Thomas: le dodici civette

"A dispetto di quanto sembri, ci sono molte cose sveglie di notte e silenti di giorno"

Thomas ed Elija si trovavano alla base della grande scala del palazzo che portava all' enorme salone. Il pavimento in marmo mandava bagliori arancio-rosati, grandi porte-finestre si aprivano ai lati della stanza e permettevano di vedere il più grande giardino del palazzo. Le stelle luccicavano nel cielo scuro, un dolce vento scuoteva le palme del giardino, all'interno di esso numerosi vialetti serpeggiavano accanto a ruscelli e fontane gorgoglianti sormontati da archi di rose rampicanti.
L'interno della sala era illuminato a giorno da giganteschi lampadari luccicanti , in fondo alla stanza un gruppo di musicisti scuonava dolci musiche che ricordavano melodie orientali. Il palazzo era gremito di persone e numerosi ospiti scendevano dalla grande scala per poi vorticare per il salone. Tutti indossavano splendidi abiti in tessuti coloratissimi, sari, kameez, abaya, burqa, gilet e turbanti dalle fantasie più sgargianti affollavano la festa.

L'artefice dell'acqua passeggiava nervosamente avanti e indietro in attesa di Jacqueline gettando continuamente lo sguardo sulla grande scalinata.

"Stai calmo Thomas, arriveranno, non c'è motivo di essere agitati" disse Elija tranquillo.
"Sono solo curioso di vederle" esclamò il ragazzo. L'artefice della terra gli scoccò un'occhiata eloquente.
"Sei cotto a puntino" fu il suo verdetto.
Poi, Elija lo vide fermarsi sul posto e diventare di pietra. Con lo sguardo fisso sulla scala non si mosse di un solo centimetro. Non respirò nemmeno.

Vide Jacqueline scendere verso la sala , un piede dopo l'altro, come un' eterea visione da sogno.

Uno spirito celeste. Un vivo sole. Fu questo quello che vide.

La più importante delle parole sarebbe parsa insignificante nel tentativo di descrivere un essere di tale bellezza. Una bellezza pura e vera, palpabile, incredibile da cui era impossibile distogliere lo sguardo. Come sotto un incantesimo seguí ogni suo movimento, incapace persino di sbattere le palpebre. Si ritrovò a boccheggiare per lo stupore e la meraviglia.
Elija si affiancò all'amico, con un gesto veloce, gli chiuse la bocca ridendo e assestandogli una pacca sulla spalla.

Dopo qualche istante scese anche Jona. E allora fu Thomas a doversi preoccupare del boccheggiare dell'amico.

Osservò il volto dell'artefice della terra ghignando divertito: Elija fissava l'artefice dell'aria con un'espressione di genuina impressione, proverbialmente definita "da triglia lessa", la bocca spalancata per la meraviglia.

Anche lui ammiró Jona e ne constató lo splendore, ma quella sera i suoi occhi, per gran parte del tempo, rimasero sull'artefice del fuoco. Avrebbe potuto giurare a se stesso di non aver visto niente altro.

"Non dici nulla?" Jacqueline richiamò la sua attenzione costringendolo a sbattere le palpebre e a riscuotersi da quella trance.

Per diversi secondi tutto quello che riuscì a fare fu balbettare.

Jacqueline lo guardava con le sopracciglia inarcate, cercando di capire cosa volesse dire. Dopo diversi tentativi di pronunciare una frase sensata Thomas si diede uno schiaffo mentale e tentò di ricomporsi.

"Non importa, ho capito" sorrise l'artefice del fuoco, lo prese per mano e gli chiese di ballare.

