11. Die House


«Dovete aiutarmi, Sarino è stato portato alla Die House.», raccontai una volta che Giusy e Louis aprirono la porta del loro negozio.

«Vi hanno seguito?», chiese la donna osservando con sospetto la strada circostante.
«No»
«Perché dovrebbero prendersela con uno come lui?», domandò Louis.

L'anziana donna invece, come sapendo già cosa fare, fece entrare me e Co indicandoci la panca di legno per sedersi. Sparì poi nel retro del negozio lasciandoci sole con suo figlio.

«Tutto bene?», mi domandò lui.
«Sì», risposi istintivamente per poi correggermi. «Cioè, no, non sto affatto bene.»

Ero uscita di corsa dal locale, senza sapere neanch'io bene cosa fare. Co mi aveva seguito solo per non correre il rischio che qualcuno ci andasse a cercare lì. Adesso stava in disparte appoggiata a un angolo della stanza piena di vestiti, cercando di non attirare l'attenzione.
L'uomo la notò, ma distolse subito lo sguardo quando lei gli rifilò un'occhiataccia delle sue.

«Vedrai che si risolverà tutto.», disse Louis per incoraggiarmi, ma dentro di me sapevo che non ci credeva neanche lui.

La signora Additif rientrò dopo poco stringendo in mano degli indumenti familiari.

«Indossa questi.», ordinò porgendomi la camicia bianca, la giacca viola e i pantaloni color prugna.
«Ma questa è la divisa per lavorare alla Die House.», biascicai confusa.

«Sono proprio i vestiti che indossavano quelli che hanno rapito il vecchio!», esclamò Co allungandosi sopra la mia spalla.

«Erano di Antoine, ma adesso è da un po' che nessuno li usa.», continuò la donna. «Indossali, così potrai entrare in quel posto senza essere notata.»

«Devo entrare lì dentro da sola?», domandai con non poca preoccupazione.

«Noi non possiamo più avvicinarci all'edificio, abbiamo avuto dei piccoli battibecchi con il proprietario. L'ordine restrittivo mi vieta di stare a meno di venti metri da quel luogo.»

La osservai sorpresa e curiosa allo stesso tempo. Era difficile trovare qualcuno che non fosse in buoni rapporti con il proprietario della Die House, o almeno, non qualcuno ancora vivo.

Giusy mi spinse a forza nel camerino e richiuse la tendina dietro di sé.
Mi ritrovai a fronteggiare la mia figura riflessa nello specchio. Avevo ancora il viso stravolto e leggermente arrossato dalle lacrime. Mi sentivo ancora debole dopo lo sforzo compiuto per vomitare, ma l'adrenalina che percorreva il mio corpo e l'ansia data dalla situazione mi avevano permesso di arrivare fino a lì.
Presi a sfilarmi i leggeri abiti che indossavo. Le mani erano abbastanza ferme nei movimenti, ma a tratti la testa provava dei giramenti.
La divisa mi calzava a pennello e il materialedi cui era fatta non mi dava neanche troppo fastidio. Giusy mi aggiunse un farfallino viola al collo, da sola non riuscivo a metterlo.

«Quando entrerai nell'edificio dovrai andare dritto verso l'ascensore dorato in fondo alla sala.», mi istruì la donna pettinandomi i capelli con una spazzola. «Se ti chiedono dove stai andando devi dire: "Mi mandano a controllare l'archivio".»

«Come farò a trovare Sarino?», domandai con non poca ansia.
«Lui non si trova certo in quel palazzo.»

«E allora cosa ci vado a fare io?!», esclamai. «Se non è tenuto lì, dov'è?»
«Devi entrare nell'archivio e scoprire dove lo tengono rinchiuso.», spiegò Giusy. «Troverai tutte le informazioni di cui hai bisogno nella cartella con il suo nome.»

«Sembra qualcosa di pericoloso», dissi titubante. «Non è che hai una divisa anche per Co?»
«Non tirarmi dentro a questa storia! Ho già rischiato troppo lasciando il locale.», esclamò la ragazza.

«Senti, se le guardie dovessero prenderti avresti comunque un'altra possibilità prima di finire in grossi guai.», continuò la signora Additif mentre mi appuntava una spilla dorata sulla giacca. «Ti porteranno davanti al loro capo, e dovrai confessare di essere una spia mandata dalla Devil per investigare su un traffico di diamanti. In ogni caso non dovrai mai dire di aver qualcosa a che fare con Sarino. Chiaro?»

«Non penso funzionerà.», esitai a dire.
«Bene, allora non pensare.», concluse lei spingendomi fuori dalla porta.

