15. Mucchio di cenere
Da circa mezz'ora facevo avanti e indietro per la stanza, un piede dopo l'altro misuravo la distanza tra le pareti. Mi ero svegliata troppo presto, ma al posto di fissare il soffitto come normalmente avrei fatto, avevo deciso di rendermi utile.
Co non ne aveva voluto sapere di dormire nella nostra camera, era rimasta tutta la notte nella fredda cantina. Le avevo portato una coperta per riscaldarsi, nonostante fossimo in estate, e lei ci si era avvolta come carne nell'impasto del burrito.
Sarino invece sembrava stare ancora dormendo tranquillo nella sua stanza. Mi ero cambiata in silenzio per non rischiare di disturbarlo ed ero scesa all'ingresso. Avevo spolverato il pavimento e mi ero liberata delle sedie rotte buttandole vicino al cassonetto sul retro.
Il sole era sorto già da un pezzo e io osservavo con ansia l'orologio in attesa dell'orario per la consegna dei mobili. Avevo fatto colazione con un biscotto, e per il mio stomaco era sembrato anche troppo da digerire. Non sapevo se Co si era già svegliata, ma le avrei portato qualcosa da mangiare più tardi.
La città, fuori dalle finestre del locale, sembrava già sveglia, o forse non era proprio andata a dormire. Bestland è famosa per le sue luci e gli ambienti notturni dove i cittadini passano il tempo a festeggiare.
«Se hai i soldi puoi fare tutto.», diceva il signor Tingo, il capo-maggiordomo del palazzo.
Non aveva torto a dire questo. Lui era nato con lo scopo di succedere il padre nel lavoro, non aveva dovuto lottare per averlo. Era il componente della servitù con più soldi, ed era cresciuto con l'idea di rimanere tale. Quelle idee erano radicate in lui nel profondo, non gliene facevo una colpa. Come pure non lo odiavo per i piccoli furti che faceva nel castello, o per tutte le giovani domestiche che aveva fatto licenziare a causa del suo egocentrismo.
«I soldi danno potere.», aggiungeva sua moglie, la capo cuoca.
Lei era sicuramente più dolce del maggiordomo, ma non buona. Quando la regina era ancora in vita passava le giornate a pattugliare la cucina per non permetterle di mettere piede all'interno e rovinare le portate, ma da quando non c'era più aveva cominciato a riversare la sua rabbia sui sottoposti. Anche lei possiede una lunga lista di precedenti in fatto di licenziamenti richiesti da lei senza alcuna apparente ragione.
E in fine abbiamo la regina Diana. Lei non esprimeva pareri sui soldi, non che ricordassi almeno. Ma se penso a cosa avrebbe detto in un discorso del genere mi viene in mente solo: «Se hai qualcosa usala per aiutare il prossimo.»
«Buongiorno. Già sveglia? Sono appena le nove, di solito dormi di più.», mi salutò Sarino, scendendo le scale.
«Non avevo molto sonno.», risposi semplicemente.
«Vuoi fare colazione?», disse entrando in cucina.
«Sono a posto, ho mangiato i biscotti.»
«Vuoi fare i biscotti? Ottima idea, potremmo iniziare a vendere quelli se vengono bene. Ci dev'essere un ricettario giù in cantina. Ti dispiace andare a prenderlo?»
Scossi la testa sconsolata e mi diressi verso la tana di Co. Trovare il libro in quella cantina sarebbe stata un'impresa ardua, questo lo sapevo. Accesi la luce scendendo, non pensai neanche che potesse dare fastidio alla ragazza, cosa che fece. Co si lamentò, raggomitolandosi a terra nella coperta blu. Mi scusai con lei e presi a cercare il ricettario, pur non sapendo neanche che aspetto avesse.
«Cosa stai facendo?», domandò scocciata la ragazza.
«Sto cercando un libro di ricette. Sarino vuole mettersi a vendere biscotti.»
Si tirò su a osservarmi, più interessata di prima. I capelli scompigliati le ricaddero sulle spalle. Prese a grattarsi un braccio fasciato mentre si avvicinava a me.
