Thomas: lo Mbozu
"I'm not a girl. I'm a storm with skin"
-anonimo
Thomas era convinto che le cose pericolose fossero piene di fascino. Il piacere che la vista di ciò che era bello gli regalava conteneva sempre una scintilla di tensione, un brivido di paura.
Vedere gli occhi di Jacqueline lampeggiare di rabbia l'aveva scosso, ma li aveva trovati estremamente attraenti.
Le cose belle, a volte, ci turbano.
Una volta lei gli aveva detto che serviva il fuoco perché io buio diventasse luce.
Non temeva le tenebre circostanti perché lei era al suo fianco, il lume delle sue fiamme dissipava le tenebre.
"Se non avessi eretto questo cupolone si vedrebbero le stelle" disse Jacqueline con una punta di amarezza nella voce.
"Avremmo anche più luce" aggiunse dopo qualche istante.
"Le stelle sono incredibilmente vanitose. Ho avuto modo di constatarlo durante i miei turni di guardia. Se vedono qualcosa di più luminoso di loro si alterano terribilmente" rise lui.
Jacqueline piantò i suoi occhi in quelli di Thomas, pagliuzze dorate rilucevano nelle sue pupille.
In un nanosecondo i loro profili si stavano sfiorando dolcemente. Thomas lasciò un bacio leggero come una farfalla sulle labbra dell'artefice del fuoco.
Lei sorrise e lo baciò di nuovo, allungò le braccia dietro al suo collo. Lui pensò di aver compiuto un ulteriore passo verso il paradiso.
"E così, eccomi di nuovo qui a baciare una principessa" disse appoggiandosi alla sua fronte.
"Ha così importanza? La bocca di una principessa non è diversa da quella di una contadina"
"Hai ragione, ha solo un titolo più nobile"
"Non ti conviene andare a dormire? Sarai stanco dopo tutto quello che hai passato oggi..."
"Non ho sonno"
"Tra tutte le panzane che hai raccontato questa è la peggiore" sentenziò lei.
"Voglio restare lo stesso. Magari l'alba è più bella vista attraverso questo cupolone" Jacqueline assentí e lanciò alla suddetta cupola uno sguardo sospettoso. Chiaramente tutta quell'acqua metteva a disagio l'artefice del fuoco. Thomas osservò con curiosità le fiammelle del Cerchio che sfavillavano guardinghe nel buio.
I due vennero distratti da un cupo brontolio. Jacqueline sapeva che era il suo stomaco a lamentarsi, fece una smorfia infastidita.
"'Non ho fame, Henry'" disse Thomas scimmiottando la voce della ragazza.
"'Tra tutte le panzane che hai raccontato questa è la peggiore'" continuò.
"Adorabile bugiarda" sentenziò prima di andare in cucina.
Il giorno successivo arrivò così in fretta, l'alba li colse mentre erano seduti rivolti verso est. I raggi del sole sfiorarono i loro volti stanchi e illuminarono i loro corpi abbracciati avvolti nei mantelli.
Le chiazze di neve si scioglievano e i fiori germogliavano (sicuramente per opera di Elija) , tuttavia un vento freddo soffiava dal mare. I cinque amici partirono molto presto verso lo stretto di Danesh e, pur essendo molto provati dalle fatiche del giorno precedente, procedettero a passo svelto.
'Perché gli zimeniani continuano ad attaccarci?' pensava Thomas camminando.
'Abbiamo forse qualcosa che interessa loro?' gli sovvennero le parole dell'uomo che aveva tentato di uccidere Jacqueline a Seita.
'Portatemi l'artefice del fuoco, viva'...'
Perché a Near serviva un ' artefice del fuoco? Se gli occorreva che rapissero Jacqueline perché avevano tentato di ucciderla? Che fossero dei goffi tentativi sfociati in violenza?
Si disse che per quegli interrogativi non avrebbe mai trovato risposta, e che quindi era inutile porsi domande, decise di concentrarsi sulla strada. Ascoltò il rumore ritmico dei suoi passi e il frusciare delle foglie che calpestava. Più si avvicinavano a Danesh più il paesaggio mutava. I pini scomparvero e vennero sostituiti da mandorli e boschetti di bambù, la strada diventò più polverosa e l'aria più ventilata.
