Thomas: Danesh
"I just want you to love me the way flowers love the sun"
-S. M. Pastore
Il ragazzo evocò tutta la forza che poteva trarre dal suo elemento, un'onda gigantesca si abbatté sul rinoceronte facendolo crollare a terra. Una forza distruttiva veniva eruttata dalla sua lancia, rabbia e risentimento sgorgavano a fiumi dalla punta dell'arma.
Non avrebbe perso Jacqueline, non una seconda volta, non avrebbe permeso a Woka di portarla via nuovamente.
Si scagliò con tutte le forze che aveva contro l'artefice del fuoco che liberò la ragazza. Subito lei rivendicò la libertà che le era stata rubata colpendolo senza pietà. Unendo le forze, l'acqua e il fuoco, insieme; sconfissero Woka. Aggregando i loro poteri in un'unica manifestazione di energia.
Il malvagio guerriero venne messo in fuga, frastornato e sconfitto giurò di vendicarsi mentre si allontanava barcollando.
Thomas si afflosciò su sé stesso: quell'estenuante sforzo lo aveva logorato. Cadde a terra e Jacqueline fu subito vicino a lui per sorreggerlo. Il ragazzo si lasciò circondare dal suo abbraccio sapendo che finalmente tutti erano al sicuro, avrebbe voluto dire qualcosa ma la sua vista si offuscò e svenne prima di avere la possibilità di aprire bocca.
Si svegliò in un posto che non conosceva. Si trovava in una stanza dalle pareti in legno rosso arredata con uno stile profondamente orientale. Era disteso in un letto con le coperte vermiglie. Una piccola finestra priva di vetro si apriva in una delle pareti. Attraverso essa Thomas vide un mare color smeraldo, piatto come una tavola che rifletteva milioni di scaglie di sole luccicanti. Fuori dalla finestra un salice piangente faceva oscillare tristemente i suoi rami nel vento leggero. Il ragazzo si alzò a sedere e vide che qualcuno aveva appoggiato i suoi vestiti puliti e lavati su una sedia accanto al letto. Si alzò e si vestí, fasciature bianche avvolgevano il corpo ferito. Nonostante sentisse ancora i muscoli indolenziti, il dolore per le ferite sembrava scomparso.
Stava contemplando la sua Aiglos tirata a lucido e appoggiata in un angolo quando Henry irruppe nella stanza.
"Finalmente ti sei svegliato!" disse allegramente. Thomas fece per rispondere ma la sua lingua sembrava essersi annodata. I suoi amici avevano un aspetto raggiante, per quanto l'artefice dell'acqua si sentisse meglio non poteva certamente dire di percepire lo stesso livello di benessere.
"Jacqueline e Jona?" chiese preoccupato.
I volti di Elija ed Henry si rabbuiarono.
"Non si sono ancora riprese" disse Henry.
Elija gli lanciò un' occhiataccia.
"Non disonorare così il loro sacrificio, hanno dato tutto per proteggerci"
Thomas allarmato spalancò gli occhi "Dove si trovano ?" Chiede mentre i due artefici si fissavano in cagnesco.
Senza dare loro il tempo di rispondere decise di arrangiarsi ed uscì dalla stanza di corsa. Per poco il ragazzo non sfondò la porta e non travolse una giovane donna che gli stava passando davanti mentre si precipitava fuori.
Il corridoio dell'edificio, dai muri rosso sangue, sembrava girare su se stesso, appariva caotico e vorticante. Corse come un pazzo, nell'irrazionale speranza di trovare la ragazza a colpo sicuro. Si scontrò con qualcuno e cadde a terra massaggiandosi la fronte per il dolore.
"Guarda dove vai la prossima volt- " disse una voce che il ragazzo conosceva bene.
"Jacqueline! Stai bene!"disse prendendole il viso tra le mani. La strinse forte a sè e le diede un bacio sulla fronte.
"E Jona? Come sta?" Chiese dopo un po'.
"Meglio, era dietro di me prima"
"E sono ancora qui..." disse L'artefice dell'aria, li osservava dall'alto in basso con le braccia incrociate e il piede che tamburellava nervosamente a terra.
