Jacqueline: treccia

"V'è più pericolo negli occhi tuoi che in venti delle spade loro. Guardami con dolcezza e io sarò al sicuro da ogni nemico"

-W. Shakespeare da "Romeo e Giulietta"

Le fiamme del Cerchio baluginavano nel buio della sera gettando luci calde e morbide sulle pareti ghiacciate del palazzo. L'artefice del fuoco si alzò dalla sedia che occupava e sentì il bisogno di guardare la sorella negli occhi, si inchinò profondamente mentre altre lacrime le offuscavano la vista.
Quando avevano scoperto di essere sorelle Jacqueline ed Elsha si erano guardate a lungo osservando il viso l'una dell'altra. Era stato così difficile pensare di dover investire del ruolo di sorella una completa estranea, dopotutto si conoscevano da pochi giorni, era sconvolgente anche pensare di appartenere alla stessa madre. Elsha le aveva poi sfiorato delicatamente il viso mormorando che non poteva essere possibile, lo sguardo carico di stupore, l'artefice del fuoco aveva afferrato la sua mano carezzandola dolcemente.
Ora le due sorelle si scrutavano nuovamente incredule a causa della nuova luce attraverso cui vedevano l'altra, ognuna sentiva solo il battito del suo cuore e il sangue rombare forte nelle orecchie, quel sangue che rappresentava l'indissolubilità del loro legame.

Dopo qualche momento di esitazione si sciolsero in pianto e si abbracciarono forte, a lungo. Piangevano insieme la regina Mitre, perché avevano perduto la madre, piangevano la loro infanzia insieme, mai conosciuta, piangevano anche per la gioia di essersi ritrovate nonostante il tempo, lo spazio e le avversità. Jacqueline si fece cullare da quelle braccia e da quella meravigliosa sensazione di aver finalmente trovato qualcosa che le appartenesse : una famiglia, una terra e una casa.

Ognuno si diresse alle sue stanze per la notte e l'artefice dell'acqua si affiancò alla ragazza.
"So che ti sembrerà stupido..." cominciò Jacqueline mentre si voltava verso di lui.
"Difficile che tu dica cose stupide" disse sorridendole dolcemente.
"Vieni con me" gli disse sospirando.
Dentro di lei infuriava la tempesta. Gli indicò la porta.
Era come se fosse stata investita in pieno da un treno a tutta velocità e il treno non si fosse limitato a colpirla e schiacciarla, ma l'avesse anche strascicata per varie miglia. Trascinò la sua anima stanca dentro la camera e si sedette sul letto mentre Thomas chiudeva la porta con dolcezza.

Era morta, sua madre era irrimediabilmente morta. La madre che non avrebbe mai conosciuto, che non l'avrebbe mai consolata, non l'avrebbe mai fatta ridere. Non l'avrebbe mai abbracciata o baciata, non avrebbe potuto presentarle i suoi amici, non avrebbe potuto dirle che era perdutamente innamorata. Non avrebbe potuto fare nulla. Nulla.

Soffriva molto e questa notizia la turbava , ma si disse che era strano e difficile soffrire per qualcuno che non si è mai conosciuto.

Thomas si sedette accanto a lei sul letto.
"Ne vuoi parlare?" chiese il ragazzo accarezzandole la spalla.
"Thomas, io non capisco più nulla..." esordì Jacqueline, sentiva le lacrime salirle agli occhi.
"In pochissimo tempo ho saputo di avere una sorella, che la mia vera madre è morta e che non l'ho mai conosciuta" la sua voce era rotta in mille schegge. Si voltò dandogli le spalle, lui iniziò a disfarle la treccia con dolcezza per poi dividere i capelli in tre ciocche e rifarla.La ragazza sentì un piacevole brivido percorrerle la nuca mentre lui la sfiorava.
"Thomas, io non so nemmeno più qual è il mio vero nome..."
" Che cos'é un nome? Quella che noi chiamiamo rosa non perderebbe il suo profumo se avesse un altro nome" interruppe Thomas recitando a memoria alcuni versi.
"Romeo e Giulietta?"
"Romeo e Giulietta"
Stettero per un po' in silenzio ad ascoltare gli animali della notte, il mormorio del fiume e il frusciare dei capelli della ragazza.
"Pensavo..." esordì Thomas.
"Se tua madre era una regina, e ora lo è anche tua sorella, significa che tu sei..." esitò.
"Una principessa" concluse Jacqueline per lui. Thomas si lasciò sfuggire una breve risatina mentre si portava la mano alla bocca sfiorandosi le labbra con le dita.
"Ho baciato una principessa"

