8. Tomba di carne
Quella giornata non sarebbe potuta iniziare peggio.
Mi ero svegliata troppo presto, ancora reduce di quello sfaticante cambio d'abiti a cui mi avevano sottoposto il giorno prima.
Avevo scelto tra i nuovi vestiti un paio di calzoncini indaco e una maglietta rossa che mi avrebbero fatto da pigiama, e con essi avevo dormito. Quella era stata la prima volta in settimane che mi ero trovata a indossare qualcosa di vagamente somigliante a un pigiama.
Andando verso le scale ero quasi inciampata in una grossa bara di legno abbandonata nel mezzo del corridoio. Avevo quindi deciso saggiamente di non lasciarla lì in quel punto e di spostarla invece più vicina allo studio di Sarino.
Ancora per metà addormentata avevo fatto colazione con ciò che avanzava della mia recente lotta con gli ingredienti.
Ero appena giunta alla conclusione che se avessi continuato a fare quella vita avrei presto perso la metà del peso, quando sentii un grido al piano di sopra. Correndo su per le scale avevo trovato l'anziano uomo steso a terra che si massaggiava delicatamente la caviglia.
«Tutto bene?», avevo domandato preoccupata.
«Se stessi bene mi sarei già rialzato.», aveva risposto lui a denti stretti.
Sarino era inciampato nella bara che quella mattina avevo spostato. Fortunatamente non si era fatto così male da dover essere ricoverato in ospedale, ma dovetti comunque riaccompagnarlo nella sua camera e aiutarlo a stendersi sul letto.
La piccola stanza dove dormiva l'uomo era decorata con motivi bordeaux e appeso davanti al letto si trovava il grosso stemma della squadra di calcio dei Tori inferociti. Non c'era poi altro in quel luogo, se non il lettino, l'armadio e un lume da notte.
Come se la vita volesse ridermi in faccia le sventure di quella mattina non finirono lì.
«Oggi è il quindici luglio!», aveva esclamato Sarino una volta che trovatosi tra le lenzuola. «Non posso stare qui fermo. Ho un lavoro da fare!»
«Non puoi andartene in giro se non riesci a muovere il piede», avevo fatto notare io. «Lo farai quando starai meglio.»
«È un lavoro serio, è davvero importante che io lo faccia oggi.»
«D'accordo, lo farò io per te», avevo detto con un sospiro. «Di cosa si tratta?»
Mi sedetti sul carro di legno e presi in mano le redini dell'animale robotico.
Non avevo la minima idea di come farlo muovere o di che strada dovessi percorrere, ma l'animale, percependo il mio stato d'animo, iniziò a trainare da solo il mezzo. La corda che stringevo in mano sfregava contro le mie dita procurandomi una spiacevole sensazione, ma non potevo permettermi di lasciarla andare.
Il locale si trovava quasi sul bordo della grande città, raggiunsi quindi in poco tempo l'uscita. A terra non c'era molta erba, non eravamo abbastanza vicini alla collina per averla in grandi quantità. La poca che c'era copriva il secco terreno con macchie verdi e gialle.
La strada che portava alla città di Inkland era di una tonalità di nero più scura dell'asfalto a cui solitamente si è abituati. Era stata costruita in quel modo per far sì che gli abitanti di Bestland non potessero sbagliare e imboccare quella via per errore.
Dopo mezz'ora di viaggio iniziai a scorgere da lontano l'alto muro grigio e il filo spinato che circondava la grande città.
La metà del regno in cui abitavo non era molto grande. Inkland e Bestland erano le due sole città presenti e l'intera popolazione si divideva in esse. Dall'altra parte della grande collina verde si trovava il resto del Regno di Traum, con la grande città di Foreverland abitata da esseri umani, ma questo era il passato.
La gigantesca città dei ricchi, Bestland, era sempre stata la più vitale e rigogliosa tra le due, ma nell'ultimo periodo Inkland era peggiorata sempre di più. Non ricordavo esattamente l'ultima volta che l'avevo visitata, ma sapevo per certo che allora non riversava ancora in condizioni così terribili come al momento.
All'ingresso mi fermò una guardia pesantemente armata.
«Chi va là?», domandò.
«Ehm, salve», salutai esitante mostrando all'uomo il pass che Sarino mi aveva lasciato. «Devo sostituire quello che viene di solito.»