«I biscotti sono dolci, giusto?»
Annuii, e lei sembrò contenta di questa risposta.
Sotto il suo attento sguardo perlustrai l'intera cantina, a cominciare dalla libreria piena di oggetti.
Modellini di navi cariche di polvere, vestiti riutilizzabili solo come stracci, brutti soprammobili a forma di animali colorati, una scatola di sigari vuota, arrugginiti attrezzi per il giardinaggio e un kit per la pesca rotto. Non sembrava esserci niente di davvero utile là sotto.
«Cosa c'è scritto?», domandò Co.
«Come hai fatto a trovarlo!», esclamai afferrando il ricettario che mi stava porgendo.
«L'ho visto e l'ho preso. Era quello che cercavi?»
«Sì, adesso vado a portarlo su.», risposi cominciando a salire le scale, prima di aggiungere: «Raggruppa in un punto tutto quello che ti sembra inutile, o almeno, quello che non è riutilizzabile. Facciamo spazio in questo posto.»
«Voglio i biscotti.», si lamentò lei.
«Poi te li porto.», risposi chiudendo la porta.
Trovai l'anziano uomo seduto in cucina con indosso un grembiule viola dall'aria pulita.
«Vedo che l'hai trovato. Vogliamo iniziare a cucinare?», chiese Sarino porgendomi un indumento come il suo, ma rosso.
«Che biscotti facciamo?»
L'uomo prese in mano il libro e iniziò a scorrere le gialle pagine impolverate fino a fermarsi su una di esse.
«Questi andranno bene come inizio.»
«Prendo gli ingredienti.», dissi osservando la lista.
- 300 g di farina
- 230 g di burro
- 100 g di zucchero
- 2 tuorli
- Un pizzico di sale
- Zucchero a velo
La farina si trovava nella credenza con il sale, il burro e le uova nel vecchio frigorifero. Lo zucchero, invece, si poteva trovare in qualsiasi punto della casa. Raggiunsi Sarino alla piccola bilancia portando gli ingredienti. Mentre facevo a pezzetti il burro lui mischiava la farina, lo zucchero e il sale in una ciotola.
«Accendi il forno a centocinquanta gradi.», disse lavorando l'impasto aggiungendo il burro e le uova.
Mi voltai verso l'oggetto che aveva appena nominato. Non era sporco, ma non si poteva neanche definire completamente pulito, non lo sportello almeno.
Tirai fuori le teglie e le appoggiai sul tavolo da lavoro dove Sarino stava stendendo l'impasto. Tornai poi al forno, accendendolo e girando la manovella fino al numero 150. Lo lasciai, assicurandomi che fosse ben chiuso.
«Abbiamo delle formine?», domandai.
«Nel sacchetto sopra a quel mobile.», rispose indicando la credenza.
Durante le mie attente pulizie in cucina non avevo mai pensato di guardare al di sopra dei mobili. Ora che avevo l'occasione di farlo me ne pentivo.
«Cos'è questo?», chiesi sollevando una grande scatola rosa.
«La macchina per i mini muffin.»
«E quest'altro?», dissi allungandomi verso l'oggetto sul mobile vicino.
«Quella per i popcorn.»
«Perché non vendi popcorn? Sono facili da fare.»
«Mi piacciono le cose dolci.»
«Non hai mai provato i popcorn al caramello?»
«Esistono cose del genere?!», esclamò l'anziano sorpreso.
«Sì, ma personalmente preferisco quelli salati. Dopo un po' stufa il sapore dolce.»
Presi il sacchetto di plastica che conteneva le piccole formine di metallo. Era strano il rumore che facevano quando si scontravano tra di loro al suo interno, richiamava alla mia mente la struttura leggera di quel materiale, ma anche l'impeto decisivo con cui tagliavano l'impasto.
Estrassi solo quelle che mi sembravano più adatte: un cuore, un fiore, un rombo e una stella. Il simbolo delle picche non dava una buona impressione, probabilmente sarebbe uscito male.