"Piuttosto, dove sono gli altri?" chiese inarcando un sopracciglio.
"Dove ci troviamo?" esclamò Thomas.
"Siamo a Danesh, il luogo dove l'inverno non è ancora arrivato..." rispose Jona con fare teatrale agitando le braccia.
Dunque erano finalmente arrivati. Sarebbe bastato arrivare a Nenja, prendere il mantello e in un battito di ciglia sarebbero arrivati ad Ahir Zimenia. Quel viaggio infernale irto di pericoli sarebbe finalmente finito.
I cinque artefici uscirono dalla pagoda dove avevano dormito che Thomas scoprì essere un ospedale. Arrivarono fino al molo e si divisero i compiti: Jacqueline e Thomas sarebbero andati con Henry a prenotare una locanda per la notte mentre Jona ed Elija avrebbero cercato un marinaio disposto a traghettarli dall'altra parte dello stretto: dovevano fare in fretta ed essere il più efficienti possibile per raggiungere il deserto di Nenja quanto prima.
Thomas inspirò l'aria salata che veniva dal mare e guardò le onde, la loro vista lo riempiva di energia, la presenza di acqua irretiva i suoi sensi di artefice. Il braccio di mare di Danesh aveva una personalità tutta sua: era piatto come una tavola durante la sera, ma percorso da tempeste e uragani durante tutto l'anno e tutto il giorno. Il mare di Danesh era una bestia irrequieta e indomabile che andava assecondata in tutti i suoi capricci. Dalla riva si vedeva chiaramente l'altra sponda, ma sarebbe stato incosciente tentare di attraversare lo stretto a nuoto.
"A dopo" l'artefice dell'acqua salutò gli amici, con Henry e Jacqueline si gettò nel flusso di persone che transitavano per le strade della città.
"Dovrò lavorare con te anche oggi..." brontolò Jona.
"A quanto pare, zuccherino..." rispose l'artefice della terra. Da quando era sceso dalle scale della pagoda rossa il terreno circostante a lui non aveva smesso di eruttare fiori rossi e indaco: tulipani, papaveri, fiordalisi e genziane sbocciavano senza mai fermarsi. I passanti gettavano sguardi perplessi sull'insolita piantagione: era raro che certi fiori crescessero così vicini al mare.
"Ieri ci hai salvato la vita " disse Elija.
"Non ti ringrazierò mai abbastanza "
Jona alzò le spalle con noncuranza.
"Sai, è insolito che tu abbia cominciato a proteggere qualcuno che non sia tu" sogghignò l'artefice della terra. L'artefice dell'aria gli lanciò un'occhiata storta: "Ed è insolito che un artefice esperto come te abbia avuto bisogno di una gonnella per salvarsi"
"So riconoscere un guerriero dotato quando ne vedo uno"
"Allora meglio che tu non ti guardi mai più allo specchio perché potresti essere terribilmente deluso" un ghigno contenuto si aprì sul volto di Jona, prendere in giro Elija era un comportamento rassicurante oramai. Si voltò e procedette fino al molo mentre l'artefice della terra si affrettava a seguirla. Dopo una breve ricerca riuscirono a trovare un marinaio disposto a traghettarli per una somma modesta.
"E' troppo pericoloso partire oggi, dobbiamo aspettare almeno fino a domani sera" disse l'uomo. Tutto nel suo aspetto faceva supporre che lavorasse sul mare sin dal giorno della sua nascita, probabilmente aveva imparato prima a nuotare che a camminare.
La sua pelle abbronzata riluceva al sole, la brezza marina scuoteva i capelli candidi e la barba corta e argentata. Teneva in bocca una pipa verde e snodava le sue reti ingarbugliate strizzando gli occhi scuri dal taglio a mandorla, ogni tanto faceva vagare lo sguardo sul mare, come se le onde avessero potuto trascinare via i suoi pensieri.
Elija e Jona gli diedero ascolto: non essendo artefici dell'acqua non potevano percepire quanto agitato fosse il mare.
