2. Contadino d'acciaio
La mano dell'anziano era calda e ruvida. Ritrassi la mia in modo quasi istintivo, non mi piaceva molto il contatto fisico.
Dopo quella breve discussione mi condusse in una stanza al piano superiore. La parete era tinta d'azzurro, attaccato al muro c'era un grande armadio di legno scuro e il letto era piccolo e morbido.
Ero troppo stanca per protestare perciò una volta entrata appoggiai lo zaino con le mie cose vicino al materasso, mi distesi e cercai di addormentarmi.
Il mio sonno però durò poco, perché fui svegliata dopo neanche due ore da un forte rumore. Balzai giù dal letto e mi diressi verso la fonte di tale confusione.
Scoprii così che Sarino si stava cimentando nell'antica arte della falegnameria e che per sbaglio si era pestato la mano destra con il martello, e adesso girava per la stanza urlando quelle che per lui dovevano essere maledizioni.
«MANGIAFATE MALEDETTI! VOI E I VOSTRI AGGEGGI MODERNI!», sbraitò tenendosi davanti la mano dolorante. «CHE VI SI POSSA SPEGNERE IL FUOCO! CHE LA SIRENA CHE ABITA SOTTO CASA VOSTRA SIA COSÌ STONATA CHE VI ROMPA I TIMPANI!»
Urlava invano perché quelli a cui erano rivolte le maledizioni non lo ascoltavano. Erano difatti troppo occupati ad ascoltare la musica a tutto volume nell'edificio che affiancava il ristorante.
«...La mia tipa dice ciao,
la tua invece bau.
Senti che bella canzone
sarà presto un tormentone...», recitava la terribile canzone.
«MA VE LO FACCIO SENTIRE IO IL TORMENTONE! SE NON SPEGNETE SUBITO VI RINCHIUDO IN QUESTA BARA E VI SOTTERRO CON I LOMBRICHI!», continuò a urlare, Sarino.
Scesi le scale e uscii dal ristorante. Una grande e rumorosa discoteca che prima non avevo notato si trovava affianco al locale. Provai a mettermi all'ingresso e chiedere di abbassare il volume, ma, come previsto, nessuno mi diede retta.
L'aria fresca della notte mi diede un po' di sollievo ed ebbi la carica per fare ciò che dovevo.
Tornai nel vecchio e rovinato studio di Sarino, presi un'accetta e uscii di nuovo fuori. Percorsi lo stretto vicolo che si trovava nel lato opposto della discoteca. Dopo poco mi ritrovai di fronte a quello che stavo cercando, il generatore di arcobaleni. Lì dentro sono immagazzinati degli arcobaleni che, compressi, alimentano l'arcobalenità nelle case.
Sollevai l'accetta fin sopra alla mia testa, presi un respiro profondo e l'abbassai colpendo il generatore con tutta la forza e la disperazione che avevo. Subito volarono via gli arcobaleni che scintillarono per un po' sulla strada prima di sparire.
Ci fu silenzio e poi il forte boato di una folla insoddisfatta risuonò in aria. Rientrai in fretta nel ristorante prima di essere vista dalla folla della discoteca che, arrabbiata a causa delle luci non funzionanti, se ne andava in un'altra non troppo lontana. Dalla vetrina vidi quello che probabilmente era il proprietario che imprecava contro qualcuno dall'altra parte del comunicatore arancione.
Mi sedetti su una sedia del ristorante e mi addormentai con la testa sul tavolo.
Sognai di rincorrere una fata azzurra in un bosco. Lei volava troppo in alto e io dalla mia posizione non riuscivo a raggiungerla. Questo mi provocava un forte senso di inadeguatezza, mi sentivo così sola, sapevo che non sarei mai riuscita a prenderla.
A un certo punto del sogno sentii dietro di me la luce sparire e girandomi vidi un'ombra che si avvicinava oscurando il cielo. Una figura maschile con in testa un'imponente corona mi guardava stando in silenzio.
Sentii una risata, poi, la terra si aprì sotto i miei piedi e io precipitai giù nell'oscurità.