«Hanno suonato, vado ad aprire. Saranno venuti a portare le sedie.», disse Sarino lasciandomi da sola con la carta da forno e l'impasto.
Mi preparai al difficile compito di fare i biscotti e spostarli sulla teglia senza distruggerli nel mentre.
Sistemai bene il grembiule sul mio corpo, e nel farlo la mia mano tacco qualcosa di duro. Guardai la cosa che stavo stringendo, una targhetta di carta. L'indumento era nuovo.
«Lasciatele qua. Sì, grazie.»
Sarino stava parlando agli uomini nel locale indicandogli un lato della stanza dove portare le scatole con le sedie. Dalla finestrella potevo vendere i volti scocciati dei fattorini che seguivano gli ordini dell'anziano.
L'impasto rimaneva appiccicato alla tovaglietta, ma nonostante questo riuscii comunque a spostare abbastanza biscotti sulla carta senza romperli. Quando usavo la formina del cuore e del fiore l'impasto rimaneva attaccato ai lati curvi, su quello del rombo invece veniva via insieme l'intero biscotto. La stella era la più complicata da fare, c'era sempre un lato che si staccava prima degli altri ripiegandosi su tutto il resto.
Li cosparsi poi con l'albume non utilizzato dalla uova di prima, come diceva la ricetta.
Il forno era pronto, infilai le prime due teglie e misi il timer a venti minuti.
«Ah, qua ormai hai finito.»
«Sì, dobbiamo solo aspettare che si cuociano.», risposi a Sarino. «Come va con le sedie?»
«Ce le stanno montando. Dicono che finiranno prima di mezzogiorno.»
«Forse dovrei andare a controllare Co. Prima le avevo chiesto di riordinare la cantina, non vorrei che avesse fatto solo più casino.»
«Le hai detto di toccare le mie cose?!», esclamò l'anziano a occhi sbarrati, prima di dirigersi in tutta fretta verso la cantina.
«Ehi, aspetta!», cercai di fermarlo.
«Mi scusi, avrebbe un bicchiere d'acqua?», domandò un fattorino comparendo sull'uscio della cucina.
«Stia qui a controllare il forno. Torno subito!»
Corsi dietro a Sarino lasciando il povero uomo a guardare cuocere i biscotti.
Entrando in cantina notai subito le differenti condizioni in cui riversava la stanza. Una grossa pila di oggetti si trovava adesso in fondo alla scala a bloccare il passaggio.
«No, no, no. Così non va! Queste cose non si possono buttare.», gridava l'uomo.
«Sono inutili. Non servono a niente.», ribatté Co continuando la sua spietata missione.
«Falla smettere!», mi supplicò.
«Ok, Co, questo può andare bene. Puoi tornare a dormire ora.»
«Dove sono i miei biscotti?», richiese lei.
«Stanno cuocendo di sopra. Dovrai aspettare un altro po'.»
Sbuffò e andò a raggomitolarsi di nuovo nella coperta. Mi avvicinai a Sarino che disperatamente cercava di riprendere gli oggetti dalla pila per riporli sul tavolo.
«Questo ti serve davvero?», chiesi sollevando un cappello bucato.
«Si può ancora riparare, basta ricucire qui e mettere una toppa lì e sarà come nuovo.», rispose lui afferrandolo.
«Perché non ne compri uno nuovo?»
«Questo ce l'ho da appena cinque anni, non ho bisogno di un nuovo cappello.», insistette.
«Ma è rotto. Quando un oggetto si rovina, a meno ché non sia qualcosa di davvero costoso, si fa prima a eliminarlo. Fidati, ti sentirai meglio una volta che te ne sarai liberato. Avrai più spazio per le cose nuove.»
«Non posso buttare via tutto il mio passato.», disse dopo una lunga pausa di silenzio.
«Non tutto, solo le cose meno importanti come gli scontrini, le carte di caramella o i vestiti rovinati. Le cose che non ti servono più e del quale non puoi sentire la mancanza.», aggiunsi in fretta.
