20. L'arrivo della tempesta
Sembrava una normale mattinata come lo erano solo prima della litigata con Lolly Gloss.
Il tempo era bello, il sole alto nel cielo e nessuna nuvola in vista.
Come di consueto aprii il ristorante e mi posizionai dietro al bancone in compagnia di Co che aveva dormito lì tutta notte.
Le vetrate le avevamo fatte riparare il giorno prima dal fratello di Adam, il signor Mado Challah, che lavorava part-time come tuttofare. I nostri vicini dell'albergo non di erano più fatti sentire dopo il barbecue di ieri. Sarino era uscito a fare la spesa molto presto quella mattina.
Eravamo tranquilli.
Il silenzio regnava sovrano nel locale, solo il nostro respiro produceva un rumore.
Quella era la mia occasione di fare a Co la grande domanda che mi ronzava in testa da molto.
«Co», la chiamai.
La ragazza rispose con un mugugno.
Mi preparai con un grande respiro a farle quella domanda.
«Se non ti va non rispondere, ok?»
Aspettai di avere una conferma prima di fare la domanda, ma la ragazza non sembrava intenzionata a voler fare alcun gesto. Ascoltava e basta, avvolta nella sua coperta blu.
«Perché ti piace la carne cruda?»
Ascoltai il suono del silenzio che era tornato nella stanza. Questa volta non percepivo nessun respiro, solo il battito del mio cuore.
«Sarino tempo fa ha detto che c'è un motivo se ti piace, e lui lo sa. Non volevo chiederlo a lui perché sembrava qualcosa di importante per te, quindi te lo sto chiedendo. Come ho già detto puoi non rispondere, non voglio obbligarti a fare niente. Volevo solo farti sapere che se volevi dire qualcosa a qualcuno io ci sono, e se pensi che io non possa capirti allora... allora vorrei saperlo, perché per me è importante sapere se una cosa ti va bene o no. Non perché voglia farti qualcosa di male. No, io non voglio ferirti, non voglio fare male a nessuno. Vorrei solo capirti ed esserti d'aiuto se ne hai bisogno. Non perché tu sia debole, non lo sei, sei forte, più forte di me, ma...»
Feci una pausa per riprendere fiato. Per tutto il tempo avevo tenuto lo sguardo fisso verso la strada oltre alla vetrata del locale.
«Sto facendo un discorso inutile, tu hai già preso una decisione.»
Qualcuno scelse quel momento per entrare nel locale. Non avevo visto nessuno avvicinarsi alla porta d'ingresso, ma probabilmente era dovuto al fatto che non stavo realmente guardando quel punto con in cervello collegato.
«Benvenuti. Volete un tavolo?», domandai riprendendomi dalla sorpresa di vedere qualcuno entrare nel ristorante.
«Lei è Res?», chiese uno dei due uomini.
«Ehm, sì.», risposi esitando.
«Venga con noi.»
«Perché? Ehi, aspetti!», esclamai cercando di fermare l'uomo che si stava avvicinando.
«Ahh!», urlò lui dal dolore.
Abbassai lo sguardo e vidi Co attaccata con i denti alla gamba dall'uomo. L'altro si avvicinò al suo compagno e tentò di liberarlo dalla presa della ragazza.
Con un balzo li superai e corsi fuori dal locale.
«Aiuto!», urlai cercando di attirare l'attenzione.
Qualcuno mi afferrò da dietro tappandomi la bocca con un fazzoletto e mi trascinò dentro un'auto carrozza.
Tutto si fece buio per me e persi i sensi.
Al mio risveglio mi trovai seduta davanti i due uomini in divisa bianca e dalle espressioni serie. La ragazza era seduta di fianco a me, sembrava sveglia.
«Tu sai chi siano?», mi domandò Co all'orecchio.
«Sono vestiti di bianco, saranno le guardie di qualche nobile.»
«Per chi lavorate?», domandai poi ad alta voce.
Nessuno di loro rispose, proprio quello che ci si aspetterebbe da guardie ben pagate.
«Al tre ci buttiamo fuori dal finestrino.», sussurrò la ragazza. «Tre!»
Uno degli uomini presenti le diede una spinta che la fece ricadere sul sedile nero.
«Ok, nuovo piano. Tu ti getti sul ciccione e io finisco quello che ho morso.»
«Non penso funzionerà.», dissi guardando il palestrato che Co aveva riservato per me.
La ragazza durante l'attacco aveva conciato male anche lui tirandogli un calcio sul naso che ora iniziava a sanguinare.
«Allora cosa suggerisci di fare?»
«Vi conviene starvene zitte e buone o l'altra vostra amica passerà dei brutti momenti.», disse irritato l'uomo che Co aveva valorosamente ferito.