Mi svegliò la risata di Sarino, che dopo aver completato la sua nuova bara era finalmente uscito dallo studio e, buttando lo sguardo fuori dalla finestra, doveva essersi accorto che la discoteca era spenta.
Tirai su la testa e mi accorsi di avere tutte le ossa doloranti a causa della posizione assunta durante il sonno. A fatica mi alzai da quella sedia e andai a raggiungere l'anziano intento ancora a guardare fuori dalla finestra.
«Buongiorno», lo salutai.
«Buono?! Questo è un ottimo giorno!», disse iniziando a saltellare allegramente per tutto il locale. «Finalmente non sentirò per un po' di tempo quei rumori fastidiosi!»
Era buffo da vedere, mi infondeva tanta allegria, ma al tempo stesso provavo pena per quel vecchietto abbandonato da tutti che cercava un po' di felicità in quel regno.
Senza nemmeno accorgermene mi ritrovai coinvolta in quel folle ballo, trascinata dalle braccia di Sarino.
«Cosa facciamo oggi?», chiesi dopo che lui ebbe concluso il balletto con una giravolta.
«Aspettiamo dei clienti mi pare ovvio!»
«Ma se hai detto che qui non viene mai nessuno.»
«Cara nipote, tutti prima o poi dovranno entrare qui dentro.», disse ironico.
Rabbrividii per un attimo a quel pensiero, ricordandomi dell'altra macabra occupazione di quel vecchietto.
Non commentai il modo in cui mi aveva chiamato. Se davvero quello era il padre della regina Diana, allora era a tutti gli effetti da considerarsi un mio parente.
«Quindi, aspettiamo solamente dei clienti?», domandai ignorando le sue ultime parole.
«Esatto, non dobbiamo fare altro.», disse Sarino, risoluto.
«Da quanto tempo vai avanti così?», gli chiesi.
«Cinque anni»
«E quanto hai guadagnato con il ristorante?»
Sarino alzò la mano e fece segno con un dito.
«Un giullare?»
«Un contadino d'acciaio placcato con rame.», disse fiero di sé.
Lo guardai incredula e incapace di realizzare pienamente ciò che avevo appena udito.
«In cinque anni hai guadagnato solo un contadino?!», esclamai.
«Sì, lo so, è un po' tanto per una sola bevanda, ma quello insisteva a voler pagare. Allora gli ho regalato una cassa intera.»
Sarino sembrava soddisfatto di questa azione e non si accorse della faccia stupita che avevo.
«Un contadino è troppo poco persino per un bicchiere d'acqua!», dissi sconvolta.
L'uomo restò per un attimo fermo a riflettere sulle mie parole.
«Però lui stava morendo di sete, e un contadino era tutto ciò che aveva dietro.», raccontò. «Avresti preferito che tuo nonno avesse lasciato morire un essere vivente?»
Mi sentii quasi in colpa per la reazione eccessiva che avevo avuto, forse non avrei dovuto giudicarlo senza conoscere il contesto. Ciò però non cancellava il fatto che l'azione fosse stata davvero stupida.
«Quello che ho guadagnato veramente è stato l'aver aiutato qualcuno, non certo una stupida moneta. Quella la conservo ancora nella cassa come ricordo»
«Come fai a comprare ciò che ti serve se non hai soldi?», chiesi confusa.
«Quello che ho l'ho guadagnato vendendo bare e sotterrando cadaveri.»
In effetti quello non era un lavoro molto popolare a Bestland, probabilmente era anche l'unico della città, o almeno, l'unico che non avesse prezzi troppo alti, a giudicare dal materiale delle bare.
«Se guadagni già come becchino allora perché hai aperto anche un ristorante?»
«Sai, ho sempre avuto la passione per la cucina, proprio come tua madre.», rispose. «Però prima ero re e non potevo occuparmi di cucina, avevo un regno da proteggere, ma adesso posso fare quello che voglio senza che nessuno mi dica niente.»
«Se tu sei veramente Sarino Biancopale perché non ti riprendi trono?», domandai titubante. «Tutti ti credevano ormai morto in guerra, ma se sei qui allora questo regno sotto il tuo comando potrebbe tornare a splendere. Perché non lo fai?»
