Thomas: nelle terre di Ahir Zimenia
"Devi conoscere l'oscurità prima di apprezzare la luce"
"Cos'è stato?" chiese allarmato Elija alzandosi a sedere sul lettino dove la guaritrice l'aveva fatto adagiare. Intono a loro non avevano mai cessato di spuntare piante, ora erano tanto alte da nasconderli.
"Nulla, amico mio, non preoccuparti" disse Thomas appoggandogli una mano sulla spalla per rassicurarlo.
"Ora stai fermo, o non riuscirà a guarire la tua gamba" disse accennando alla guaritrice dai capelli scuri, china sulla ferita dell'artefice della terra.
La donna indossava il mantello blu dei medici di Auriah e teneva lo sguardo fisso sull'arto di Elija, concentratissima, mentre vi applicava unguenti e fasciature.
Anche Thomas aveva avvertito un suono lontano, come il rombo di un tuono, come un terremoto. Pregò che l'amico non avesse notato la goccia di sudore freddo che scendeva dalla sua fronte, causata dall'apprensione per i suoi amici.
Altri tuoni sotterranei scossero il palazzo, più volte Elija fu in procinto di alzarsi e andare a verificare che Jona stesse bene, nonostante non sapesse dove andare.
Dopo quella che sembrò loro un'eternità videro comparire i loro amici, sani e salvi.
Henry, Nenja e Jacqueline parevano stanchi ma felici, Jona era, invece, molto più spossata. Aveva i capelli e le vesti bruciacchiati, il volto pieno di graffi ed ematomi, l'arma e le vesti insanguinate, ma un sorriso vittorioso illuminava il suo volto e una luce di orgoglio traspariva dai suoi occhi color tempesta. Teneva in mano uno straccio oro, l'ultimo mantello, il risultato di tutte le loro fatiche, l'ultimo tassello.
Non appena la vide arrivare, il volto di Elija si illuminò come se avesse appena visto un'alba dopo molti giorni di buio totale. Si alzò in piedi, incurante di aver dato un calcio in faccia alla povera guaritrice, che Thomas si affrettò a soccorrere. Zoppicando Elija corse verso i suoi amici, lasciandosi dietro una scia di ibischi e rose profumatissime. Jona, con stupore di tutti, spalancò le braccia e accolse l'artefice con un caloroso abbraccio.
Quando i saluti si conclusero, con immenso dispiacere di Elija dovettero chiedere aiuto ai cavalli alati per un trasporto più veloce verso Ahir Zimenia.
"Ora che abbiamo tutti i mantelli, nulla ci trattiene qui: dobbiamo correre nelle terre oscure e penetrare nella reggia nera" esclamò Henry. Nenja ordinò ai suoi servitori di portare degli indumenti pesanti nelle loro stanze e disse loro di indossarli: nei pressi di Ahir Zimenia Neear aveva scacciato tutti gli spiriti delle foreste e portato con sé il freddo e la neve.
'Finalmente vedrò il mio "regno"' pensò Thomas ripensando a come l'elva Aiwlys l'aveva apostrofato.
'Come posso essere il principe di Ahir Zimenia se non l'ho mai vista?' si chiese, si disse, però, di non saltare a conclusioni pensando che nemmeno Jacqueline aveva mai conosciuto sua sorella Elsha.
Si riscosse da questi pensieri e avvertì un profondo senso d'inquietudine e ansia in vista di quello che lo aspettava. Si passò una mano tra i capelli neri ricordandosi che gli era stato tagliato un ciuffo. Corse alla ricerca della mano di Jacqueline e la strinse. Aveva visto che, seppur con riluttanza, lei era stata in grado di esporsi completamente al pericolo pur di salvarlo, aveva ceduto le cose che più amava e che costituivano una parte di lei. Invece, lui, cos'era stato in grado di fare per la ragazza? Certo, le era stato accanto ma non sentiva di aver fatto nulla d'importante.
'Smettila di autocommiserarti!' si disse.
Si separarono per cambiarsi e indossare i vestiti pesanti. Tornarono tutti nel cortile della reggia poco dopo, era strano avere addosso un mantello foderato in pelliccia nel deserto.
Con un potentissimo fischio Henry richiamò i candidi cavalli alati che li avevano accompagnati fino alle Terre Oltre il Fiume. Attesero circa mezz'ora prima che gli animali comparissero. Nel frattempo Thomas ebbe modo di constatare che l'artefice del fuoco non aveva lasciato andare la sua mano. Elija stava dicendo a Jona: "Sai, ti ringrazio per avermi difeso prima, è stata una delle cose più coraggiose che io abbia mai visto, dopo il tuo scontro con lo Mbozu naturalmente" le sorrise mentre i raggi dell'alba illuminavano i loro volti stanchi.
Quando i candidi animali si posarono al suolo con la delicatezza delle piume di un'oca, gli artefici salutarono e ringraziarono Nenja e i suoi cortigiani, promettendo loro vendetta per la distruzione della reggia.
"La vendetta non è necessaria, è velenosa. Voi dovete riportare la dolcezza della giustizia e dell'equilibrio in questa terra baciata dal sole e sferzata dal vento, benedetta dal crescere delle piante e dallo scorrere delle purissime acque. Riportate la pace nella terra dei lupi e degli artefici" disse Nenja con tono grave e serio, ma al tempo stesso quasi supplichevole, poi le sue labbra si aprirono in un radioso sorriso e tornò la ragazza solare di sempre.
"La vendetta è velenosa" ripetè mentalmente Thomas ricordando anche le parole di Niah in proposito.