Era quasi sera, il sole stava lentamente discendendo dietro le abitazioni e i negozi sulle strade. Mi trovavo vicino al centro, di fronte al numero 1119 di Via Ager Sanguinis.
L'edificio era uno dei più grandi della città, e quando si tratta di Bestland le case non sono decisamente piccole.
Lì si riunivano ricchi e benestanti sotto lo stesso tetto, l'unica distinzione in quel luogo era data dalla quantità di denaro che si era disposti a usare.

La Die House era il più rinomato casinò di quella ricca città. Se avevi un ruolo importante nella società dovevi farti vedere lì dentro almeno una volta a settimana o le voci cattive sul tuo conto avrebbero iniziato a girare.
Il re aveva stretto un accordo con il proprietario del casinò che poteva svolgere la sua attività senza rendere niente a nessuno. Il perché dell'esistenza di questo patto non è mai stato reso pubblico, ma da quello che avevo sentito origliando delle conversazione a palazzo, il capo dell'edificio aveva molte informazioni pericolose dalla sua parte.

Osservavo da lontano l'entrata di quel nero grattacielo sorvegliato da due uomini in divisa viola. Non sarebbe stato affatto facile entrare e uscire senza essere vista.
Presi un profondo respiro per riacquistare il controllo della mia mente e a grandi passi mi diressi verso le porte. I due silenziosi buttafuori si spostarono per permettermi di spingere la maniglia ed entrare.
All'interno una piccola stanzetta dagli interni rossi anticipava la grande sala da gioco. Lì un piccolo uomo stava dritto in piedi e sorrideva all'arrivo di nuovi visitatori.

«Tu chi sei?», domandò non appena mi vide.
«Sono nuovo.», risposi, reprimendo l'istinto di voltarmi e scappare nel panico.

Osservò con sospetto la mia divisa, e quasi temetti di aver indosso quella sbagliata. Chissà, forse nel tempo l'avevano cambiata.
Cercai di fare una faccia rilassata, come se la lingua che stavo premendo a forza contro i denti non mi facesse male.

«È dalla parte sbagliata.», mi informò con un gesto.

Inizialmente rimasi confusa, poi seguii il suo dito teso fino al mio petto. Indicava la spilletta dorata a forma di carta da gioco, con sopra inciso il due di fiori. Alzai lo sguardo sulla sua, si trovava sul lato sinistro del giacchetto.
Mi affrettai a spostarla dalla parte giusta, quasi ferendomi con la punta a causa delle mani tremanti.

«Così va meglio.», esclamò sorridendomi e facendo cenno di proseguire.

Lo superai senza problemi ed entrai nella grande stanza. Almeno una trentina di persone sedevano ai tavoli o scommettevano sulle partite di chi giocava d'azzardo. Uomini in divisa viola passeggiavano da un luogo all'altro dirigendo i giochi o portando vassoi con bevande e stuzzichini.
Individuai con facilità l'ascensore di cui mi aveva parlato Giusy. Si trovava proprio dall'altro lato della stanza, tra le grosse scale per il piano superiore.
Iniziai a incamminarmi verso di esso, passando tra i tavoli dove importanti persone fumavano sigari e accarezzavano denaro.
Al centro della stanza, proprio sotto il grande lampadario di cristallo stava su un alto piedistallo una grossa statua alata dal corpo femminile, priva di bracci e testa, protesa verso l'entrata. Il bianco marmo con cui era stato fatto l'abito mi fece esitare con lo sguardo più del dovuto, sembrava essere semplice stoffa.

«Possibile che qui non ci sia mai nessuno che ascolti!», esclamò una donna distraendomi dai miei pensieri.

Era una voce familiare, girandomi riconobbi la sua proprietaria. Lolly Gloss stava cercando di attirare l'attenzione di qualcuno.

«Hey, tu, vieni qua!», esclamò nella mia direzione.

Mi voltai per vedere se stesse parlando a qualcuno dietro di me, ma con sommo dispiacere mi accorsi che non c'era nessuno.

«Muoviti», mi incitò lei agitando la mano.

A malincuore abbandonai la mia meta e feci come ordinato. Non volevo attirare l'attenzione dei due buttafuori ai lati della stanza.

«Tu», continuò la donna quando fui vicino al tavolo da gioco. «Dai le carte.»

Guardai con poca fiducia il mazzo di carte che la donna mi indicava.
Non ero mai stata brava a questo genere di giochi, e al momento non sapevo neanche cosa dovessi fare.