Gli spiriti della foresta erano, però, ancora soggiogati dal potere di Neear, la primavera sembrava eccessivamente rigida, troppo arida per essere luogo di fioritura e troppo fredda per consentire alle gemme di schiudersi. Il gelido inverno regnava ormai su tutto Auriah. Certamente la foresta aveva beneficiato del passaggio di Elija, ma i danni riportati da un prolungato letargo erano evidenti. Si erano ormai lasciati alle spalle il torrente popolato da sirene che era scomparso nella vallata coperta di chiazze di neve e procedevano in un folto bosco di bambù ed eucalipti, le canne verdi erano incredibilmente alte e robuste, pochi flebili raggi solari riuscivano a penetrare le chiome fitte di foglie verdissime. Al passaggio dell'artefice della terra ogni pianta sembrava gioire e rinvigorirsi , Thomas avrebbe potuto giurare di aver visto un cespuglio fare la ruota come un pavone.
Tutt'un tratto Elija si immobilizzò, divaricò leggermente i piedi, tutti i muscoli tesi. Sfilò lentamente una delle sue asce nere dalla guaina.
Tutti lo guardarono perplessi e si fermarono.
"Elija, va tutto bene?" chiese Jacqueline all'amico.
"Silenzio" rispose lui. Thomas era sorpreso, non si spiegava un comportamento del genere.
Improvvisamente anche Jona sembrò adottare lo stesso atteggiamento, con le orecchie tese estrasse il suo coltello bianco e si mise in guardia. Thomas non capiva cosa stesse succedendo, non sentiva alcun rumore sospetto.
"Qualcuno ci sta seguendo" sentenziò Elija.
"Qualcuno o qualcosa di molto oscuro e potente" concordò Jona.
"Nulla di nuovo: Gli zimeniani ci perseguitano da quando siamo usciti dal castello di Keya" disse Henry.
"Stavolta è diverso" Thomas non aveva mai visto Jona così tesa, inspirava profondamente come se stesse sentendo un odore strano.
"E' qualcosa di molto più potente di un semplice gruppetto di zimeniani, sento puzza di guai grossi"
"Secondo me è qualcosa di pesante, mi sembra di essere nell'epicentro di un terremoto...La terra continua a tremare" Intorno a lui i fiori crescevano lentamente, come animati da una guardinga cautela. Elija si chinò e prese in mano un pugno di terra. Al tocco del suo elemento l'artefice capì: per lui la terra era come un libro aperto. Thomas constatò che non doveva essere nulla di buono perché Elija sbarrò gli occhi e fece un passo indietro lasciando cadere il terriccio raccolto.
"Ti prego dimmi che non è quello che penso che sia" implorò Jona.
"Vorrei farlo, zuccherino, ma credo proprio di si..." rispose Elija incontrando il suo sguardo.
"Parlate!" li esortò Henry allarmato, ormai anche lui percepiva sentore di pericolo nell'aria. Thomas desiderò con tutto sé stesso che Jona ed Elija stessero scherzando. Era troppo stanco per affrontare qualsiasi genere di creatura.
"Siamo inseguiti da uno Mbozu" comunicò Jona.
Il solo nome di quella cosa gelò il sangue nelle vene di Thomas, un sostantivo potente che instillava paura. Tutto venne avvolto dal freddo e un vento gelido spazzò la foresta di bambù. Le canne sbatacchiarono tra loro emettendo un ticchettio cupo. Elija toccò il terreno e chiuse gli occhi traendo da esso tutta la sua energia, un ricciolo di vite si avvolse intorno alle sue dita come un anello.
"Siamo fortunati" disse dopo un po'.
"Ho una cattiva notizia e una buona"
"Come se avere uno Mbozu alle calcagna fosse una cosa buona" lo rimbeccò Jona.
"La buona notizia è che se ci sbrigassimo potremmo arrivare in tempo a Danesh evitando lo scontro con lo Mbozu, la cattiva notizia è che lo Mbozu è molto veloce e si porta appresso una nostra vecchia conoscenza " l'artefice dell'acqua pregò con tutto se stesso che non fosse Neear o qualche altro spirito malvagio. L'artefice della terra rivolse a Thomas ed Henry uno sguardo eloquente, una luce vendicativa e allusiva era emanata dai suoi occhi verdi.
"Woka"
A Thomas si gelò il sangue nelle vene per la seconda volta in pochi secondi.
Woka era stato il suo carceriere a Seita e lo aveva picchiato a sangue nella sua cella sotterranea per puro divertimento. Aveva ancora alcuni lividi sulla pelle che non facevano altro che ricordargli ogni giorno quanto fosse stato terribile. Serrò la mascella e strinse i pugni ripensando a quell'ignobile creatura. Istintivamente chiamò la sua Aiglos che gli infuse sicurezza.
