4. Irritanti vicini
L'intero stradone era bloccato da camion del trasloco che scaricavano mobili, lampade e tantissime altre scatole sigillate sul marciapiede. Mi avvicinai all'edificio per cercare di capire di cosa si trattasse.
Di colpo l'enorme scritta "Hotel" sopra all'edificio si illuminò di giallo con un improvviso e forte rumore di corrente che viene azionata.
Vicino a me le persone che stavano facendo due passi lì intorno si girarono ad ammirare la scritta ed emisero un "ohh" di stupore.
«Quello è il nuovo tipo di illuminaria con i fulmini!», urlò entusiasta un ragazzo dietro di me, mentre indicava la scritta.
Guardandola attentamente notai che all'interno delle lampadine c'era qualcosa che si muoveva, ma non erano arcobaleni, bensì, come aveva detto il ragazzo, piccoli fulmini. Ne avevo sentito parlare quando ero ancora a palazzo, ma non pensavo che fosse possibile mettere dei fulmini in una così fragile lampadina.
Mi risvegliai dai miei pensieri, dovevo fare in fretta.
Andai sull'ingresso dell'hotel dove un lungo tappeto rosso si estendeva fino all'interno, e osservai la porta girevole trasparente con le maniglie dorate. Entrai spingendola e uscii dall'altra parte.
I muri dell'hotel erano completamente gialli, i pavimenti di marmo bianco scintillavano sotto di me, ai lati della hall stavano un sacco di piante finte con foglie di tutti i colori, e il grande lampadario splendeva di piccoli cristalli luccicanti.
Davanti a me stava un grande bancone, e dietro di esso erano appese le chiavi delle stanze. Di camere da letto ce ne dovevano essere circa trentatré a giudicare dai numerini su di esse.
Da una porta socchiusa sul fondo della sala potevo scorgere una saletta arancione dove delle persone chiacchieravano placidamente sedute su delle poltroncine rosa salmone.
Senza accorgermene mi stavo avvicinando a quella sala, e solo un urletto femminile poté svegliarmi da quella sorta di ipnosi.
«I MIEI PAVIMENTI!», gridò qualcuno dietro di me.
Mi girai solo per vedere una signora scaraventarsi con foga addosso a me, e con le sue lunghe unghie rosa mi afferrò per il colletto della camicia.
«TU, come osi venire qui a sporcare i miei pavimenti!», urlò la signora dai capelli biondi e il viso dai tratti stranamente inquietanti.
Mi accorsi di avere la suola dello stivale sinistro sporca di sugo di pomodoro e farina, e di averne lasciato le tracce sul tappeto e il pavimento bianco.
«M-mi perdoni, non ci avevo fatto caso.», provai a dire.
«CHI SEI?», sbraitò lei.
Stavo per rispondere a quella domanda, ma la signora mi bloccò.
«Non fa niente, ho capito», disse ricomponendosi e mettendo a posto le pieghe del suo giubbottino rosa fluo. «Tu devi essere quello che deve pulire il bagno della camera dieci. Sei in ritardo di trenta secondi, ma non fa niente. Avanti vieni, e spostati di lì che ti stanno guardando tutti.»
Mi rigirai e vidi che nella saletta le persone avevano smesso di parlare e adesso stavano guardando noi con curioso fastidio. Una donna si sporse verso l'orecchio di un signore ben vestito che girava tra le mani un bicchiere di vino, e gli sussurrò qualcosa storcendo il naso.
La proprietaria dell'albergo mi afferrò per il polso, trascinandomi via, mentre io cercavo di saltellare su una gamba per non sporcare ancora di più il pavimento.
«Non sono lo stura cessi.», replicai.
«No?», esclamò stupita e perplessa la signora.
«No», continuai. «sono solo un vicino, volevo chiedere in prestito del sale.»
«In prestito», disse lei storcendo il naso. «Non credo che tu abbia intenzione di restituircelo esattamente com'è se hai intenzione di usarlo.»
«Ma è così che si dice, altrimenti avrei dovuto dire "vorrei che mi regalaste del sale", e non sarebbe stato carino dirlo.», feci notare, dando sfoggio delle lezioni di vita che avevo duramente imparato a palazzo.
«Oh, ma certo, adesso capisco», disse sorridendo, e battendo una volta le mani apparve dietro di lei un grande signore in smoking.
«Elgoog, puoi portare il signorino qui a prendere del sale?», disse indicandomi.
«Certo mia signora.», rispose lui con voce molto profonda.