«Così potrò prendere delle cose nuove... D'accordo.»
«Bene, se vuoi ti aiuto.»
«No, tu torna pure ai biscotti. Qui ci penso io.»
Risalii lentamente la scala. Avevo come l'impressione di stare facendo qualcosa di sbagliato nel lasciare Sarino lì giù, ma a momenti il timer avrebbe suonato e per allora sarei dovuta essere in cucina. Mi fermai a pochi passi dalla porta. Si vedeva che aveva una certa età perché la pittura verde in alcuni punti stava venendo via mostrando il legno chiaro al di sotto.
«Ti raggiungo tra poco. Fammi solo tirare fuori i biscotti.», gli feci sapere.
L'uomo mi rispose con un verso di affermazione, segno che mi aveva sentito.
«Ok. Ne porto alcuni se non sono troppo caldi.»
«Portali comunque. Ho fame.», rispose Co dalla sua postazione.
«Certo.»
Appoggiai le teglie sui fornelli spenti mentre controllavo che i biscotti fossero cotti bene.
Il fattorino era tornato al suo lavoro dopo aver bevuto il suo bicchiere d'acqua e adesso ero di nuovo sola in cucina.
Staccai con le mani i biscotti, ignorando il calore che mi bruciava le punte delle dita, e li spostai in un piatto dove li ricoprii di zucchero a velo. In fretta tornai verso la porta della cartina, ma mi fermai quando sentii una musica provenire dall'interno.
Socchiusi la porta per sentire meglio. Era una dolce melodia dall'aria nostalgica, ma non per questo triste. Sembrava solo non essere adatta al genere di musica che si sente uscire tutti i giorni dalle discoteche di Bestland. Un uomo cantava, la sua voce sembrava essere stata registrata tanto tempo fa, quando ancora non esistevano mezzi migliori per catturare il suono umano.
«Tutti i miei problemi sono ora un mucchio di cenere
Ho dovuto dare fuoco al mondo per evitare la caduta.
Mi dispiace per quello che ho fatto
Bugiardo.
Ho ancora paura della tua vendetta
Codardo.»
«Questa ragazza non aveva mai visto un giradischi in vita sua. Ci credi che me lo voleva buttare?», fu la prima cosa che Sarino disse quando mi vide entrare.
A quanto pareva Co aveva portato a galla un'altra passione di quell'uomo: collezionare oggetti antichi di cui nessuno ha mai sentito parlare.
«Andiamo, come fate a non averne mai visto uno. Ai miei tempi tutti lo avevano.»
«Appunto. Ai TUOI tempi.», puntualizzò la ragazza.
«È una cosa per ascoltare la musica? A palazzo mi pare di averne visto uno una volta.»
Il giradischi era ormai arrivato alla fine della canzone e si preparava a iniziarne un'altra. Non ci voleva un esperto per capire quale fosse la sua funzione.
«Ora che ci penso ne ho trovato uno simile nella spazzatura che vi liberate vicino a Inkland. Quando è troppa prendono dei bambini dalla città per dividere cosa è riutilizzabile e mandarlo alla fabbrica per nuovi materiali.», raccontò Co.
«Sicura non fosse un trombone?», domandai guardando la parte superiore dello strumento.
«Che cos'è un trombone?», chiese addentando uno dei biscotti che avevo portato.
«Come sono?»
«Caldi.», rispose.
«Sì, ma sono buoni?», insistetti.
«Morbidi.»
«A me sembrano un successo. Possiamo dire che ora abbiamo il nostro primo cibo sul menù.», disse l'uomo. «È un buon inizio visto che tra appena diciannove giorni ci sarà la riapertura.»
Il mondo mi cadde addosso. Solo pochi giorni mancavano sul calendario a quella data. Dovevamo ancora fare un sacco di cose. Non ero pronta ad affrontare un fallimento di queste dimensioni.
Dovevo impegnarmi di più.
☆Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.☆
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top