Thomas: Anelli
Non ci sono stelle qui. E non mi interessano. Sono tutto sommato inutili: troppo piccole e distanti. A cosa servono le stelle, se non puoi nemmeno toccarle?
-La stella di Pietra
Un centinaio di artefici di elementi opposti ai loro li avevano circondati parte per parte. Thomas si era ritrovato travolto da una legione di artefici del fuoco , con le armature rosse e le spade fiammeggianti.
"Poggia la tua arma al suolo! E' un ordine!" sibilò quello che sembrava essere il capo degli artefici del fuoco.
Un felino ramato fiammeggiante volteggiò sopra di loro prima di dissolversi in una miriade di coriandoli infuocati.
"Jacqueline, Hai trovato il tuo animale-simbolo!" dissero Henry ed Elija all'unisono prima di venire catturati. 'Un gatto, forse una lince' pensò l'artefice dell'acqua. Si sentì pietrificato da un pensiero che lo colpì come un fulmine a ciel sereno: il suo animale-simbolo era un serpente.
Serpenti e gatti erano nemici naturali, nemici mortali.
Thomas si guardò intorno: Henry era stato rinchiuso in una gabbia di radici, il suo bastone era stato sequestrato e i suoi albatros candidi erano spariti. Elija volteggiava sopra le loro teste sospinto da folate di vento fortissime che gli impedivano di tornare a terra e di prendere la sua arma. Jacqueline era stata travolta da una cascata gelata, il suo Cerchio era spento, lei era rinchiusa in una gigantesca bolla e tremava infreddolita.
Thomas non vide altre alternative se non quella di arrendersi e obbedire sperando di riuscire a liberare gli amici in seguito. Gli doleva molto non poterli aiutare ,e soprattutto non essere riuscito a difenderli.
Sapeva che ,anche se avesse tentato, non sarebbe mai riuscito a fronteggiare quel gigantesco esercito perciò depose l'Aiglos a terra.
Le guardie gli furono subito addosso , gli legarono i polsi e lo condussero in un edificio decadente che doveva essere una prigione.
Jacqueline, Elija e Henry ebbero lo stesso destino. L'artefice dell'aria riuscì a mettere in tasca al ragazzo due anelli, all'apparenza inutili. Gli sussurrò all'orecchio:
"Thomas, questi ci serviranno per comunicare nel caso ci dividessero: temo che porteranno via Jacqueline. Tu cerca di darle l'anello azzurro e dille queste cose..." gli spiegò come funzionavano quegli anelli, il giovane artefice dell'acqua annuì, la situazione era tremendamente grave.
L'edificio in cui li stavano portando era situato dentro le mura della città, la prigione era edificata in mattoni grigi e il suo interno era un vero e proprio dedalo di gallerie, come a riflesso della topografia della città. Gli artefici dell'acqua che stavano scortando Jacqueline erano al fianco di Thomas e la strattonavano, anche lei aveva i polsi legati, tenuti stretti da una sostanza trasparente e viscosa , il ragazzo pensò che dovesse essere acqua e che occorresse per isolare i suoi poteri. Del resto, i suoi polsi erano stretti da legacci fiammeggianti.
Il gruppo di armigeri che scortava la ragazza stava per svoltare. Era il momento giusto. In un gesto fulmineo pestò il piede alla guardia a lui vicina che urlò di dolore, si divincolò e corse via, le mani gli pulsavano terribilmente per colpa delle corde ardenti. Non appena la ragazza lo vide capì al volo le sue intenzioni, fece la stessa cosa, le fu facile anche grazie al moto di distrazione provocata dal ragazzo, si diresse verso di lui.
Mentre le guardie si affannavano per cercarli i due si nascosero in una nicchia buia.
"Non abbiamo molto tempo: Henry mi ha detto che vogliono portarti da Neear e , anche se vorrei impedirlo, temo che sia vero. Mi ha dato questi per tenerci in contatto" le mise in mano un anello sottile, blu cobalto acceso, decorato da un motivo di onde marine che si inseguivano vorticosamente.
"Io ne uno simile, potrai vedere dove siamo se lo appoggerai sotto il pelo di qualsiasi superficie d'acqua" Thomas estrasse con fatica il secondo anello, riluceva mandando onde ramate alla luce delle torce, il fuoco del disegno pareva animarsi a quella luce danzante.