«Stai parlando di Nihil?»
«Non dargli nomi, idiota! Potrebbe essere uno stratagemma per scoprire i nostri alleati.», mi rimproverò Co.
«La signorina non la passerà liscia questa volta, delle semplici scuse non basteranno.»
«Dovrà rimanere chiusa in casa fino all'inizio della scuola.», ridacchiò l'altro.
«Di che stanno parlando?», Co si rivolse a me confusa.
«Penso di capire dove stiamo andando.»
Villa Descartes era una grande proprietà nei pressi di Porta Smeraldo. Nihil l'aveva descritta come niente di ché. Vederla dal vivo mi fece capire quanto le nostre idee di "una cosa da nulla" fossero diverse.
I due uomini ci scortarono giù dall'auto carrozza fino all'interno della bianca villa.
Gli interni erano bianchi come l'esterno, pareti e mobilia varia erano di uno splendore accecante.
«Accomodatevi.», disse una voce maschile alle nostre spalle quando arrivammo nella saletta.
Un uomo dai corti riccioli arancioni e la splendente armatura da guardia reale entrò a grandi passi. Lo seguiva una donna dai capelli castani e un lungo vestito bianco.
Fecero un largo giro della stanza e si sedettero sul chiaro divanetto davanti a noi.
«Voi dovreste essere i compagni di Nihil. Piacere, io sono il signor Descartes e questa è mia moglie. Siamo i suoi genitori.»
«Piacere», bofonchiai.
«Perché ci avete fatte rapire?», domandò invece Co.
«Rapire? Oh, mi spiace che abbiate avuto un'idea sbagliata delle nostre intenzioni. Volevamo solo invitarvi per una chiacchierata. Nihil non vi aveva detto niente?», spiegò l'uomo.
«Si sarà dimenticata di avvisarci. Di cosa volevate discutere?»
«Ci è capitato di vedere...», iniziò a parlare la donna, ma il marito la bloccò con un gesto della mano.
«Nihil si diverte con voi?»
«Sì»
«Cosa fate insieme?»
«A volte chiacchieriamo tra di noi o ascoltiamo della musica. Ci parla spesso delle sue lezioni di violino.», risposi.
«Quelle che salta per andare da voi?», commentò la donna.
«Cara, tranquilla. Sono sicuro che i nostri ospiti non avessero idea di causare così tanti problemi alla nostra famiglia. Non è vero?»
«Dov'è ora Nihil?», chiesi sentendomi a disagio.
«Nostra figlia è ora impegnata con la sua prima sessione di rieducazione.»
«Rieducazione?», ripetei confusa.
«Ha saltato le lezioni di violino, va punita per non aver ricambiato la nostra fiducia.»
«Forse non le piaceva quello strumento e voleva fare altro.», azzardai un'ipotesi.
«Piacere? Non importa se le piace o meno, deve imparare a suonarlo. La figlia minore dei Gloss suona alla perfezione cinque strumenti e conosce il linguaggio del marketing. Nostra figlia ne suona solo tre e a malapena sa scrivere un contratto.», disse la donna alterandosi.
«Cara, così metti a disagio gli ospiti. Non usare parole che non capiscono.», disse l'uomo, e poi rivolto a noi: «Come potete vedere, Nihil ha molti impegni importanti da svolgere per mantenere alto il suo status e non ha tempo per giocare con voi gente comune. Vuole che la lasciate in pace.»
«Nihil ha detto che voleva essere nostra amica.», insistetti.
«Sarà stata annoiata, a volte fa i capricci. Voleva solo sapere come ci si sente ad essere poveri, in questo modo ha imparato ad apprezzare di più quello che ha. L'ho fatto anch'io da giovane.»
«Non ci importa niente di te, vogliamo vedere Nihil.», sbottò Co.
«Se vuole che noi ce ne andiamo dovrà essere lei a dircelo.», aggiunsi io.
«Come volete. Cara, andresti a chiamare nostra figlia?»
La donna si alzò riaggiustandosi l'abito e uscì dalla porta. I suoi occhi blu non si staccarono da me finché le porte non si richiusero.
Il marito ci rivolse un sorriso e prese a squadrarci dall'alto in basso.
«Così, voi vi considerate sue amiche.»
«Esatto, noi siamo sue amiche.», rimarcai.
«Come vi siete conosciute?», domandò.
«Nihil si è fermata una volta a mangiare al nostro ristorante e abbiamo iniziato a parlare.»
«È parecchio lontano da qui il vostro locale.», osservò lui.
«Stava facendo una passeggiata.»
«Ieri eravate insieme, cosa avete fatto?»
«Una piccola festa con degli amici. Abbiamo ascoltato musica e mangiato carne alla griglia.», risposi senza esitare.