Sorrisi a Elgoog prima che lui mi sollevasse e gettasse fuori dal retro dell'hotel.
«E non tornare mai più!», urlò la signora, finendo la frase con una strana risata che assomigliava in modo inquietante al verso di un cavallo. Poi si ricompose e tornò dentro seguita dall'uomo che richiuse la porta alle sue spalle.
Rimasi a terra distesa per un po' vicino a un bidone dell'immondizia, fino a ché un gatto scheletrico mi saltò sulla testa facendomi rimettere seduta per lo spavento. Agilmente saltò giù da me e zampettò via per la buia stradina.
Guardai attorno e mi accorsi di essere in un'altra strada, ma questa a differenza di quella davanti al ristorante era più piccola e pareva abbandonata. Grigia e buia perché coperta dal retro degli altri edifici di fronte. Sembrava quasi che tutti i negozi si fossero allineati in modo da creare quella strada.
Sul bordo del marciapiede si trovavano tutti i bidoni dell'immondizia dei negozi. All'interno di essi potevo vedere un sacco di oggetti che strabordavano fuori.
Osservai il retro del ristorante e notai che parcheggiato lì c'era un carro nero trainato da un asino di metallo un po' arrugginito. Mi ci avvicinai, evidentemente era con quello che Sarino portava le bare al cimitero.
Rabbrividii mentre accarezzavo l'asino che respirava emettendo piccoli cigolii meccanici, probabilmente doveva essere anziano anche lui. Chissà Sarino dove aveva trovato quella strana creatura.
Passandogli sopra la mano vidi che aveva appesa al collo una targhetta piuttosto rovinata. La lessi, sopra c'era scritto "Dlos". Evidentemente quello doveva essere il suo nome, pensai.
In quel momento mi venne in mente un'idea geniale per impadronirmi di un po' di sale.
Non volevano vedere me lì dentro? E allora non mi avrebbero vista, oh almeno non mi avrebbero riconosciuta.
Ormai avevo deciso che avrei avuto quel sale a tutti i costi.
Mi avvicinai al bidone dell'immondizia del negozio lì affianco e, dopo aver guardato da entrambe le parti per controllare che non fossi osservata, lo aprii. Dentro c'era, come avevo previsto, la collezione primaverile dei vestiti di quel negozio. Qui a Bestland i vestiti non venduti vengono buttati via una volta che la moda passa.
Afferrai il primo che mi capitò a tiro e tornai in fretta a casa, passando dalla porta sul retro che trovai aperta. Entrai in cucina e spensi il gas e la pentola d'acqua che ormai stava bollendo. L'avrei rifatta bollire una volta che il sale fosse stato nelle mie mani.
Tornai nel corridoio, scavalcando i tavoli. Adesso dovevo solo trovare il bagno.
La porta a destra più vicina all'ingresso era la cucina e aveva di fronte le scale per il secondo piano. La seconda, quella della cantina, era sotto le scale. In fondo invece c'era la porta per il retro. Un po' più distante, sullo stesso muro della seconda porta, si trovava la terza. La aprii spostando prima la sedia che bloccava la porta e dentro ci trovai un bagno.
Era di mattonelle azzurre e bianche, e il pavimento era di marmo nero. C'era un grande specchio davanti al lavandino, e di fianco un armadietto anch'esso nero. Mi sorpresi di averlo trovato abbastanza pulito.
Ci entrai richiudendomi la porta alle spalle, andai davanti allo specchio e mi guardai. Neanche kl di trucco avrebbero potuto migliorarmi, facevo davvero schifo.
E fu mentre mi guardavo allo specchio che mi tornò in mente qualcosa.
Qualcosa che aveva a che fare con la cantina.
Indossai in fretta il vestito che avevo preso e che mi arrivava fino al ginocchio. Era rosso con dai fiori bianchi e rosa che partivano dal fondo della gonna. Era ancora in buone condizioni, quindi era stato buttato via solo perché non più di moda. Mi guardai allo specchio, facevo ancora schifo.
Uscii dal bagno e scesi in cantina lasciando dietro di me la porta spalancata. Percorsi tutta la scalinata superando un gradino a ogni salto, arrivando alla fine con uno di troppo. Le scale, con mio disappunto, erano dispari.
Accesi la luce e mi guardai intorno, tutto era come l'avevo lasciato questa mattina. Mi diressi verso la pila di oggetti che mi erano caduti addosso prima e ne tirai fuori una maschera che copriva tutto il viso. Aveva la base bianca e le labbra rosse chiuse. Attorno al buco per l'occhio sinistro c'era disegnata in nero una fantasia di curve che si diramava dalla fronte fino alla guancia.