Jacqueline era molto preoccupata, prese il suo anello e gli disse:
"Promettimi che ci rivedremo" gli occhi colmi di apprensione e cercarono i suoi nello spasmodico bisogno di una conferma, una certezza. Thomas sapeva che Jacqueline era coraggiosa, ma comprese la sua paura, essere strappata alle uniche persone di cui si fidava per due volte nella stessa giornata doveva essere terribile, benché anche lui fosse stato sperato da Henry ed Elija, aveva in qualche modo la consapevolezza che non sarebbe stato portato da Neear e che sarebbero in qualche modo riusciti a cavarsela insieme. Jacqueline, se isolata, aveva poche speranze di poter opporre resistenza .
Il ragazzo sollevò i polsi legati e le carezzò la guancia delicatamente, come se avesse avuto paura di rompere un vaso già incrinato .
"Te lo prometto"
Le guardie sopraggiunsero e si ripresero i rispettivi prigionieri. Thomas lanciò un ultima occhiata all'artefice del fuoco prima che lo costringessero a voltarsi con un sonoro schiaffo e ad avanzare con una spada puntata alla schiena. Udì qualche imprecazione e probabilmente qualche verso di scherno rivolto a loro, li ignorò.
Lo spinsero in malo modo dentro a una cella buia e puzzolente il cui unico arredo era costituito da una panca che fungeva da letto. La sola fonte di luce nella stanza era una finestra collocata in alto, il cielo che si poteva intravedere attraverso il riquadro era solcato da spesse sbarre di ferro. Il ragazzo riusciva a distinguere le stelle che formicolavano nel buio. Vedere un po' di bellezza in quella desolazione lo consolò. Benché fosse solo, prigioniero in una cella buia ricevette da quel cielo un barlume di speranza.
Pochi minuti dopo un artefice del fuoco entrò nella stanza seguito da altri due e disse, rivolgendosi ai suoi compagni:
"Facciamo un ultimo tentativo,se non parla passeremo all'artefice del fuoco prima che la portino da Neear" il ragazzo trasalí: Henry aveva avuto l'intuizione giusta. Si domandò che cosa potesse volere Neear da un'artefice appena comparsa ad Auriah.
Le guardie si avvicinarono minacciosamente a lui che stava ritto in piedi, rigido per la paura. Si sentì sollevato quando gli sciolsero i polsi , potè constatare di avere delle brutte bruciature. Il primo artefice ,che scoprì chiamarsi Woka, spinse il ragazzo con la schiena contro un palo di cui Thomas ignorava la presenza nella stanza. Gli legarono le mani dietro la sbarra di ferro con corda di canapa che gli torturava le bruciature sulle braccia. Si morse le labbra e trattenne un gemito.
Woka lo guardava dritto negli occhi, un ghigno deformava la sua bocca larga e fitta di denti giallastri, il volto coperto da un velo di barba incolta era solcato da cicatrici rossastre e da rughe leggere. Si ergeva nella penombra illuminato dai raggi della luna che contribuivano a rendere ancor più mostruoso il suo aspetto, alto e possente torreggiava sul ragazzo mandando saette con gli occhi grigi come nuvole in tempesta.
"Che cosa facevate qui a Seita?" chiese Woka con voce dura, profonda e graffiante.
"Dovevamo attraversarla" rispose Thomas cercando di mantenersi impassibile, non sapeva cosa aspettarsi da quel colloquio.
"E dove andavate?" gli domandò nuovamente Woka.
"Eravamo diretti nella valle, ci hanno già posto queste domande le guardie" disse peccando di tracotanza. Un forte schiaffo colpì la sua guancia destra. L'artefice dell'acqua aveva paura, ma una tenue scintilla di fierezza si accese nel suo cuore: forse il disprezzo per Neear e l'affetto per i suoi amici gli avrebbero dato la forza di sopportare qualsiasi tortura.
