Thomas: Keya

Voglio fermare il tempo, e vivere così per sempre
-Hunger Games

Quando uscirono dalla tenda e si avviarono verso il palazzo di Keya, Thomas si sentì più leggero.
Henry esordì:"Col vento a favore dovremo arrivare stasera, anche se facessimo una sosta a metà strada. Vi raccomando solo di coprirvi bene: Keya è in mezzo alle nevi perenni" i due ragazzi misero a portata di mano dei mantelli per il freddo. Pur essendo una mattina soleggiata, faceva piuttosto fresco, il castello di Edomen era ancora visibile in lontananza.

La temperatura calava velocemente, si stavano inerpicando su di una montagna con un cappello di nevi sulla cima, intorno a loro si estendeva il bosco verde smeraldo con chiazze di brina sparse qua e là come decori argentati. Henry cominciò ad evocare il vento, roteò il bastone e un forte soffio d'aria spostò i morbidi ricci neri di Thomas, la punta della treccia di Jacqueline prendeva il volo. I suoi occhi castani scintillarono alla luce delle fiamme mosse dalle folate.

Il vento si fece più forte e sospinse Thomas in avanti.
"Correte! Non farete nessuna fatica!" gridò Henry per sovrastare il fragore dell'aria che scuoteva i rami del bosco, i ragazzi si misero a correre. Era come camminare, Thomas non sentiva nessuna stanchezza.

Il viaggio proseguì tranquillo. Ad un certo punto l'artefice dell'acqua gettò  uno sguardo tra gli alberi, gli sembrò di intravedere delle luci nel fondo della foresta. Lucchichii distanti e bagliori appena distinguibili. Tuttavia, ogni volta che tentava di metterli a fuoco questi scomparivano.
Non diede molto peso a quell'apparizione constatando che il regno pullulava di creature magiche. Verso l'ora di pranzo il vento si calmò, la compagnia si fermò nei pressi di una costruzione, una sorta di tumulo in pietra grezza. Fuori dalla costruzione una targa di ottone recitava:

"Qui riposa la Regina Mitre, portatrice di ekèndal, artefice suprema del fuoco e signora dei territori di Bellum."

Il tumulo era alto e finemente decorato con acroteri in pietra bianca raffiguranti delle fate che reggevano asce cesellate. Doveva essere molto vecchio, l'edera verde aveva ormai avvolto la costruzione nelle sue spire rampicanti. Le grandi pietre grigie trasudavano magia, anche se l'ospite dell'edificio probabilmente non ne faceva uso da un po'.
Jacqueline si mostrò molto incuriosita e si chiedeva chi avesse voluto costruire la propria tomba in mezzo al bosco, si avvicinò e chiese a Henry se fosse permesso entrare dalla minuscola porta d'ingresso per visitare il mausoleo. Il mago disse di sí. La ragazza si avvicinò timidamente, piena di timore reverenziale, seguita a ruota da Thomas.

L'interno era molto più grande di quanto non ci si aspettasse vedendo il tumulo da fuori. Al centro della stanza una rettangolo di cristallo e ossidiana conservava la salma della defunta.
Appese alle pareti c'erano armi di ogni tipo, coperte di polvere e con le lame consumate. La più straordinaria era certamente un' alabarda bipenne di rame, incisa sulla lama con disegni di fiamme. Lungo la parte interna dell'ascia, quella piú vicina al lungo manico, erano incastonati dei cristalli grossi come uova. Dall'altro lato ossidiane scurissime che mandavano bagliori cupi contro la parete. Jacqueline si avvicinò alla strana alabarda, l'arma vibrava di potere ed emanava raggi color rame. Accanto all'arma una targa enunciava :

"La prenderà solo il mio erede più meritevole."

Le fiamme del disegno sembravano animarsi illuminate dalla luce vivace del Cerchio, il filo della lama scintillava, ancora tagliente e pericoloso.
La ragazza sfiorò il filo dell'ascia, questa vibrò di energia, i cristalli e le ossidiane si ravvivarono e splendettero come nuovi mandando bagliori colorati nel tumulo. Jacqueline, colta da una sensazione istintiva, avvolse la mano intorno al manico e l' arma brillò di luce color ambra, la ragazza si sollevò da terra di mezzo metro e venne avvolta da spirali di fuoco.