«Cosa si festeggiava?»
«Non deve esserci sempre un motivo per fare una festa. A volte si vuole solo passare del tempo con i propri amici. Lei ha degli amici, signore?»
L'uomo rise per qualche secondo, portandosi una mano al volto. Quando la spostò aveva un'espressione seria.
Si alzò e andò verso la parete dandoci le spalle. L'armatura dorata che indossava luccicò alla luce del sole e per un po' fu coperta dal suo mantello bianco.
Quando si girò stringeva in mano una grossa e affilata spada.
Temetti, come pure Co, che volesse ucciderci. Era il capo delle guardie reali d'altronde, sapeva come nascondere un corpo, due non sarebbero stati un gran problema.
Si limitò a passare uno straccio sulla lama, cercando di renderla più luccicante dello specchio che già era.
«Sapete dirmi perché non ho trovato nessuna informazioni su di voi? Dove siete nate? Da chi? Come siete arrivate dove siete adesso? Niente. Voi chi siete?»
Era una fortuna che non mi avesse ancora riconosciuto. In quanto capo delle guardie era sempre al castello e perennemente in contatto con il re. Centinaia di volte aveva cenato al mio stesso tavolo, apparentemente senza mai guardarmi in faccia. Si poteva dire che il suo lavoro lo svolgeva con estrema superficialità, aveva probabilmente trovato la taglia sulla mia testa non all'altezza delle sue gesta da eroe.
Co, invece, non sapevo neanche se era ufficialmente ricercata. La popolazione di Inkland non è alta come quella di Bestland, ma non viene schedata accuratamente. Era possibile che nessuno si fosse accorto della sua fuga o che l'avessero ritenuta un cadavere con gli altri mandati alla fossa comune.
«Io sono Res, e lei si chiama Co. Lavoriamo come cameriere al ristorante Outland da quasi un mese. Siamo nate e cresciute in mezzo alla strada, non ci sono documenti che confermino la nostra esistenza.», inventai.
«È da un po' che lo penso, ma ho come la sensazione di averti già visto in giro. Il suono della tua voce mi è familiare.» disse l'uomo.
Come temevo non poteva durare a lungo l'illusione di non venire scoperti. Pensare di essere salvi mi aveva portato sfortuna.
«Lavoro anche alla Die House.», risposi senza riflettere.
«Ho un conoscente che lavora lì. Ti spiace se gli mando una tua foto per verificare?», domandò estraendo il suo comunicatore.
Non diedi risposta. Guardai l'uomo scattarmi una foto e attesi il mio destino in silenzio.
Lo vidi digitare alcune volte qualcosa sullo schermo. Sembrava irritato, ma non lo diede troppo a vedere, se non stringendo di più gli occhi marroni.
«Sembra proprio che tu abbia detto il vero. Il mio informatore dice di averti assunto tempo fa, ma per qualche motivo nega di possedere altre nozioni di te che io non sappia già. Mi chiedo questo cosa significhi, me lo sapresti spiegare?»
«Non ne ho idea.», mentii, sotto lo sguardo interrogativo di Co.
«Sicura di non ricordartelo?», insistette l'uomo avvicinandosi con la spada ancora stretta in mano.
«PADRE!», esclamò una voce femminile.
Nihil aprì la porta proprio in quel momento. Non era affatto contenta di vedere quella scena.
Indossava un abito bianco come quello della madre e teneva i capelli sciolti.
«Tesoro, sei venuta a dire alle tue compagne di andarsene, vero?»
«Sta lontano da loro.», sentenziò la ragazza mettendosi tra noi e il padre.
«Stavamo solo avendo una piccola discussione. Queste persone dicono di essere tue amiche. Si sbagliano, non è possibile che tu abbia un'amicizia con gente come loro. Diglielo anche tu.»
«Tu non vuoi che si dica in giro una cosa del genere, vero? Cosa penserebbero di noi le altre famiglie? La figlia dei Descartes è amica degli scarti della società.», intervenne la moglie in soccorso all'uomo.
Osservai la convinzione di Nihil vacillare. Se i suoi genitori avessero continuato così sarebbe finita nel peggiore dei modi. La ragazza avrebbe rotto la nostra amicizia per rispettare i suoi doveri sociali e noi non ci saremmo mai più viste.
Ci conoscevamo da poco, è vero, ma pensare di perdere un'amicizia mi rattristò. Non volevo lasciare Nihil da sola, così mi alzai e le strinsi la mano. La stessa cosa fece poi Co, seguendo il mio esempio. Lei si voltò verso di noi e ci guardò smarrita per qualche secondo prima di trovare la forza di parlare.