Jacqueline percepì una nota di ironia e amarezza nella sua voce. Ebbe la sensazione che non si ritenesse sufficientemente degno di lei.
Sorrise ta sé e sé: se in quel regno c'era qualcuno degno di baciarla era sicuramente lui.
"Pensa quale immenso onore" disse lei con un sorriso stanco. Si voltò verso di lui, piantò lo sguardo nelle sue iridi azzurre e lo strinse forte a sé.

Le lacrime continuarono a lottare per raggiungere i suoi occhi, lei le combatté ricacciandole indietro.
"Jacqueline..." sussurrò il ragazzo sciogliendosi da lei e prendendole il mento con due dita.
"Piangi, se lo desideri. Non c'é nulla di male nel voler piangere. Non ti farà apparire debole. Non posso neanche lontanamente immaginare cosa tu stia provando adesso, ma posso dirti che sarò al tuo fianco, qualunque cosa accada" le prese il viso con una mano e con il pollice le sfiorò la guancia.
"Io ti amo Jacqueline, perdutamente..." sentire quelle meravigliose parole uscire dalle sue labbra e girarle intorno alle orecchie come rondini intorno a un tetto la fece sentire bene. Un balsamo per il suo cuore ferito. Un porto sicuro per la sua anima squassata dai fortunali.
"Dillo di nuovo..." chiese, Jacqueline voleva essere certa di sentire quelle parole ancora e ancora. Voleva sentire di nuovo la sua voce che le diceva di amarla, voleva accertarsi che non fosse un' illusione. Pensò che da un momento all'altro sarebbe giunto qualcuno a svegliarla da quello strano sogno

E invece lo disse di nuovo: "Je t'aime, Jacqueline..." gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte. Thomas le accarezzò la schiena.
Sciogliendosi da lui appoggiò la fronte alla sua, i lori profili si sfiorarono delicatamente.
"Je t'aime Thomas" sussurrò lei. Fu il bacio più dolce che la ragazza avesse mai ricevuto, fuori dalla finestra la neve cadeva, come la prima volta che le labbra di Thomas avevano sfiorato le sue. Jacqueline sentì il profumo del ragazzo avvolgerla come un abbraccio. Canella, pioggia e nebbia si mescolavano in una fragranza che poteva avere solo il suo nome. Le dita di lui affondarono nei suoi capelli.
"Facciamo una passeggiata?" chiese il ragazzo sulle sue labbra.
"Hai visto cos'è successo all'ultimo che ha fatto una passeggiata..." rispose Jacqueline seria. Thomas rimase un po' scosso da quell'affermazione. Un sonno ristoratore calò sulle loro anime spossate.