Thomas immaginò che dovesse essere stato così quando la sua Aiglos lo aveva riconosciuto, si sentiva impotente e insignificante, probabilmente era proprio ciò che l'arma desiderava suscitare in lui: reverenza e ammirazione.

In quel momento Henry entrò nel tumulo e restò sbalordito, Jacqueline ritornò a livello terrestre, raggiante disse: "Q-questa è la mia arma, non è così?" gli occhi le brillavano, era circondata da un' aura dorata che la rendeva ancora più regale e splendida di quanto già non fosse. Le fiamme del Cerchio mandavano bagliori danzanti sulle pareti.
"Si Jacqueline, quella è la tua arma, non mi sorprende moltissimo: quest'arma contraddistingue artefici molto potenti." Si interruppe e volse lo sguardo alle pareti del tumulo.
"L'ekèndal è un'arma molto speciale, pochissimi artefici ne possiedono una, questa apparteneva alla regina Mitre, qui sepolta"
Lesse la targa.
"Solo un erede meritevole della regina avrebbe potuto prendere la sua arma" aggiunse Henry dopo essersi guardato intorno nuovamente.
"Se quest'arma mi ha scelto vuol dire..." ragionò Jacqueline.
"Che tu sei la discendente più meritevole che la regina potesse avere" concluse Thomas per lei. Da fuori si udì un cupo rimbombo e il tumulo venne scosso da un colpo. Le armi appese alle pareti tintinnarono e lasciarono cadere una generosa quantità di polvere.
"A quanto pare avrai presto occasione di testarla" disse Thomas prima di uscire, seguito da Henry.

La scena fuori era a dir poco spaventosa: sciami di gigantesche lucciole luminose, aggressive e pungenti come vespe si avventarono su Thomas e iniziarono a beccarlo lacerandogli la pelle coi loro pungiglioni. Il ragazzo chiamò la sua arma e tentò di difendersi, sembrava che anzichè diminuire le creature si moltiplicassero. Henry Jacqueline uscirono dopo di lui e si diedero alla battaglia. Le lucciole cominciarono a compattarsi e a sciamare verso di loro, Thomas tentò di abbatterle ma queste si scagliarono contro di lui facendolo cadere.

Si sentí un tozzo di pane gettato a uno stormo di corvi. Le strane lucciole pungenti si diressero verso Henry che stava evocando correnti d'aria per disperderle. Jacqueline sperimentava la sua nuova arma: l'ascia brillava di un color rosso sangue, tuttavia la spettacolare alabarda non si stava rivelando molto efficace, le lucciole assassine si abbattevano su di lei e le bucavano selvaggiamente la pelle.

Lei tentava di saltare più alto che poteva, o di incanalare il flusso dei suoi poteri, ma le maledette creature la raggiungevano sempre. Thomas non sapeva cosa fare, ogni tentativo di contrastare quelle bestie infernali sembrava inutile.

Ad un certo punto Henry gridò qualcosa che Thomas non capì a causa della confusione e del ronzio incessante delle ali degli insetti. Un enorme sciame di lucciole si accanì su Jacqueline che cadde a terra, le creature continuarono a lacerarle la pelle e lei non riuscì più a rialzarsi. La ragazza lanciò un urlo orribile che ruppe il silenzio del bosco, una fiammata si sollevò dalla sua testa. Thomas corse verso di lei per cercare di aiutarla, non la sentí che lo avvertiva di stare lontano e venne sbalzato indietro da una fortissima esplosione. Nel punto in cui si trovava Jacqueline ora c'era una colonna di fuoco gigantesca, lo spostamento d'aria che la ragazza aveva provocato con quello scoppio spinse Thomas contro il mausoleo di Mitre. Batté forte la testa e vide tutto nero.

Quando rinvenne si trovava dentro a un grande castello grigio pieno di tappeti pregiati a di quadri colorati, una donna bellissima lo sovrastava.
Indossava un vestito candido come la neve che le avvolgeva il corpo snello, una cintura di cristalli scintillanti le cingeva la vita. I capelli biondo cenere erano raccolti in una complicata treccia che dondolava ipnoticamente davanti agli occhi del ragazzo. Gli occhi azzurri e freddi come il ghiaccio della donna guizzavano nervosamente da una parte all'altra. Lei gli impose le mani sopra la testa e mormorò qualcosa, subito Thomas si rialzò, come invaso da una corrente di energia benefica.