«Ok, procedi pure», disse una volta osservato più da vicino quella nera targhetta che gli stavo porgendo.
Il grosso cancello di metallo si richiuse velocemente dietro di me bloccandomi all'interno di quella città desolata.
Non c'erano palazzi, o almeno, quelli che vedevo erano ormai ridotti a un mucchio di sassi e macerie.
Gli abitanti della città vivevano in tende e i più fortunati in quelle che vagamente assomigliavano a case fatte con le macerie abbandonate.
Per le strette stradine non si vedeva una sola anima viva, fatta eccezione per alcune guardie armate che stavano appostate sotto i pali della luce spenti.
Se sforzavo lo sguardo potevo intravedere delle ombre all'interno delle scure abitazioni. Erano esseri umani dallo sguardo spento e distante, magri come non ne avevo mai visti, vestiti di stracci e sporcizia.
Dlos portò il carro vicino a delle guardie e lì si fermò.
Scesi dal mezzo e a passi lenti raggiunsi le due figure in attesa.
«Questo mese ne abbiamo più del solito.», ridacchiò la donna armata non appena mi vide.
«Non sei quello che viene sempre», notò il suo compagno. «Cosa gli è successo?»
«Oggi non stava tanto bene», risposi. «Sono venuta io qui al suo posto.»
«Sei una ragazza?!», esclamò sorpreso lui. «Scusami, ti avevo preso per un maschio.»
«Non fa niente.»
«Sai, così vestita... I tuoi ti lasciano fare questo tipo di lavoro?»
«I miei genitori sono morti.», dissi nella speranza di concludere lì il discorso.
«Oh, ehm... Se hai bisogno di soldi conosco qualcuno alla Die House che ti può aiutare.», continuò l'uomo cercando di salvarsi dall'imbarazzo. «Oppure, ci sono ancora dei posti liberi alla fabbrica degli arcobaleni. Non è esattamente il lavoro che dovrebbe fare una ragazza, ma lì accettano chiunque sia disposto a ...»
«Basta chiacchiere!», lo interruppe freddamente la collega. «Abbiamo un lavoro qui da sbrigare.»
Con un rapido gesto la donna sollevò il telone verde che copriva la pila di cadaveri dietro di lei.
«Sei sicura di riuscire a portarli tutti fino alla fossa comune?», domandò l'altra guardia.
«Sì», risposi dopo un attimo di esitazione.
La vista di quei corpi all'apparenza così rigidi e freddi mi diede il voltastomaco.
Per tutto il viaggio non avevo fatto altro che rammentarmi che quello era un lavoro che Sarino era stato costretto a fare per anni. Se lui ce l'aveva fatta così tante volte, allora anch'io avrei potuto riuscirci una sola volta per lui.
Almeno fu questo che pensai prima di vedere la guardia iniziare a sparare sui corpi a terra.
«Si fermi!», urlai sconvolta. «Cosa sta facendo?!»
«Controllo se ce ne sono di vivi.», rispose lui tranquillamente. «Quei vermi potrebbero nascondersi lì pur di scappare fuori.»
La voce mi si bloccò in gola.
Cosa avrei dovuto dire in una situazione del genere? C'era forse qualcosa che avrei potuto fare per fermarlo senza ammettere pubblicamente il mio odio verso questo regime?
Per fortuna, l'uomo, decise di non prolungare oltre quel massacro di cadaveri.
«Adesso stai in dietro», continuò lui. «Ti aiutiamo a caricarli.»
Dlos riprese il suo cammino senza bisogno di dire nulla.
Mi strinsi con più forza il fazzoletto bianco che tenevo legato al viso, coprendo naso e bocca.
Avevo la testa vuota e l'orribile sensazione di nausea che veniva dal puzzo dei cadaveri non aiutava certo.
Sentivo l'impellente bisogno di scendere da quel mezzo e camminare su per tutta la grande collina che ci separava dall'altra metà del regno. Solo una volta raggiunta la cima la sensazione di fastidio se ne sarebbe andata dalla mia testa.
Fermai il carro.
Sentivo alle mie spalle un rumore provenire dalla pila di cadaveri.
Lentamente mi girai verso di essa ignorando il brivido freddo che tentava di paralizzarmi sul posto.
I corpi privi di vita si stavano muovendo nel carro. Più precisamente stavano cadendo per fare spazio a qualcosa che si alzava al di sotto di essi.