"Non osare mentirmi! Sappiamo tutti che la tua amica è l'artefice del fuoco che Neear sta cercando, avete tutti una taglia sulla testa perché l'Oscuro vi vuole!" continuò l'artefice del fuoco, lo schiaffo bruciava di umiliazione. Thomas non lo sapeva, ma Woka era famoso tra le guardie di Seita per la sua crudeltà, i prigionieri che lui aveva interrogato confessavano sempre e quasi mai uscivano illesi da un colloquio con lui.
" Dove stavate andando? Perché?"
Il ragazzo sibilò un'imprecazione e ripeté quello che aveva già detto.
Woka sollevò il braccio, Thomas si strinse nelle spalle cercando di ripararsi da quello che si aspettava essere un secondo schiaffo, ma Woka gli diede un pugno in pieno viso, il dolore del colpo si propagò in tutto il corpo del ragazzo. Sentì la testa pulsare e i suoi occhi per qualche istante faticarono a mettere a fuoco il viso dei carcerieri.
"Abbiamo tutta la notte per conversare, la tua resistenza non salverài tuoi amici" disse pacato Woka.
In tutta risposta il ragazzo sputò per terra e tacque. L'artefice del fuoco gli assestò un altro pugno sul viso provocandogli un ematoma sanguinolento sullo zigomo. Gli prese poi il viso con una mano, affondando le dita callose nelle sue guance, si avvicinò fino a sfiorare il suo naso e affondò lo sguardo tagliente in quello dell'artefice dell'acqua il cui respiro si era fatto concitato. I suoi occhi mandavano lampi, soffiò il suo alito caldo sul viso del ragazzo e sibilò:"Non sopporto l'irriverenza" detto questo caricò con il braccio e lo colpì allo stomaco, Thomas si piegò in due per il dolore, sentì l'aria uscire dai polmoni e dolergli nella gola, nel petto, ovunque. Si costrinse inghiottire un gemito e ricacciò indietro le lacrime, la lingua annodata gli gonfiava la bocca, avvertì il sapore ferroso del sangue.
"È un vero peccato dover sciupare il bel viso di un ragazzo come te" la voce velata da un'ironia tagliente, sadica. Thomas trovò la forza di sollevare lo sguardo, si sentiva abbandonato, impaurito, per quanto avrebbe dovuto sopportare quell'umiliazione? Quanto avrebbe resistito prima di crollare? Era eroico come i suoi amici?
Jacqueline avrebbe resistito, avrebbe sopportato.
Quell'unica affermazione balenò nella sua mente, non solo lo sapeva, ne era mortalmente certo. Lei avrebbe avuto l'eroismo di subire con orgoglio, con dignità. Strinse i denti e si disse che non doveva essere da meno, anche se si sentiva debole, venne travolto dalla certezza che avrebbe dovuto lasciarsi umiliare, picchiare, deridere, in nome della loro missione, in nome dell'affetto che provava per i suoi amici, in nome di Auriah, in nome delle sue cugine, in nome di se stesso. Sollevò faticosamente i suoi occhi e alzò l'angolo della bocca in un timido sorriso compiaciuto, strafottente, una lacrima di sangue sgorgò e corse lungo il suo mento accarezzandogli il collo, calda e appiccicosa.
"Ora ti darò qualche altro motivo per non ridere " disse Woka con una smorfia di disprezzo. Il ragazzo chiuse gli occhi pronto a ricevere una raffica di colpi, avrebbe voluto darsi un tono di stoica dignità, versò lacrime e sangue incapace di frenare il pianto. L'artefice del fuoco non lesinò sulla quantità e sulla potenza dei suoi pugni, calci, ginocchiate, bastonate. Il ragazzo strinse i denti, singhiozzò, gemette, supplicò di smettere.
"Se vuoi che mi fermi non hai che da dirmi dove stavate andando" l'artefice dell'acqua, rannicchiato per terra, gocciolante di sangue, non rispose, gemette dolorosamente come un animale ferito da una tagliola. L'interrogatorio andò avanti a lungo, si percepiva come un grumo di stracci doloranti, non c'era un solo punto in tutto il corpo che non fosse stato colpito con violenza inaudita, non riusciva più a parlare senza sputare sangue, non c'era più spazio nella sua mente per pensieri lucidi, solo per flash e lampi di sofferenza. Più il tempo passava più Thomas sentiva il dolore aumentare, la coscienza svanire e la sua volontà affievolirsi
Woka gli pose nuovamente una domanda riguardante la loro missione, Thomas non ebbe la forza di fare alcunché, sentì una profonda angoscia montargli nel petto, benché da diverso tempo ormai gli fosse impossibile distinguere il dolore da tutte le altre sensazioni.