"Forse possiamo riuscire a sfuggirgli, a Danesh non troverà aiuti, ma una forte barriera di artefici dei nostri: magari batterà in ritirata" disse Henry.
"Per arrivare prima che lui ci intercetti dovremmo partire adesso e andare molto velocemente senza fermarci stanotte" li informò Elija. Un vento freddo graffiò i loro volti, un monito da parte dell'inverno.
"Potremmo chiedere aiuto ai cavalli alati..." propose Thomas.
"Non se ne parla nemmeno" rispose prontamente l'artefice vestito di verde.
"Devo restare ancorato al mio elemento se vogliamo avere qualche informazione utile" la terra ai suoi piedi sembrò essere d'accordo ed eruttò un gruppo di germogli di bambù.
"Elija ha ragione" tutti si voltarono verso Jona che aveva pronunciato quelle parole.
"Odio doverlo dire, ma questa volta è così: la sua connessione col terreno ci può aiutare a capire dove si trovano i nostri inseguitori"
"Dillo di nuovo zuccherino" disse Elija mettendosi una mano dietro l'orecchio, come per sentire meglio. Lei, in tutta risposta gli mollò un calcio.
I cinque compagni proseguirono mestamente il loro cammino, colmi di preoccupazione.
Jacqueline si affiancò a Thomas e gli pose una domanda:"Thomas?"
"Si?"
"Chi è Woka?"
Il ragazzo strinse la mano intorno alla sua lancia e serrò i denti. Lei non aveva conosciuto quel terribile guerriero e Thomas avrebbe voluto che la situazione restasse invariata ma , a quanto sembrava, il destino non era dalla sua parte. Si rallegrò che lei non avesse assaggiato i suoi pugni e i suoi calci. Gli tornarono in mente la sua violenza e il suo carisma malvagio. Odiava quell'uomo perché si era sentito umiliato da lui fino alla sua più intima fibra. Le percosse di Woka l'avevano messo faccia a faccia con la sua debolezza. L'avevano avvilito davanti al pubblico più severo: lui stesso.
"Woka è stato il mio carceriere a Seita, è una persona crudele e senza scrupoli che non avrei mai più voluto rivedere nella mia vita"
"Ti ha fatto del male?" chiese lei con un accenno d'ira nella voce.
Thomas non rispose, si limitò a guardare la strada con quanto più astio possibile. Non contenta di quella risposta Jacqueline pose le stesse domande ad Elija, quando tornò al fianco dell'artefice dell'acqua i suoi occhi emanavano una luce diversa, come quella che aveva attraversato il suo volto quando le aveva parlato delle sirene. Splendida e pericolosa.
I suoi lineamenti erano induriti e lo sguardo era quello di chi ha intenzioni bellicose.
La vide con occhi nuovi: una inarrestabile e potentissima guerriera caminava al suo fianco.
Poi, un vento che sapeva di mare li sorprese. Henry e Jona parvero riacquistare parte del loro buon umore, inalarono quell'aria salubre e profumata. Anche Thomas inspirò l'odore delle acque salmastre sentendosi rigenerato. Il mare aveva questo potere: di rinascita.
Il mare, un'immensa ed imprevedibile distesa di acqua che rubava e restituiva, uccideva e salvava, divideva e univa. Thomas sorrise, inebriato da quella brezza e da quei pensieri. Il mare, l'inizio e la fine di tutte le cose e ciò di cui tutte le cose sono composte. La distesa eterna da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna.
Gli unici che non sembravano beneficiare di quel profumo delicato erano Jacqueline ed Elija, loro preferivano l'odore di legna bruciata e di resina ambrata, di fiori e di cibo caldo.
Lo sguardo del ragazzo cadde sui piedi dei compagni e, divertito, osservò che ognuno di loro possedeva una peculiare camminata.
Henry e Jona avevano un incedere leggero e silenzioso, che muoveva delicatamente le foglie secche ai loro piedi facendole danzare come se fossero state mosse dal vento di primavera.
Elija aveva un passo veloce ma pesante, aderiva con tutto il piede a terra e, nelle sue impronte, si scorgevano dei germogli che venivano seminati da ogni suo passo come sempre.
E poi c'era Jacqueline, il suo camminare era felpato come quello di un felino predatore, le sue impronte bruciavano le foglie secche, incenerendole. Spesso le sue emozioni e i suoi passi andavano d'accordo coi movimenti del Cerchio che, in quel momento, era rosso vermiglio, le fiamme si muovevano pericolosamente cariche di rabbia.
Ad un tratto, Jona ed Elija si bloccarono di nuovo.
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