«A cosa vuole giocare?», domandai nella speranza di sembrare qualcuno che sa cosa sta facendo.
«Poker, ovviamente.», rispose lei fredda, lanciandomi un'occhiata infastidita.

La donna indossava un rosso vestito privo di scollatura, da cui fuoriuscivano lunghe piume. Orecchini e girocollo le contornavano il viso, mentre gli anelli di diamanti stavano alla mani dalle unghie brillantinate. Sul petto era appuntata una spilletta dorata con inciso sopra il dieci di picche.
La cosa che più mi sconvolse, oltre alla sua effettiva presenza, fu il vederla senza scarpe o calze. Avevo fatto caso in questi giorni che sempre più persone giravano a piedi nudi, probabilmente con la Contessa Tea Lime avevo fatto partire una moda.
Non sembrava esserci traccia della sua imponente guardia, e di questo ne fui sollevata. Mi avrebbe subito riconosciuto, e lì sarebbero stati guai seri.

«Hai intenzione di mischiare quelle carte ancora per molto?», domandò rivolto a me uno dei due uomini seduti al tavolo.

Fermai quello che le mie tremanti mani stavano facendo e iniziai a distribuire le carte. Non sapevo quante ne dovessi dare, per fortuna la donna tirò su da sé le sue carte non appena le ebbi passato la quinta.
Iniziarono a giocare e feci per allontanarmi dal tavolo, ma l'uomo dal completo arancione schioccò le dita e chiese due carte. Capii quindi che sarei dovuta rimanere lì per tutta la durata della partita.

«Ti ho già visto da qualche parte.», osservò l'altro uomo accennando a me con lo sguardo.
«Lavoro qui da tempo.», risposi cercando di mantenere la voce ferma.

«No, ti ho visto di sicuro da un'altra parte.»
«Non distrarti.», lo rimbeccò Lolly.

Anch'io ricordavo di aver già visto quell'uomo. Era successo quando mi ero sporsa per pochi secondi a guardare nella saletta dell'Hotel della donna lì presente. Fortuna vuole che Lolly non fosse altrettanto brava a riconoscere le persone.
Iniziavo a sudare da sotto la pesante giacca viola. La situazione era peggiorata anche dall'ansia che provavo al momento.

«Come vanno gli affari, Jefferson? Ho trovato cose poco piacevoli su di te nell'ultimo articolo di Blackmail. Dimmi, è tutto vero quello che racconta?», domandò la donna.

«Come sta la tua famiglia, Gloss? Ha ancora intenzione di diseredarti o l'ha già fatto?», ribatté lui.

Lolly schioccò la lingua con fare infastidito e scartò alcune carte per chiederne altre.

«Passo.», disse l'uomo all'altro lato del tavolo.

La donna lanciò altre fiches nella pila al centro, e lo stesso fece Jefferson.

«Le mie carte?», chiese l'uomo allungando la mano verso di me.
«Certo.», sobbalzai ricordandomi improvvisamente cosa dovevo fare.

«Comunque, io non darei molto credito a ciò che scrive quella rivista. Si sa che la maggior parte delle storie vengono stravolte. Pensa a quello che avevano scritto su di lui,"Voi sapete chi", prenderlo sul serio significherebbe che non ci si può fidare più di nessuno.», riprese Jefferson.

«Se non fosse stato vero non si sarebbe tanto impegnato a farcelo dimenticare. Ricordo ancora quel discorso che ha fatto alla televisione, l'intervista più corta mai sentita prima. Che fine ha fatto poi la persona che l'aveva scritto?», disse Lolly a bassa voce, quasi temesse di essere sentita da tavoli vicini.
«Di certo non in un posto migliore di questo.», commentò l'altro uomo ridendo.

Dovevo aver dato un'impressione abbastanza impacciata nel fare il mio lavoro, perché la donna con un gesto mi congedò.
Mi affrettai ad allontanarmi da quel tavolo, ma non prima di udire Lolly fare un commento.

«Certa gente dovrebbe andare a lavorare nelle fabbriche con quei vermi di Inkland.», disse la donna schioccando la lingua. «Non conoscere il poker...»

Superai la scalinata ed entrai nell'ascensore prendo il primo pulsante che mi capitò a tiro. Le porte dorate si richiusero silenziosamente davanti a me lasciandomi sola con i miei pensieri.







Angolo autore
Ciao a tutti ☆
Avevo promesso di aggiornare il prima possibile... è passato un mese... Scusate.

Commentate e ditemi se vi è piaciuto. In caso contrario fatemi pure notare dove ho fatto errori o come potrei migliorare questo capitolo.

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