Il sole sorrise all'orizzonte, salutò il regno di Auriah e le Terre Oltre il Fiume con i suoi luminosi raggi dorati che coloravano il cielo di rosa. Le cornacchie e i merli beccavano la neve nei campi sperando di trovare qualche seme. I viaggiatori partirono verso il deserto di Nenja mentre Elsha, la magnanima Regina delle Nevi, li salutava con un braccio alzato.
"Altezza, credete che ce la faranno?" chiese Remider al suo fianco.
"Non lo so, Remider, non lo so" una pausa.
"Ma lo spero tanto. Come hai visto il Male è riuscito a seguirli e a penetrare nel nostro pacifico regno, se non sono riuscita a proteggere i miei sudditi come posso anche solo sperare di riuscire a proteggere me stessa?" Gli occhi della Regina cercarono quelli di Remider, fu investita da un'ondata di fiducia e tenerezza.
"Non vi preoccupate, voi sarete sempre al sicuro, mia regina. Vi proteggerò fino al mio ultimo respiro" un sorriso spuntò sul viso di Elsha, Remider era mortalmente serio e lei lo sapeva.
"Ti ringrazio, non so cosa farei senza il tuo aiuto"
Remider le sorrise di rimando.
"É sempre stato mio dovere e mia volontà servirvi con devozione, altezza, ma é sempre più bello quando ciò che vi dico vi rende felice"
"Non chiamarmi altezza" mormorò Elsha cercando la mano del guerriero e stringendola.

"Muoviti, testa di rapa!" i rimproveri di Jona spezzavano il silenzio dei campi innevati. Jacqueline aveva ancora freddo, il Cerchio sulla sua testa ardeva debolmente.
"Sei tu che cammini troppo veloce, zuccherino" Elija sorrise affabile.
"Ti ho detto di non chiamarmi così!" l'artefice dell'aria gli lanciò una palla di neve ghiacciata che lo colpì sulla testa. L'uomo vestito di verde rise, alcuni fiocchi gli entrarono nel colletto facendolo rabbrividire.
"E non ridere se non vuoi che te ne lanci un'altra" anche a Jacqueline venne da ridere, quando Jona s'infuriava in quel modo era davvero divertente.
"Piantatela! Siete artefici adulti, non ragazzini!" li sgridò Henry.

I piedi dell'artefice del fuoco facevano scricchiolare la neve compatta. Il paesaggio circostante era un mescolamento delle sfumature più belle dell'arancio, del rosa, del nero e del bianco splendente della neve. I fiori che crescevano intorno all'artefice della terra contribuivano a creare un'atmosfera meravigliosa, eterea e irreale.
Jacqueline si domandò che cosa stessero facendo Remider, Elsha e Niah. Quando la Regina e l'artefice del fuoco avevano compreso die ssere imparentate Niah le aveva seguite, lei se ne era accorta e la donna l'aveva poi presa da parte.
"Jacqueline, tu sei una guerriera potente, va' da Neear, sconfiggilo, distruggilo. Vendica mio marito! Vendica la sua memoria! Vendica Auriah intero!" Le aveva detto ponendole le mani sulle spalle.
Elsha era rimasta molto stupita da un reazione del genere.
Fino a poco prima Niah aveva dichiarato che vendicare Quis non sarebbe servito a nulla. Perché quel brusco cambio di idee?
"Il sapore dolce della vendetta non mi restituirà mio marito, ma placherà il dolore e il vuoto che Quis ha lasciato in me..." aveva spiegato la donna riccia.

I cinque amici si fermarono sulle sponde di un torrente, la neve stava diventando sempre più rada e in lontananza non si scorgevano più montagne.
Si fermarono in una radura dopo aver marciato per tutta la mattina e decisero di ripartire il giorno dopo. Lo spiazzo d'erba era al limitare della foresta e davanti ad essa scorreva un fiumiciattolo limpido e fresco. Nuvole minacciose si addensavano all'orizzonte.

"Per raggiungere il deserto dovremo attraversare lo stretto di Danesh" dichiarò Henry montando le tende.
"Potremmo fare un'altra strada, perché dobbiamo passare proprio per Danesh?" obiettò Jona con una smorfia.
"Perché così saremo più vicini ad Ahir zimenia, zuccherino" rispose Elija ridendo.
"Lo zuccherino te lo metto..." a questo punto Jona menzionò orifizi e anfratti del corpo umano davvero desueti, dove nessuno si sarebbe mai aspettato di mettere dello zucchero.