Sarino mi guardò un attimo in silenzio, poi abbassò gli occhi e disse «Un giorno lo capirai. Per adesso darti le risposte è inutile, non le comprenderesti.»
Andò poi a sedersi dietro al bancone. Io rimasi lì ferma a guardare il vuoto.
Come poteva pensare che non avrei capito se non provava nemmeno a spiegarmelo. Forse aveva le sue ragioni per non dirmelo, forse non sarei riuscita a capirlo davvero.
Mi arresi e cercai qualcosa da fare.
«C'è una scopa?», domandai di punto in bianco.
«E a cosa ti potrebbe servire?», disse Sarino in risposta.
«È pieno di polvere, vorrei pulire almeno sotto ai tavoli.»
Mi disgustava camminare su tutta quella polvere, faticavo a respirare all'idea che alcune di quelle particelle potessero finire nella mia bocca.
«A che scopo visto che non ci sono i clienti.»
«Il clienti non arriveranno di certo se qui è tutto sporco.», insistetti.
«La scopa è da qualche parte in cantina», rispose lui rassegnato. «Sotto la scala nel corridoio c'è la porta, la chiave è appesa al muro.»
Percorsi saltellando il pezzo di casa che mi separava dalla vecchia porticina verde. Le assi del pavimento scricchiolarono sotto il mio peso, e qualcosa zampettò tra i miei piedi andando a nascondersi in una tana nel muro.
La chiave di ferro si trovava proprio appesa alla parete vicino alla porta. La afferrai, era pesante, e arrugginita come la toppa in cui la girai.
Abbassai la maniglia, la porta si aprì con un cigolio sinistro rivelando una fredda e nera scaletta di metallo.
La discesi molto lentamente con le orecchie tese in cerca di strani rumori. Quando arrivai alla fine della scala tastai la fredda parete in cerca di un interruttore.
Il buio mi avvolgeva in ogni direzione come una grossa e scura coperta che nasconde al suo interno inimmaginabili pericoli. Trovai l'interruttore della luce e lo premetti.
Lentamente si accese una grande lampadina con all'interno un piccolo arcobaleno che sbatteva contro al vetro ed emetteva un fioco bagliore capace appena di illuminare il tavolo sotto di essa.
Era una grande stanza di pietra grigia, ammuffita e piena di polvere. Alle pareti c'erano mensole e armadi pieni di strani oggetti.
Nel mezzo della stanza c'era un enorme tavolo pieno strumenti, fogli e cartine geografiche. Mi avvicinai a quest'ultimo e ne alzai una, sollevando così un cumulo di polvere che si era depositato sopra. Era la mappa di un altro luogo oltre alla collina, probabilmente quella di Foreverland a giudicare dalla posizione sul mare.
Dopo l'arrivo dell'Ombra più nessuno parlava di quella terra e nessuno che avesse provato ad andarci era tornato per dire cos'era successo. Si vocifera che L'Ombra che sedici anni fa è piombata su Foreverland altro non era che la furia di un umano.
Nessuno conosce i dettagli, quel che si sa è che nel regno dall'altro lato della collina si nasconde un essere umano così spaventoso da essere riuscito ad uccidere e dominare tutte le creature del regno. E che presto, stanco di quella monotonia, sarebbe giunto da noi.
Qualcosa attirò la mia attenzione. Era una lucina bianca con una piccola coda a piuma di pavone e le ali trasparenti, che si dimenava. La sua coda era stata bloccata sul tavolo da una freccia argentata con una piccola pietra rossa sul fondo. La creatura emetteva dei leggeri gemiti acuti di dolore.
Mi mossi d'istinto e staccai la freccia dal tavolo, per poi farla ricadere su esso. Subito la creaturina prese a volare via per tutta la cantina.
Iniziò così una specie di rincorsa come nel sogno che avevo avuto quella mattina. Quando io mi avvicinavo lei scappava sempre più lontano in tutti gli angoli della stanza.