Per Thomas fu come se non avesse mai vissuto realmente fino a quell'istante, certo, in alcuni momenti era stato molto felice ma mai, fino ad allora, aveva compreso od assaporato appieno il significato della parola felicità. Si trovava in un luogo meraviglioso, circondato da amici onesti, danzando con la ragazza  più bella e intelligente su cui suoi occhi si fossero mai posati, che amava e che reciprocava il sentimento e la guerra sembrava solo un miraggio lontano. Si scordò di chi fosse Neear, del motivo per cui si trovasse ad Auriah. Desiderava sapere due uniche cose: il titolo della canzone che i musicisti stavano suonando, poiché desiderava ascoltarla in eterno, e se fosse possibile usare il Chrono (l'orologio magico di Henry) anche in quel momento per cristallizzare tutto in quell'istante.

I capelli della ragazza seguivano dolcemente i movimenti del suo corpo e l'orlo del vestito vorticava senza sosta. Thomas pensò che non dovesse esserci cosa più bella al mondo degli occhi dell'artefice del fuoco, li fissò per un tempo indefinito tendando disperatamente di impararne a memoria il disegno castano-dorato. I due si fermarono dal danzare solamente quando sentirono dolere i piedi.

Thomas avvicinò il suo viso a quello di Jacqueline e l'abbracciò alla vita.

"Ti piacerebbe passeggiare fuori?" le chiese dolcemente, l'artefice del fuoco annuì e attraversarono la grande porta finestra addentrandosi nel giardino.

Il cortile di Nenja profumava di rose, l'unico suono udibile, oltre a quello della musica in lontananza, era quello dei piccoli ruscelli che costeggiavano i sentieri percorrenti il parco. Jacqueline mise un braccio attorno alla vita del ragazzo e lo strinse a sé, come se avesse avuto paura di perderlo. Il sole era tramontato da un pezzo e
meravigliose stelle luccicavano nel cielo di smalto.

I ragazzi si sedettero su una panchina in pietra davanti a un laghetto in cui si gettava un piccolo corso d'acqua. Al centro del suddetto lago si trovava un enorme salice piangente che lasciava i lunghi rami a gocciolare nell'acqua limpida. Sulla superficie del lago si rifletteva la luce calda delle lanterne illuminanti il giardino. Numerose ninfee galleggiavano nell'acqua, intorno al laghetto correva un sentiero in pietra costeggiato da arcate di rose rampicanti.

Thomas levó la mano e staccò dolcemente una rosa dalla pianta, l'arbusto si allungó e si contrasse al suo tocco, quasi che soffrisse per la privazione di uno dei suoi boccioli. Pose il fiore dietro l'orecchio di Jacqueline carezzandole dolcemente il viso. Lei gli sorrise, lasciò un piccolo bacio sul suo naso per poi abbassarsi e togliersi le scarpe.

Stese le gambe e lasciò andare un sospiro di sollievo lamentando un po' di mal di piedi, allora lui la prese in braccio e la fece sedere sulle sue gambe. Jacqueline rise e a Thomas parve che non esistesse suono più bello al mondo.

Lei gli prese il viso tra le mani e gli diede un lungo bacio. Al ragazzo parve di trovarsi in paradiso, poteva quasi sentire gli angeli cantare. Le accarezzò dolcemente la schiena e le spalle. Le loro labbra si separarono, l'artefice del fuoco lasciò scorrere il dito sul viso di Thomas, ne percorse i lineamenti come se si fosse trovata davanti a un'opera d'arte. Lui affondò una mano nei suoi capelli e la guardò intensamente negli occhi.

"Je t'aime, Jacqueline" non sapeva cosa dire, gli sembrò che non ci fosse posto per altre parole. L'artefice del fuoco arrossì delicatamente, le sue guance assunsero i colori di un cielo al tramonto.
La baciò dolcemente e i loro visi si incastrarono alla perfezione l'uno nell'altro.
Improvvisamente il suono di una tromba d'allarme li fece sobbalzare. Sembrava tutto troppo bello per durare.

Il suono si ripetè tre volte e i due scattarono in piedi. Uno stupendo pappagallo volò davanti a loro gracchiando:" Pericolo! Pericolo! Le dodici civette hanno fatto irruzione nel palazzo!"

"Cosa sono le dodici civette?" chiese Thomas stordito.