Da quella pila uscì fuori una persona. Era una ragazza dall'aspetto sudicio.
I lunghi capelli castani erano la rappresentazione della ribellione. Il viso era quasi del tutto coperto dalla cenere nera e a fatica riuscii a vedere il colore ambrato dei suoi occhi.
Era vestita con quello che aveva tutta l'aria di essere un sacco per le patate bucato. I piedi non indossavano scarpe, ma uno spesso strato di sporcizia che li ricopriva. Le braccia erano completamente fasciate con bende sporche. Notai come da una ferita sul braccio sinistro le uscisse una lunga scia di sangue.
La ragazza appena mi vide mi saltò addosso e senza esitare blocco i miei polsi contro il carro. Io per liberarmi cominciai a scalciare via con forza il suo corpo.
«Lasciami andare!», le urlai contro.
Lei in tutta risposta tentò di buttarmi giù da quel mezzo.
Fu per me una fortuna che Dlos in quel momento ebbe la buona idea di venirmi in aiuto assestando un calcio al fianco della ragazza.
Lei fu sbalzata nuovamente contro la pila di cadaveri e prese a toccarsi il busto dolorante.
«Ahia», esclamò.
«Sta ferma», la ammonii puntandole contro la prima cosa che mi capitò a portata di mano.
Troppo tardi mi accorsi che si trattava di un braccio mozzato, e disgustata lo lasciai cadere sul fondo della carrozza.
«Cosa pensi di fare?», domandò la ragazza lanciandomi un'occhiataccia.
«Cosa pensi di fare tu?!», ribattei «Volevi uccidermi!»
«Ti avrei solo rubato il carro»
«Non è comunque qualcosa di carino.»
«Al diavolo l'essere carino!», esclamò digrignando i denti. «Vattene subito da qui o ti mangio un braccio!»
«Vattene via tu oppure...»
«Oppure cosa?», insistette lei.
Mi guardai intorno. Non avevo niente da usare come arma. Mi ero anche allontanata abbastanza dalle due città e anche se avessi urlato nessuno sarebbe accorso in mio aiuto.
«Oppure...», ripresi a dire. «Oppure ti butto giù io.»
«Tu mi butti giù?», domandò alzando le sopracciglia in un'espressione di finta sorpresa. «TU riusciresti a buttarmi giù?!»
«No, ma niente mi impedisce di provarci. E poi sei ferita», aggiunsi in fretta indicandomi il sangue sul suo corpo. «Potrei anche ucciderti se lo volessi.»
«E cosa aspetti a farlo? Uccidimi, avanti.», mi incitò lei.
«Non voglio farlo. Non sono un assassino»
«Pensi che io lo sia?», domandò divertita.
«Mi hai attaccata tu per prima!»
«Perché non voglio morire!», urlò.
«Da dove sei saltata fuori?»
«Da lì sotto», rispose facendo un cenno ai cadaveri.
«Questo lo vedo, ma perché ti trovavi là?»
«Fuga premeditata», rispose tranquillamente. «Certo non mi aspettavo mica di trovare qualcuno di giovane invece del solito vecchio.»
«Perché sei scappata?»
«L'ho appena detto», rispose sospirando. «Non voglio morire.»
Fu una risposta abbastanza ovvia, ma sentirlo dire ad alta voce mi fece abbastanza paura.
«Come ti chiami?», chiesi a un tratto.
«Co», rispose lei, dopo un attimo di esitazione. «Tu invece?»
«Res.»
Restammo in silenzio per minuti interi, nessuno sapeva cosa dire. Nel mentre Dlos aveva ripreso il suo cammino. Il rumore degli zoccoli di metallo che schiacciavano i sassolini e il suo sbuffare continuo erano le uniche cose udibili.
«Dove pensi di andare adesso che sei fuori?», domandai in fine.
«Non lo so, ma anche se lo sapessi non andrei certo a dirlo a te.»
«Vuoi venire a casa mia?»
La ragazza sembrò stupita da quell'improvvisa proposta.
«Vuoi denunciarmi e riportami dentro?», domandò sospettosa.
«No, ho visto cosa c'è lì. Nessuno dovrebbe essere trattato così.»
«Se scoprono che ospiti un fuggitivo finirai al cappio. Lo sai, vero?»
«Sono anch'io ricercata.», dissi guardandola fissa negli occhi. «In quel caso moriremo entrambe.»
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
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