Solo quando smise di gemere e di muoversi Woka e gli altri due artefici uscirono dalla stanza, abbandonandolo a terra come un cadavere insepolto. La loro risata sardonica eccheggiò a lungo nell'aria, il ragazzo tentò di costringersi a rimanere cosciente, ma anche respirare gli costava grande fatica: doveva avere qualche costola rotta. Rimase immobile per un tempo indefinito, lottò per impedirsi di svenire e attese.
Non sapeva cosa attendere, chi aspettare, se sarebbe arrivato altro dolore o finalmente il sollievo della morte, si sentì stanco, terribilmente spossato, non aveva più voglia di resistere.
Stava per cedere al sonno che gli pervadeva lentamente le membra quando una voce riscosse i suoi pensieri.
"Svegliati!" Thomas aprì faticosamente gli occhi e vide un'ombra affacciarsi alla piccola finestra della sua cella, nel buio e nelle nebbie del dolore non fu che in grado di distinguere la silhouette snella della persona che ora era entrata dalla finestra. Avrebbe voluto chiederle chi fosse, ma fu in grado di produrre un rantolo soffocato, seguito da un colpo di tosse e da una gittata di sangue.
"Diamine, ti hanno conciato davvero male" disse la figura, la sua voce era squillante ed energica. Era più alta di Thomas, indossava un lungo mantello blu fiordaliso. Nella tenue luce della luna il ragazzo distinse una chioma folta dai bagliori bianco-indaco, lo scintillio di una lama gli fece spalancare gli occhi stanchi.
Si avvicinò a lui ed estrasse un lungo coltellaccio dalla punta rovinata , molto somigliante a una sciabola rotta. Tagliò le corde che lo stringevano e lo costrinse a inghiottire il contenuto di una boccetta, il ragazzo non ebbe la forza di opporsi benché molte domande gli annebbiasero la mente.
Il liquido prodigioso gli diede immediato vigore, si sentì rinato, ancora un po' dolorante, ma sicuramente in grado di tirarsi a sedere. Guardò la donna con fare interrogativo, aveva un bel viso tondeggiante e un incarnato pallido che faceva somigliare il suo volto a quello della luna, due grandi occhi color fiordaliso scintillavano nel buio. I suoi capelli erano ancora più lucenti di quanto non fosse riuscito a distinguere, erano tenuti fermi da un laccio scuro che le cingeva le tempie attraversandole la fronte.
"Il mio nome è Jona, sono qui per portarti fuori"
Thomas si tirò in piedi e sentì la voce di Elija dirgli:
"Thomas , non preoccuparti , io ed Henry siamo qui fuori. Lei è nostra amica "
"Taci! O ci farai scoprire" lo rimbeccò la donna con una smorfia di disprezzo.
"Jona, non è il momento di litigare" disse la voce di Henry proveniente dall'esterno. La donna aiutò Thomas a passare fuori dalla finestra della cella perchè il ragazzo non si reggeva in piedi. Aveva un odore fresco e frizzante, come di vento.
"Stai bene?" gli chiese Elija apprensivo.
"Più o meno" mormorò, l'artefice della terra lo abbracciò, felice che fosse ancora tutto intero, si fece passare il suo braccio intorno alle spalle e lo aiutò a proseguire. Gli sfiorò la guancia con la mano.
"Dovresti ringraziarli, hanno dato un tocco da cattivo ragazzo al tuo bel visino" scherzò. Thomas produsse una risatina che somigliava più all'uggiolio di un cane. Un senso di sollievo gli alleggerì il petto man mano che si allontanavano dalla prigione.
Henry e Jona correvano avanti costeggiando le mura dalla parte esterna
"Mi hanno dato più legnate di te" aggiunse ridacchiando l'artefice di terra mentre ,intorno a lui, spuntavano fiori rossi e rose bordeaux. "Rimango in ogni caso più attraente di te " rise debolmente Thomas mentre si affrettava a correre dietro a Jona e Henry.
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