Il giorno era trascorso velocemente, il sole stava tramontando all'orizzonte, una luce dorata inondava lo stretto di Danesh. I due artefici si sedettero sul pontile dove si erano dati appuntamento con gli amici e li aspettarono.
Rimasero in silenzio per un po', si udiva solo lo sciabordio delle onde, ritmico e rilassante. Una delicata brezza salata mosse i loro capelli e Jona inspirò a pieni polmoni il profumo del mare.
Quandi le orecchie furono sature del rumore dell'acqua Elija disse:
"Jona, posso farti una domanda?" dato che il molo era costruito in legno i fiori non germogliavano più intorno a lui.
"Purché non sia invadente" disse senza pensarci.
"Secondo gli artefici della terra ogni uomo è stato forgiato dalla Grande Madre Terra, tutti noi siamo gemme uscite dal suo grembo e ne portiamo i segni nell'anima. Tu sei piena di sfaccettature, ricca di riflessi, come un quarzo, dura e impenetrabile. Sono in grado di riferire un quadro abbastanza chiaro sulla base di questo, tuttavia c'è qualcosa che non comprendo" si fermò un istante.
"Perché tutta questa misantropia? E' una cosa che non riesco a spiegarmi di te... Molte volte mi sono interrogato e ho pensato che il problema fossi io. Poi ho capito che il tuo odio era più radicato, più viscerale" fece un'altra pausa e la guardò negli occhi, vide qualcosa nel suo sguardo, un dolore profondo, una crepa nell'animo.
"Inoltre non capisco come potesse Woka conoscere tuo padre..." aggiunse con voce gentile. Il sole decorava la pelle olivastra e i capelli ricci di Elija con ghirigori dorati.
Jona sospirò e chiese:"É questo che desideri sapere?" non distolse lo sguardo dal mare.
"Scusa, non volevo ferirti, sono stato inopportuno e indelicato..." disse Elija.
"No, dopotutto anche tu mi hai salvato la vita quando Woka mi ha colpita e anche quando mi sono presa una freccia dopo che abbiamo liberato Jacqueline.
Meriti di sapere qualcosa di me..." rispose mestamente guardandolo negli occhi. Elija si preparò ad ascoltare la sua storia.
"Quando ero bambina vivevo in un piccolo villaggio di pastori sulle montagne del Nord, proprio vicino al Capo dell' estremo Nord; era costruito su una rupe del Capo che si affacciava sul mare. I miei genitori erano persone buone e gentili fino a quando mia madre se ne andò. Mi assomigliava così tanto, tutti dicevano che ero bella come lei se non di più. Mio padre era un Lica Morpha che adoperava i suoi poteri per allevare le pecore. Quando mia madre morì egli impazzí di dolore. Mi incolpò di averla uccisa, disse che era colpa mia se lei non c'era più e che avrei dovuto pagarne le conseguenze..." una lacrima scese sul suo volto e brillò al tramonto. Elija si morse il labbro, avrebbe voluto prenderle la mano.
" Non dimenticherò mai il giorno in cui lui prese la catena di ferro che usava per chiudere la stalla delle pecore. Io chiesi:'Che cosa fai?' e lui mi rispose: 'Te la faccio pagare'. Mi colpì diverse volte con la catena usandola come una frusta...Un assaggio dell'inferno che avrei attraversato" Jona rabbrividì e versò un'altra lacrima.
"Jona, non sei obbligata a raccontarmelo se soffri troppo" le disse appoggiandole una mano sulla spalla. Lei proseguì imperterrita: "Ogni giorno speravo che tornasse l'uomo buono che avevo conosciuto, ma lui ogni sera mi costringeva a torture sempre peggiori. Mi obbligava a spogliarmi e rideva della mia nudità dicendo che non sarei mai stata uguale a mia madre, che sarei rimasta per sempre la sua brutta copia. Poi proseguiva picchiandomi con la catena. Sembrava che nessuno sentisse le mie urla, tutti tacevano la cosa nonostante vedessero i segni e le ferite che solcavano il mio corpo. Poi, la goccia che fece traboccare il vaso: una sera tornò a casa più furibondo che mai, la sua mente distorta dalla sofferenza era giunta al limite. Si trasformò in lupo e mi saltò addosso, poi prese a graffiarmi il ventre con le sue unghie da canide mentre io lo imploravo di smettere.