La provai, si adattava perfettamente al mio viso e rimase ferma anche quando tolsi le mani con cui la reggevo. L'interno della maschera era morbido e i buchi per gli occhi mi permettevano di vedere bene.
Mi voltai e mi vidi in una piccola sfera verde che stranamente era ottima per riflettere le cose. Ero ancora troppo riconoscibile, avevo bisogno di qualcos'altro.
Provai a scavare di nuovo nella pila di oggetti caduti, ma non trovai niente che potesse essermi utile. Stavo per rassegnarmi e andarmene via così, quando a un tratto vidi in cima ad uno scaffale quello che mi sarebbe potuto servire. Era una parrucca bionda lunga appoggiata sulla testa del busto di un manichino. Perfetto, pensai, adesso devo solo prenderla.
Non vedevo scale vicino a me, così decisi di fare qualcosa di pericoloso. Mi arrampicai sullo scaffale, con le mani mi aggrappavo ai ripiani e con le gambe mi spingevo più in alto. Arrivai così alla fine e afferrai la parrucca con una mano. Mi guardai in dietro, in fondo non ero poi così in alto, forse sarei riuscita a scendere con un salto senza farmi male.
Per un attimo immaginai di cadere portandomi dietro l'intero scaffale. Mi sarei ritrovata a terra con metà del corpo schiacciato sotto quel peso, mi sarei sicuramente rotta qualcosa. Fortunatamente lo scaffale era stato fissato alla parete, quindi non avrei dovuto rischiare di trascinarlo dietro di me. Saltai giù e la gonna del vestito si alzò leggermente con degli svolazzi. Non ero abituata a indossare abiti femminili e non mi erano mai nemmeno piaciuti.
Mi specchiai ancora nella piccola sfera e indossai la parrucca. Adesso sicuramente il mio riflesso era migliore di prima.
Risalii le scale soddisfatta e mi diressi verso l'uscita, ma prima che potessi aprire la porta qualcuno la spalancò. Sarino entrò nel locale con due grandi barattoli di vernice in mano.
«Ciao, Res», disse. «Stai andando a una festa in maschera? Non dovevi cucinare?»
Mi fermai scioccata e mi voltai verso di lui che nel mentre stava appoggiando a terra i barattoli.
«Come hai fatto a riconoscermi?», domandai stupita.
Sarino mi squadrò dall'alto in basso e in fine rispose «Sei l'unica che va in giro d'estate con quegli stivaloni addosso!»
Mi accorsi di star indossando ancora i miei grandi e sporchi stivali neri.
«Hai delle scarpe che posso usare?», gli chiesi.
«Ti sembro il tipo che si tiene in casa delle scarpe da donna?»
«Ok, ho capito», dissi sospirando. «Vorrà dire che ci andrò a piedi nudi.»
Mi tolsi gli stivali e le calze, buttandoli in un angolo.
«Dove vai?», domandò curioso Sarino.
«A prendere il sale.», risposi risoluta. «Tu inizia a far bollire l'acqua, tra un po' arrivo.»
Uscii fuori e i miei piedi nudi toccarono il caldo asfalto del marciapiede. Feci i pochi passi che mi separavano dall'hotel e ci entrai.
La signora di prima era ancora all'ingresso, e si stava passando la lametta sulle unghie con fare distratto. Appena mi sentì entrare alzò la testa e vedendomi mi venne incontro.
«Mi scusi», disse con voce infastidita. «Chi è lei?»
Non avevo affatto pensato al nome, e in quel momento la sicurezza che avevo mantenuto fino ad ora stava vacillando.
Mi guardai intorno cercando di non cadere nel panico.
«Sono la contessa...», cominciai a dire.
I miei occhi caddero su una bustina che si trovava sul bancone vicino a una tazzina bianca di ceramica.
«...Tea»
«Contessa Tea?», domandò sospettosa la signora.
«Sì, sono la contessa Tea Lime», dissi notando la limetta che la signora adesso teneva stretta in mano. «Sono stata nominata da poco dal re in persona! Mi sembra strano che ancora non mi abbia sentito nominare.», dissi fingendomi offesa.
«No, non intendevo questo signora contessa, solo mi chiedevo perché una del suo rango dovrebbe trovarsi qui?», si affrettò a correggersi lei.