Davanti a lui c'erano i suoi amici che, felicissimi, lo abbracciarono.
"Benvenuti sulla mia montagna, io sono Keya, custode del monte, sorella delle ninfe, stirpe degli Elvi, signora delle nevi e dei ghiacci, padrona incontrastata di questo castello e custode del Secondo Mantello" disse la donna con voce gelida.
Sembrava stranamente fuori posto in quegli abiti così preziosi.

La ninfa viveva sola nel castello, Thomas immaginò che non avesse spesso ospiti, tuttavia Keya offrì loro una deliziosa cena.
"Per quale motivo sono venuti nel mio castello, un artefice dell' acqua, una del fuoco e uno dell' aria, di cui due di loro stirpe dei Lica Morpha?" chiese.

"Mia signora, siamo qui per chiederti in prestito il tuo famoso mantello: il malvagio mago Neear imperversa nel regno e diffonde i suoi mostri, per di più, il sovrano dei Lica Morpha è diventato malvagio per colpa di Neear e metterà in pericolo anche il tuo castello se non ci aiuti" rispose Henry con gentilezza.
Thomas e Jacqueline si scambiarono uno sguardo esterrefatto, tutti i graffi e le lacerazioni provocate dalle lucciole erano spariti, ma non era quella la cosa più strana: a loro parve inconsueto il fatto che Henry, solitamente molto prudente stesse parlando a cuore aperto della loro missione con una perfetta sconosciuta. Thomas riflettè e pensò che il loro amico doveva aver scelto accuratamente quali parole usare e quanto raccontare, probabilmente riteneva di potersi fidare, o che non fosse il caso di ingannare un personaggio tanto potente.

"So bene che cosa succede ad Auriah, ma non vedo perché dovrei cedere una cosa così preziosa come il mantello a tre viandanti capitati qui per caso. In più, Caesaar, re degli artefici e dei Lica Morpha, non ha mai cercato la mia alleanza, perché dovrei fidarmi delle vostre parole?"
"Ma, nobile Keya, senza il tuo mantello non riusciremo a introdurci nel castello di Neear e a sconfiggerlo. Se Neear non verrà ucciso ad Auriah regnerà il caos, le tenebre e l'inverno avvolgeranno ogni cosa. Il malvagio renderà schiave tutte le creature libere e deterrà il massimo potere regio. Potrà distruggere anche la tua amata montagna, se lo vorrà...
So che può sembrare incredibile ma noi non siamo dei viandanti qualsiasi: io sono l'ultimo saggio delle dodici Chunea-Cime, custode dell'ultimo anello, lei é Jacqueline, artefice del fuoco, domatrice del Cerchio di Foco, portatrice di ekéndal, erede meritevole della regina Mitre, e lui è Thomas, artefice dell'acqua, principe di Ahir Zimenia e portatore di Aiglos." disse Henry con tono deciso. Lo sguardo di Keya volò su Jacqueline e vi rimase per un tempo che Thomas non seppe quantificare. Sembrava che fosse capace di scavare a fondo nella sua anima solo con lo sguardo.
Thomas cercò lo sguardo della ragazza e pensò a ciò che aveva detto Henry.
Sul volto di Keya si formò un'espressione indecifrabile, la sua bocca rimase chiusa e fredda come il marmo nuovo. Non parlò più con nessuno per il resto della sera. Solo una volta finita la cena la ninfa disse loro: "Vi darò il mio mantello ma dovrete superare le prove, e dovrete giurare che non lo macchierete di alcuna onta o sarete maledetti per sempre." sospirò.
"Ho già aiutato Auriah una volta e una vita preziosa é andata perduta per colpa mia, spero che sappiate quello che fate...Sto rischiando molto donando la mia alleanza a tre persone che dicono di essere i portavoce dei ribelli..."

I tre assentirono e lei mostrò loro le stanze, il giorno dopo avrebbero affrontato le prove con le stesse clausole di quelle di Edomen.