«Basta! Non voglio che voi vi intromettiate più nella mia vita. Loro sono mie amiche, non vi permetterò di far loro del male.», sbraitò contro i suoi genitori.
«Pensi di essere già un adulto, di poter decidere cosa è meglio per te? Allora dimostralo, il dodici settembre ci saranno i festeggiamenti per il compleanno del re. Iscriviti al concorso dei talenti e vincilo. Se lo farai ti prometto sul mio onore di guardia reale che lasceremo decidere a te sola della tua vita. Ma se perdi dovrai diventare ciò che noi vogliamo. Sono stato chiaro? Adesso andatevene e non mettete più piede in questa casa.», disse il signor Descartes puntandoci contro la sfavillante arma.
Fummo letteralmente afferrati di peso e gettati fuori dalla proprietà.
«Mi dispiace.», fu l'unica cosa che riuscii a dire.
«Non fa niente, prima o poi doveva succedere. Pensiamo piuttosto a come tornare al ristorante.», disse lei con lo sguardo puntato al cielo.
«Come fai di solito?», domandò Co.
«Io ho la tessera per il treno, ma voi?»
«Tu vai e prendi quello. Noi non abbiamo soldi per il biglietto, torneremo a piedi.»
Lasciammo la ragazza alla stazione e prendemmo a incamminarci. Bestland è una grande città, ma davvero grande. Il ristorante si trovava dalla parte opposta rispetto a Villa Descartes, a circa un'ora di viaggio su un mezzo. Saremmo arrivate in tempo per la cena se eravamo fortunate.
«Mi ricorda mio fratello.», disse Co dal nulla.
«Cosa?», domandai confusa.
«Mordere la carne cruda mi ricorda di quando mio fratello si staccò un braccio per darmi da mangiare.», spiegò.
«Oh», sussultai.
«Non è qualcosa che mi piace raccontare, quindi ascolta bene perché non lo ripeterò mai più.», mi avvertì facendomi cenno di riprendere a camminare.
«Certo.»
«Avevo dieci anni quando la regina morì. La cosa non mi toccava, non la conoscevo personalmente e di lei non mi importava. Mio padre era uno dei suoi sostenitori, lavorava per il bene di questo regno. Quando quella donna morì noi ci ritrovammo confinati tra le mura di Inkland, quella che una volta era una città splendente come Bestland. Ho ricordi vaghi di com'era prima, le strade, gli edifici e le persone, tutto cancellato dalla mia memoria. La mia vita è iniziata solo cinque anni fa.»
«Che fine ha fatto la tua famiglia?», chiesi vedendo che non sembrava continuare.
«Mio padre non si è mai arreso al fatto che la regina fosse morta da sola, sospettava ci fosse stata una congiura. Venne ucciso qualche mese dopo, impiccato insieme a tutti gli altri. Mia madre perse la ragione dopo un anno e si tolse la vita con un pezzo di vetro passato sulle vene. Ricordo di essere stata io a trovare il corpo. Avevo sete, non pioveva da molto e trovare acqua non era facile in quel periodo. Bevvi il suo sangue, a lei tanto non serviva più a niente. Mi aiutò a tirare avanti.»
«Tuo fratello?»
«Lui non era veramente mio fratello. Ci eravamo incontrati un giorno di pioggia. Io stavo al riparo sotto un palazzo crollato e lui arrivò correndo inseguito dai soldati. Aveva rubato del pane dal loro accampamento e cercava di scappare per non venire ucciso. Io lo aiutai a seminarli chiedendo in cambio un po' del suo cibo. Iniziammo a lavorare insieme, rubavamo cibo alle guardie e lo nascondevamo nella nostra base. Un giorno ci scovarono e dovemmo abbandonare tutto. Avevo fame e lui senza pensarci due volte si staccò il braccio con un coltello. Non era molto sveglio, morì per l'infezione qualche giorno dopo. Fu terribile vederlo soffrire senza poter fare niente per aiutarlo.»
La voce le si bloccò in gola e dovette recuperarsi in silenzio per alcuni secondi prima di poter continuare.
«Avevamo un progetto insieme: una volta scappati fuori da quella città saremmo andati oltre alla collina, nell'altra metà del regno. Avremmo sconfitto l'Ombra e preso il suo posto comandando su Foreverland. Lo sai, dicono ci siano creature magiche dall'altra parte. Tu ci credi?»
«Penso di sì.», risposi.
«Che sapore avranno?»
«Non lo so. Quando ci andremo lo scopriremo, no?»
«È una promessa?», domandò fermandosi.
«Lo è se lo vuoi.»
«In questo caso voglio che tu la mantenga. Portami oltre alla collina.», ordinò la ragazza.
«Come vuole, mia signora.», promisi fingendo di inginocchiarmi davanti a lei.
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
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