Montarono sui cavalli salutando i cortigiani di Nenja e la ninfa, Elija tremava, stringendosi a Jona mentre si alzavano in volo e regalando alla reggia un meraviglioso ibisco rosso. I cavalli alati dispiegarono le ali e, dopo l'ordine di Henry, virarono verso sud, verso il mare, dopo il grande mare di sabbia, verso la reggia nera. Ahir Zimenia.
Gli artefici si sentivano stanchissimi, si adagiarono dolcemente sul dorso dei cavalli e, affidandosi alle creature alate, caddero in un sonno profondo: era da molte notti che non dormivano. Gli animali erano molto intelligenti e conoscevano la strada, tuttavia, benchè riponesse molta fiducia in loro, Henry fu l'ultimo ad abbandonarsi all'amorevole abbraccio del sonno.
L'ultima cosa che vide Thomas prima di addormentarsi furono gli occhi di Jacqueline illuminati dalle luci del mattino.
L'artefice dell'acqua fece uno strano sogno. Si trovava in un grande castello nero e indossava una corona d'argento, era in piedi su un balcone e guardava la valle sottostante. I muri dell'edificio erano nero ebano, un pesante mantello argentato gli copriva le spalle, infatti fuori stava cadendo la neve. Un delicato fiocco si posò sul suo naso, ma lui nemmeno se ne accorse. Il paesaggio che aveva davanti era a dir poco agghiacciante: una vallata ricoperta di neve, fumante di incendi e macchiata di sangue; con castelli e case in macerie, immensi alberi divelti e boschi semi-distrutti. Un vento freddo gli graffiava il volto e calde lacrime scendevano dai suoi occhi. Il suo mantello danzava nella neve, pesante come una cappa di piombo, mentre Thomas osservava il tremendo spettacolo stringendo i pugni e singhiozzando sommessamente. Si sentiva incredibilmente stanco e debole.
Sentì una voce che lo chiamava e si voltò. Vide un'ombra vestita di nero avanzare nella stanza. Il suo cuore perse un battito quando capì che si trattava di Neear. Richiamò la sua arma, pieno di paura e senza mai smettere di piangere. Si sentiva come uno straccio usato, mille schegge di ghiaccio gli trafiggevano il petto mentre singhiozzava.
Neear si avvicinò a lui e annunciò, con voce cavernosa, che non sarebbe stata necessaria la sua Aiglos con lui. Il ragazzo poteva sentire il suo fetido respiro sul volto, soffio caldo in un gelo profondo. Faceva freddo, nonostante avesse indosso un mantello aveva una sensazione di freddo nel cuore, come se fosse diventato un terreno sterile, senza più la capacità di amare. Neear stava dicendo qualcosa, ma Thomas non lo ascoltava, si inginocchiò e strinse la sua lancia argentata fino a farsi venire le nocche bianche. Si morse il labbro e sentì la gelida mano di Neear che gli sollevava il mento. Non vedeva il suo volto, solo un profondo buio dentro a un cappuccio nero. Il mago oscuro, con un gesto improvviso, gli diede un fortissimo schiaffo, tanto da mandarlo lungo disteso per terra. Il pavimento era spaventosamente freddo ma lo schiaffo bruciava d'umiliazione sulla sua guancia. Un altro singhiozzo lo scosse, e la neve prese vorticare nella stanza. Folate di vento freddo cariche di fiocchi invasero l'ambiente. Neear sparì e la neve vorticò ancora più forte. Ricoprì ogni cosa, iniziò a posarsi anche su Thomas, incapace di rialzarsi, troppo debole e pesante per reagire. La neve lo coprì completamente e lui sentì, se possibile, ancora più freddo, ma prima che potesse accadere qualcos'altro si svegliò.
La prima cosa che vide fu bianco, bianco a perdita d'occhio, sembrava che attorno non ci fosse nulla. Di certo non si trovavano più nel caldo deserto di Nenja, a giudicare dal gelo e dalla presenza di fiocchi di neve, taglienti come lame. Il Cerchio di Jacqueline ardeva dolcemente, emanando una soffusa luce arancione. La ragazza si voltò verso di lui, col mantello sollevato da un vento freddissimo: "Cosa stavi mormorando?" chiese, la sua treccia si dimenava nell'aria gelida.
"Non lo so nemmeno io" rispose, non si era accorto di stare parlottando.
"Ho fatto un sogno orrendo" disse a bassa voce. Continuava a non vedere nulla oltre al bianco che li circondava, nemmeno gli altri cavalli alati. Strizzò gli occhi a causa della neve. Jacqueline gli sfiorò il viso dolcemente con le sue dita tiepide. Jacqueline non avevano nulla a che vedere col freddo circostante. Lei era calore, fuoco, vita; il gelo era morte, distruzione, tristezza. Notando la sua perplessità, la ragazza gli spiegò che avevano oltrepassato tutto il deserto ed erano entrati in una vallata coperta dalla neve. Più si avvicinavano ad Ahir Zimenia, più il freddo aumentava, esattamente come aveva detto Nenja. Thomas cominciò a distinguere colline e foreste, ammantate nel bianco e, poco più avanti i cavalli alati dei suoi amici.
Proprio come nel suo sogno, un gelido vento gli graffiava il volto e i loro mantelli danzavano nella neve. A stento riuscivano a tenere gli occhi aperti, i fiocchi erano come schegge sul viso. Jacqueline estrasse da una tasca nel suo mantello due veli, i due ragazzi se li avvolsero intorno alla testa, lasciando liberi solo gli occhi, per proteggersi dalla neve.
Thomas si strinse nel suo mantello e versò una lacrima: una scheggia di ghiaccio gli era entrata nell'occhio.
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