Prima che Thomas potesse entrare nella sua stanza Jacqueline lo fermò e gli disse: "Vieni da me stanotte, devo dirti una cosa"
"Va bene" rispose.
"Anch'io devo dirti una cosa" dopo che lei si fu girata, Thomas allungò la mano come quando si cerca qualcosa che è troppo lontano. Provò un senso di dolce amarezza, come se dopo aver inspirato il profumo di una rosa si fosse trovato con il dito sanguinante per le spine. Quanto avrebbe voluto sfiorare quei lunghi capelli castani. Quanto avrebbe voluto baciare quelle labbra rosse come rubini. Quanto avrebbe voluto accarezzare quelle guance lisce e morbide...Jacqueline gli pareva sempre più irraggiungibile...
Sospirando dolcemente si diresse alla sua stanza
L'ambiente era grandissimo, un enorme letto a baldacchino dalle tende blu notte troneggiava al centro dell'aula, utto il mobilio era dipinto d'argento.
Si sedette sul bordo del letto a pensare. Era stato fortunato a essere salvato da Keya, il regno di Auriah era più pericoloso di quanto sembrasse. Creature malvage si annidavano dietro ogni angolo e ogni cosa era avvolta da un arcano nebbioso e indistinto. Il ragazzo si alzò, aprì la finestra e inspirò l'aria fresca e pungente della montagna, osservò la neve che vorticava silenziosa nel buio. Si sentivano degli ululati di lupi che conferivano una certa musicalità alla scena. Thomas sorrise alla notte, colei che porta consiglio e riposo agli uomini. Le chiese un suggerimento, lo sussurrò nel vento e nella neve, ma nessuno rispose alla sua domanda.
Richiuse la finestra, si distese sul letto e cominciò a domandarsi cosa Jacqueline volesse dirgli. Non riuscì a prendere sonno, le emozioni di quella giornata, e probabilmente l'incantesimo di Keya, l'avevano riempiro di adrenalina.

Scoccò la mezzanotte. Thomas si alzò e, come in un sogno, andò a bussare alla camera di Jacqueline. Lei aprì e disse: "Scusa se ci ho messo tanto, ero addormentata" lo fece sedere su letto e cominciò a parlare.

"Senti, mi dispiace davvero tantissimo di averti insultato ieri mattina, ero arrabbiata e non sapevo quello che dicevo" le salirono le lacrime agli occhi e Thomas prese a fissarli sorridendo dolcemente, fuori cadeva la neve sempre più fitta, lei indossava ancora il Cerchio di Foco che ardeva debolmente. Jacqueline continuò a parlare con la voce rotta.
"E...Sono stata una stupida...Un'amica orribile, tu desso puoi odiarmi finchè vuoi, perché...Perché me lo merito, so che abbiamo già fatto pace ma ho ripensato a quello che ti ho detto e davvero, anche se non hai capito, non meriti qualcuno che ti tratti cosí. Pensavo che con le scuse di stamani riuscissi a levarmi questo peso dal cuore ma..."non riuscì a concludere la frase a causa dei singhiozzi.
Thomas le prese il viso con le mani e le mise i capelli dietro l'orecchio mentre le asciugava una lacrima col pollice, Jacqueline lo abbracciò e mormorò: "Perdonami, davvero, so che non si possono curare le ferite dell'anima con le parole ma non sono in grado di fare altro" mentre piangeva.

Thomas sapeva cosa avrebbe dovuto fare da buon amico, avrebbe dovuto consolarla e andarsene, ma voleva essere di più.

Le disse: "Ti perdono, e non ti odio, non potrei mai farlo. Ma rispondimi sinceramente adesso: Perché eri così gelosa di Lindsay? Noi siamo solo amici, giusto?"inclinò leggermente la testa per scrutare i suoi occhi, scintillanti di lacrime. Lei si morse il labbro e disse: "Avevo paura che tu non mi avresti più considerata, inoltre odiavo l'idea che mi avessi mentito" Thomas le mise mani sulle spalle, doveva farlo, doveva essere sicuro di lasciare un segno nella sua memoria e nel suo cuore, doveva dimostrarle quello che provava.

La avvicinò delicatamente a sé e disse: "Non devi preoccuparti che io mi dimentichi di te, né che io sparisca dalla tua vita, e sai perché?"
"No" disse lei, ora lo spazio tra i loro visi era minimo, sentiva il caldo respiro di Jacqueline sul petto.
"Perché nei miei pensieri ci sei sempre e solo tu, occupi la mia mente in una maniera incredibile, e anche il mio cuore" l'attirò dolcemente a sé e la baciò.

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