Quello non era mio padre, era un pazzo omicida. Scappai da lui quella stessa sera con ancora i vestiti stracciati e sanguinanti, corsi verso il mare e pensai seriamente di porre fine alla mia vita gettandomi dalla scogliera.
Poi, però, mi bloccai. Vidi una cosa che mi diede speranza: un fiordaliso era cresciuto vicino al Capo dell' estremo Nord. Resisteva nonostante il vento spazzasse le rupi che si affacciavano sul mare. Una visione stupida, ma che mi infuse coraggio. Avrei voluto avere la forza di quel fiore, resistente nella bufera, indistruttibile e inarrestabile. Divenne il mio fiore preferito. Scappai verso sud e mi aggregai a delle bande di briganti. Non mi fidai più di nessuno, pensavo che chiunque , per quanto buono, avrebbe potuto impazzire e diventare come mio padre. Volevo rifugiarmi il più possibile lontano da lui, ma vidi quello che stava facendo Neear. Odiavo la sola idea che degli innocenti fossero costretti a soffrire come me, quando vi ho visti a Seita, mentre vi catturavano ho riconosciuto Henry e ho deciso di aiutarvi, io lo conoscevo di vista e per la sua fama. La scelta migliore che potessi fare, nonostante io cercassi di segregarmi in me stessa voi avete sempre creduto in me, mi avete trattata come una persona degna di essere chiamata tale, senza giudicarmi e mostrandomi vera amicizia... E vi sono grata per questo" le lacrime rigavano il volto di Jona.
"Per quanto riguarda Woka penso che provenga dal mio stesso villaggio, riconosco il suo accento, magari conosceva mio padre per sentito dire..."
"Mi dispiace" disse Elija con le lacrime agli occhi.
"Posso abbracciarti?" chiese timidamente l'artefice della terra. Jona annuì singhiozzando e lui la strinse a sé mentre piangeva affondando la testa nel suo petto.
Dopo qualche secondo lui le chiese: "Jona quand'è stata l'ultima volta che una cosa ti ha reso realmente felice?"
Esitò un istante, poi rispose:
"Quando mi hai regalato quel fiordaliso mentre affilavi la tua ascia"
"Sono sorpreso che ti abbia donato così tanta gioia, dopotutto era solo un fiore"
"È stata la prima volta che qualcuno mi ha mostrato affetto sincero dopo tanto tempo" Elija si grattò la testa e sorrise.
"Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere ricevere questa" le porse una rosa color rosso fuoco dal profumo inebriante e intenso ,i petali erano coloratissimi e morbidi come seta.
Jona la prese in mano e inspirò l'odore dei petali .
"L'hai cresciuta tu?" chiese lei guardando meravigliata il fiore.
Elija annuì.
"Non appassisce mai e profuma sempre, ma ti assicuro che è vera. Voglio che tu la tenga e per sentire il suo profumo quando sarai triste o ti sentirai sola"
Jona spalancò la bocca in un sorriso luminoso come una stella. Probabilmente era la cosa più bella che qualcuno avesse fatto per lei dopo anni. Pensò che forse valeva la pena concedersi di fidarsi di qualcuno. Gli diede una pacca sulla spalla e lo ringraziò chiamandolo idiota. Era tornata la Jona di sempre. Elija la guardò inspirare avidamente il profumo della rosa, come se la rigenerasse, salubre come il profumo del mare.
"Stanno arrivando Henry e Thomas" disse l'artefice della terra mentre si alzava e il suo mantello logoro strisciava sul molo.
Dove un attimo prima era stato seduto c'era un altro fiore: il fiordaliso più bello che Jona avesse mai visto, di un indaco accecante, emanava un profumo fortissimo nonostante,di norma, i fiordalisi non profumassero. Attaccato al fiordaliso c'era un biglietto con su scritto: "Il più mite tra gli uragani"
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