
«Andiamo», insistette lui. «Non vorrete mica che questi fogli rimangano qui a fare la polvere per sempre?»
«Dovresti rimanere ancora a letto o la gamba non ti guarirà più.», gli feci notare.
«Allora andateci voi ad attaccarli per la città.»
«Non hai ancora capito? Io non posso uscire da qui!», esclamò Co.
«Non ci sono soldati per la città. Sono riuscita a vivere qualcosa come tre settimane per le strade di Bestland, con una taglia sulla mia testa, senza che nessuno si degnasse minimamente di prestarmi attenzione.», raccontai. «Non ti stanno cercando, probabilmente neanche si sono accorti della tua assenza da Inkland o ti crederanno morta.»
«Mi stai chiedendo di correre un grande rischio.», disse fredda.
Si era tirata su dal pavimento e adesso mi osservava tenendo le braccia incrociate sul suo petto.
Tra i denti leggermente gialli potevo vedere i rimasugli della rosea carne che era stata la sua colazione.
Io ancora non avevo mangiato niente, ma rinunciai a quell'idea al solo pensiero del prezzo che doveva avere avuto quel cibo.
«Se non vuoi uscire nessuno ti obbliga, ma prima o poi lo farai comunque da te.», conclusi. «Adesso o domani non fa molta differenza.»
Uscendo Sarino mi porse una pila di quei volantini colorati. Erano freddi al tocco e scivolosi. La tipica carta che devi fare attenzione a maneggiare per evitare di farti piccoli tagli sulla pelle.
«Aspetta», mi fermò la ragazza sospirando. «Vengo anch'io.»
Sorrisi sperando di non essere vista da nessuno. Non avevo nessuna voglia di girare da sola per le grandi strade di Bestland. Troppa gente che camminava lanciandoti occhiate di disgusto quando per sbaglio incrociavano il tuo sguardo, la confusione della folla che si accalcava davanti ai negozi e i bar del momento, le luci delle insegne dei locali che quasi accecavano, e gli sgargianti gioglielli che brillavano al sole. Per non parlare del fatto che i barboni non erano molto ben visti in città, non che non lo fossero altrove, ma l'esperienza di venir presi a calci sull'asfalto ruvido mi avrebbe segnato a vita.
«Ti servono delle scarpe, vero?», le domandò Sarino. «Dovrei averne un paio della tua misura nell'armadio.»
Si diresse verso le scale e tornò dopo poco stringendo in mano delle scarpette blu da donna.
«Quelle da dove saltano fuori?», esclamai.
«Erano di tua madre. Le conservavo nel caso un giorno avesse avuto dei figli.»
«Quando avevo bisogno di scarpe da indossare con il vestito mi hai detto che non ne avevi!», mi lamentai ricordando i miei piedi scalzi sul tappeto dell'Hotel.
«Ricordo di averti domandato se ti sembrassi il tipo che tiene delle scarpe da donna in casa, e lo sono.», disse lui ridacchiando.
Sospirai di nuovo e uscii dal locale seguita da Co, che stringeva anche lei in mano dei volantini.
Non fu proprio un'esperienza divertente, come la definitiva Sarino, ma più qualcosa che non rifarei.
I passanti ci guardavano male e con aria di superiorità ci sorpassavano, riprendendo a fare shopping. Noi gli lanciavamo dietro i volantini o li infilavamo di nascosto nelle loro grosse borse.
Ci eravamo appostate in un angolo nella grande piazza vicino all'Arco della Ricchezza. Ogni anno ne veniva costruito uno nuovo ancora più sfarzoso e quello vecchio veniva demolito. Quello era il simbolo del potere economico di Bestland, che le marche più famose cercavano sempre di ottenere il permesso di costruire.
Quest'anno il tanto ambito ruolo era andato al famoso marchio Devil, produttore di prestigiosi gioielli luccicanti. L'intero arco era infatti ricoperto da grossi diamanti che risplendevano alla luce del giallo sole estivo.
«Questa è una perdita di tempo, non interessa a nessuno. Torniamo indietro.», disse Co, dando voce ai suoi pensieri.
«Forse dobbiamo solo attirare la loro attenzione in qualche modo. Potremmo metterci a ballare e cantare, così ci vedrebbero.», proposi.
«Io non canto. Facciamoli a pezzi e diciamo che li abbiamo dati via tutti.», rifiutò lei.
«Vorresti mentire, perché? Non capisco. Possiamo sempre tornare un'altra volta a dare volantini se non hai voglia oggi.»
«Non ci lascerà entrare se prima non li facciamo sparire. Staremo fuori tutto il giorno.», spiegò, agitando un foglietto in aria.
«Perché dici questo?»
«Ci ha dato un compito, è ovvio che voglia che noi lo concludiamo. Si arrabbierà se torniamo così.», mi ammonì.
«Non penso, Sarino non sembra il tipo da arrabbiarsi per così poco. Rimarrà deluso però, dovremmo impegnarci di più. Rimaniamo ancora un po'.»
«Come vuole lei, mia signora.», borbottò scuotendo le spalle e voltandosi dall'altra parte.
Stetti in piedi in quella piazza per qualcosa come dieci minuti prima di capire che qualcosa non andava.
L'aria sulla mia pelle iniziava come a pesare. Toccandomi la testa mi sorpresi di sentirla così calda, paragonata alla mia mano sudaticcia.
Lo stomaco aveva da poco iniziato a brontolare, e per quanto mi sforzassi non riuscivo a far cessare i suoi disperati versi. Le persone si allontanavano disgustate da noi, preferendo scegliere un'altra strada.
«Cosa avevo mangiato la sera prima?», tentai di ricordare.
Acqua, con quella mi ero riempita lo stomaco.
I volantini erano ora spiacevolmente appiccicati alle mie lunghe dita.
Solo ora iniziavo a notare come tutti avessero leggere sfumature di azzurro. Quel colore mi piaceva, ma dava la strana sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.
Senza volerlo li lasciai cadere a terra.
Sentii la testa farsi più leggera e pesante allo stesso tempo. Percepii qualcosa di duro sbattere contro la mia schiena. Poi mi addormentai.
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
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