"Di certo nulla di buono" rispose Jacqueline cominciando ad armeggiare col vestito.

"Che cosa fai?" le chiese passandosi una mano sul viso.

"Ad Auriah bisogna essere pronti a tutto" sorrise soddisfatta: facendo passare il vestito in mezzo alle gambe ne aveva legato in vita i lembi in modo che la gonna non le impedisse i movimenti. Chiamò la sua arma e consigliò all'artefice dell'acqua di fare lo stesso. Thomas, ammirato per la sua abilità pratica, obbedì e i due artefici corsero verso il palazzo. Vennero intercettati dopo pochi secondi.

Nel frattempo a Nenja la situazione era precipitata. Henry si trovava all'altro capo del palazzo, circondato da guerrieri mascherati. Cercando in ogni modo di avanzare verso il salone per aiutare gli amici combatte abilmente, ma il suo tentativo era decisamente rallentato. Tutti gli invitati alla festa erano saggiamente fuggiti,messaggeri compresi, salvo qualche temerario guerriero. Jona ed Elija erano stati circondati da sei guerrieri armati fino ai denti. Armature leggere del del colore della notte li proteggevano  e pesanti veli coprivano i loro volti lasciando scoperti solo gli occhi. Tutti portavano due sciabole e combattevano in maniera quasi acrobatica. Ruote, salti e piroette rendevano la loro lotta simile a una danza, ogni movimento faceva ondeggiare i loro mantelli di pelliccia di leopardo.

Jona , avvolta in un tornado ventoso, vorticava senza sosta scagliando le presunte civette a diversi metri di distanza e incrociando le lame con ciascuna di loro. Elija, con mira precisa, lanciava le sue asce che, però, venivano abilmente schivate. Grazie ai suoi poteri di artefice della terra contrastava i nemici facendoli cadere in voragini del terreno o facendoli inciampare in radici e rovi da lui cresciuti, nonostante i suoi abili tentativi, sembrava che i guerrieri del deserto fossero pronti a qualsiasi cosa, evitavano i colpi e i tranelli con astuzia sorprendente. Probabilmente pensarono che l'artefice della terra costituisse un pericolo troppo grande per essere corso, perciò lo misero fuori gioco assestandogli un colpo a tradimento alla testa. Elija, avvertendo il dolore propagarsi in tutto il corpo, gridò e cadde a terra.

Jona corse in aiuto del compagno, si costrinse a pensare a una soluzione per salvarlo, ma tutto quello che le venne in mente fu un'imprecazione.

Si frappose fra l'artefice della terra e i nemici che la circondavano, i guerrieri strinsero il cerchio intorno a lei.

Thomas e Jacqueline non si trovavano affatto in una situazione migliore. Il ragazzo, dopo aver richiamato la sua arma aveva fronteggiato almeno tre nemici in una volta. Lo scarso addestramento ricevuto aveva fatto sí che ricevesse numerose ferite. I capelli di Jacqueline erano ricoperti dalle fiamme del Cerchio, i suoi piedi nudi sferzavano la terra, da lei si allontanavano cerchi di fuoco. Non era certamente facile combattere indossando un abito da sera, tuttavia i suoi movimenti erano fluidi e carichi di energia.
Thomas si sentiva, al contrario ,molto debole, era spossato dallo sforzo e dal dolore provocato dalle ferite. Una delle civette lo colpì e lui cadde a terra, tentò di rialzarsi ma i nemici gli furono subito addosso. Lo immobilizzarono, il ragazzo cercò di opporre resistenza dibattendosi. Sentiva le mani delle civette dappertutto, lo pervase la sgradevole sensazione di trovarsi in una rete di corpi, soffocato dal loro peso. I guerrieri si sussurrarono parole in una lingua sconosciuta, Thomas, non capendo cosa volessero fare, tentò di richiamare la sua arma la quale era caduta a poco distante. Venne fermato da un pugno al mento che lo costrinse a sollevare la testa.  In pochi secondi le civette circondarono anche Jacqueline.

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