Il torrente scorreva placido nel suo letto di sassi e Jacqueline sentì il desiderio di guardarsi attorno.
"Faccio una veloce ricognizione" disse inziando ad arrampicarsi su una grossa betulla, agile come un gatto. Aveva sempre amato salire sugli alberi, lì poteva rifugiarsi da tutto, poteva vedere senza essere vista. Si sentiva al sicuro tra le fronde, per questo aveva suggerito di salire sull'albero la sera in cui lei e thomas avevano i contrato gli Zimeniani e per lo stesso motivo aveva aspettato l'artefice dell'acqua su di un albero dopo la rivelazione dell'omicidio di Quis.
La betulla era, però, troppo bassa e non riusciva a vedere molto lontano. Saltò sull'albero vicino con l'agilità di una lince e si arrampicò velocemente. Jacqueline mise la testa fuori dalle fronde della pianta e si guardò intorno: alla sua destra i boschi delle le Terre Oltre il Fiume si estendevano a perdita d'occhio, davanti a lei pure. Alla sua sinistra, in lontananza, si riusciva a scorgere un sottile braccio di mare che penetrava nell'entroterra. Quello era l'impetuoso Stretto di Danesh.

L'aria era limpida quel giorno, la ragazza riuscì a vedere una piccola parte del deserto di Nenja. Doveva essere enorme. Nonostante l'atmosfera tersa, l'orizzonte alle sue spalle era affollato da nubi temporalesche della peggior specie. Jacqueline odiava l'acqua tanto quanto odiava Neear, ma amava il profumo della pioggia; era così inebriante e fresco. Senza contare che le ricordava Thomas, col suo odore di umidità e cannella. Il vento giocherellò per un attimo con le sue ciocche di capelli più leggere facendogliele danzare davanti al viso. Inspirò l'aria umida chiudendo gli occhi, il profumo del temporale entrò nelle sue narici e nei suoi polmoni.

"Hai intenzione di restare lì sopra fino a che non volerai via?" le chiese la voce scherzosa di Jona. Jacqueline la guardò mentre la aspettava sul prato e le sorrise.
"Ho pensato che fossi andata sull'albero per allontanarti un po' da quegli imbecilli, ti ho seguita perché penso che anche a me un po' di pace farebbe bene" chiuse gli occhi e lasciò che il vento sollevare i suoi capelli azzurrini.
"Ogni tanto ho bisogno di scappare. O di parlare con un'amica, dipende" entrambe sorrisero, colme di gratitudine per la presenza dell'altra.
"Sono felice che anche tu abbia deciso di partecipare alla nostra missione" aggiunse Jacqueline.
"Anche io, ed è davvero insolito perché voi mi piacete molto, è così raro che mi accada" si mordicchiò un'unghia.
"Non mi fidavo così tanto di qualcuno da molto tempo" Jacqueline le carezzò i capelli, senza temere di essere respinta.
"Significa molto per me che tu ti apra e ti mostri così ai miei occhi" l'artefice del fuoco intuiva quanto Jona detestasse mostrarsi vulnerabile perciò colse come una meravigliosa gemma quel momento si sincerità.
"Non mi sarei mai aspettato di conoscere persone come voi. In tutti i sensi..." disse l'artefice dell'aria inarcando le sopracciglia.
"Mi sembra che Elija e i suoi zuccherini non ti vadano giù"
"No, sono dei bocconi indigesti, è un pessimo pasticciere"
Le loro risa echeggiarono nel bosco silenzioso, anche in quel momento Jacqueline si sentì davvero a casa e fu felice di trovarsi in quel luogo con Jona. Il destino le aveva regalato ancora una volta una cosa per cui valeva la pena lottare, un' atmosfera che valeva la pena difendere.

"Ti tormenta perché ti trova attraente" sentenziò l'artefice del fuoco. Le fiammelle del Cerchio brillarono concordi.
L'artefice dell'aria inarcò un sopracciglio.
"Non ti schernire" un risolino fece tremolare le labbra di Jacqueline. "Quando ti parla attorno alle sue scarpe spuntano solo rose e fiordalisi..." una goccia di pioggia le bagnò il naso. Il cielo si era coperto di nuvole molto velocemente.

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