«Oh», esclamai atteggiandomi da diva. «Lei non può capire quello che mi è successo oggi! Ero diretta al mio locale preferito, in compagnia di una mia carissima amica, anch'essa ovviamente del mio rango, ma quando ci sono arrivata ho scoperto che l'avevano chiuso!»
La signora sobbalzò alle mie parole e io finsi di essere disperata, portandomi una mano alla fronte.
«È stato uno shock per me, non può capire il mio imbarazzo nel dover dire alla mia amica che non potevamo più andarci!»
«Comprendo benissimo il suo imbarazzo», disse lei mettendo da parte ogni del tutto legittimo sospetto. «Pensi che oggi anche a me è capitata una cosa altrettanto deplorevole»
«Che cosa le è mai capitato, signora...?», domandai fingendo curiosità.
«Oh, il mio nome è Lolly Gloss», si affrettò a rispondere. «Sono la proprietaria di questo nuovo hotel, costruito giusto quest'oggi, ma già abbastanza famoso.»
«E come si chiama questo albergo?»
«L'ho chiamato con un nome del tutto originale», proseguì lei. «Si chiama "Hotel"»
«Oh, ma che geniale idea ha avuto signora. Non ho mai sentito nome più originale per un hotel.», dissi mascherando il mio sarcasmo con finto entusiasmo. «Prima stava dicendo?»
«Ah, giusto. Una cosa deplorevole! Un villano si è introdotto di nascosto nel mio nuovissimo hotel, e ha tentato un'opera di vandalismo!», esclamò. «Pensi che voleva anche rubarmi tutto il cibo che ho comprato con le mie sole forze!»
«Oh! È lei come ha fatto a disfarsene?»
«È stato il mio personale buttafuori, Elgoog, a occuparsene, l'ha cacciato via a calci dal mio edificio.»
«Dev'essere stato terribile per lei! Non oso immaginare che cosa sarebbe successo se... ah!», mi finsi spaventata, quando invece da sotto la maschera stavo stringendo i denti dalla rabbia.
«Oh, mi vengono i brividi solo a pensarci!»
Ci fu silenzio, prima che Lolly Gloss riprendesse a parlare.
«Per quale motivo non indossa scarpe, e se mi è dato chiederlo, perché porta una maschera?»
«Non ha sentito di questa nuova moda dell'estate?», dissi sorpresa. «Si dice che quest'anno le scarpe non vadano più di moda e che si giri invece con i piedi nudi.»
«Ma ovvio che lo sapevo!», disse lei con voce squillante. «Volevo solo avere un'altra conferma da una persona del suo calibro. Sempre che questo non le abbia arrecato disturbo.»
«Oh, non si preoccupi, nessun disturbo», continuai io. «Invece per quanto riguarda la maschera, la indosso solo oggi per nascondere la mia vergogna. Non volevo essere riconosciuta da tutti, perciò per fingere di essere una persona comune ho anche indossato questo vestito già passato di moda, e non mi sono portata dietro i miei preziosissimi gioielli.»
«Ho notato signora, ed è solo per questo che non ho riconosciuto la sua magnificenza e che dubitavo della sua identità.», si affrettò a dire Lolly ridacchiando.
«Tornando al motivo del perché sono qui», proseguii. «Avrei bisogno di chiederle una cosa, ma questo mi recherebbe assai più imbarazzo di quanto già io non ne abbia.»
«Sarebbe un onore per me aiutarla signora contessa!», esclamò emozionata Lolly.
«Ma questo sarebbe troppo da chiedere a una persona rispettabile come lei, non vorrei darle solo fastidio.»
«Stia tranquilla contessa, non c'è nessun problema, sarei disposta a darle anche il mio intero hotel se me lo chiedesse!»
«Com'è generosa lei! Se fossero tutti così, Bestland sarebbe un regno migliore.»
«Se fossero tutti così Bestland sarebbe già stata schiacciata da quei vermi che vivono a Inkland», disse Lolly sprezzante. «Ma con una del suo rango essere generosi è d'obbligo, quindi mi dica cosa devo fare.»
«Avrei bisogno di un po' di sale da prendere in prestito per scacciare via le formiche che vengono attratte dall'odore del cibo delle mie cucine, e visto che passavo da queste parti e ho visto questo meraviglioso hotel ho pensato di...»
«Prendere in prestito?», mi interruppe la donna.
Mi resi conto di aver fatto lo stesso errore di prima e adesso Lolly Gloss mi aveva riconosciuto.
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
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