A un certo punto inciampai in qualcosa e caddi con la faccia a terra. Alzai la testa per vedere dove fosse finita la lucina, ma quella era già sparita. Mi rimisi in piedi delusa e guardai su cosa fossi inciampata. Si trattava della scopa che stavo cercando, ma era rimasta incastrata sotto una pila di cianfrusaglie.
La afferrai per il manico e provai a tirarla fuori. A fatica si mosse, solo dopo un po' che la tiravo cedette all'improvviso facendomi cadere addosso una pila di oggetti bizzarri. Rimasi con la testa fuori e il corpo quasi del tutto sommerso di oggetti.
Sbuffai facendomi spostare dall'aria un ciuffo troppo lungo di capelli castani che mi era finito davanti agli occhi. Dalla pila sopra di me cadde una piccola sfera verde che rimbalzò sul pavimento a pochi centimetri dalla mia faccia e rotolò fermandosi sotto al piede di Sarino.
«Che cosa stai combinando?», chiese lui divertito.
«Ho trovato la scopa.», dissi alzando a fatica la mano in cui la stringevo.
«Prima o poi dovrei sistemare qui dentro.»
Sollevò da terra la sfera grande quasi come il suo pugno e la appoggiò su una mensola.
«C'è una tale confusione che non mi stupirei di vedere un troll dormire in qualche armadio.»
«I troll esistono davvero?», chiesi stupita.
«Mia cara nipote, tu non sai davvero nulla del mondo!», rispose Sarino. «Ovvio che i troll esistono, proprio come questa...»
Ci fu una pausa durante il quale l'uomo rigirò la testa cercando qualcosa nella stanza, poi posò lo sguardo sul tavolo.
«Dov'è finita?», disse indicando la freccia.
«Oh scusa, l'ho liberata, non pensavo fosse importante. È che sembrava soffrire così tanto.», risposi dispiaciuta.
«No, tranquilla. Non devi fartene una colpa. Evidentemente era destino che non rimanesse troppo.»
«Che cos'era?», domandai curiosa.
«Un tokidoki, in questo caso un esemplare femmina.»
Lo guardai confusa, e lui intuendo la mia condizione mi spiegò.
«Un tokidoki è una creatura estremamente rara. Si trova solo dove vuole essere trovata.»
«E dove vuole essere trovata?», lo interruppi.
«Lo sa solo lei.»
«Tu dove l'hai trovata?», insistetti a domandare.
«Segreto.», disse riprendendo il discorso. «Comunque, non è stato proprio facile trovarla.»
«Perché la cercavi?»
«Si pensa che i tokidoki possano prevedere il futuro grazie alle loro code e che la loro voce ammaliante possa comandare il tempo.»
«Se il suo potere di preveggenza risiede nella coda non l'avrai danneggiata tenendola così?», feci notare, indicando la freccia la cui punta era sporca di un liquido dorato.
«Ed è esattamente ciò che intendevo fare.»
«Perché?!», sobbalzai.
«Non posso sopportare il fatto di non avere libertà sul futuro.»
«Ma ferirla è stata una cosa cattiva!», esclamai alzando la voce.
«Ho dovuto farlo», disse facendosi improvvisamente più serio. «Non potevo permettere che accadesse quello che aveva previsto.»
«Che cosa aveva previsto?»
«La fine.»
«Di cosa?», domandai senza fiato.
«Di tutto.»
Il rumore del silenzio mi perforava i timpani e il freddo della stanza era tornato a solleticare le mie nude braccia.
«Scusa, dimenticati di questa discussione.», disse Sarino. «Non voglio che tu mi ricordi così.»
Si avvicinò a uno scaffale, riprese la sfera che aveva posato e me la porse.
«Avvicinala alla bocca e digli cosa vuoi dimenticare, poi appoggiala alla testa. Dimenticherai del tutto questa discussione.»
Lo guardai mentre risaliva lentamente le scale e usciva dalla cantina, richiudendosi la porta alle spalle.
Dopo pochi minuti salii saltellando e stringendo in mano la scopa che stavo cercando.
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
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