Jacqueline: Prigionia
"Chi è che ha bisogno di me?"
"Io ho bisogno di te"
-Hunger Games
Jacqueline si sedette sulla panca della sua cella e spettò che arrivasse qualcuno per un lasso di tempo che le parve infinito. Un senso di impotenza la opprimeva, sospirò profondamente nella speranza di alleviare quella sensazione, ma il muro della cella premeva duramente contro la sua schiena a ricordarle la realtà.
Si chiese preoccupata cosa stessero facendo ai suoi amici, non potevano averli uccisi, altrimenti perché fare tutto quel teatrino per imprigionarli? Anche perché, stando a quanto aveva detto Elija, ognuno di loro aveva una taglia sulla testa perciò la loro cattura valeva molto oro. Volevano qualcosa da loro, probabilmente informazioni sui ribelli o sulla loro missione. Prese in mano l'anello azzurro che Thomas le aveva dato, il gioiello riluceva nel chiarore argentato della luna e mandava bagliori azzurrini sul volto della ragazza. Jacqueline udì delle voci provenire dal corridoio antistante alla sua cella, mise l'anello in tasca e si alzò in piedi.
"Ti consiglio di non farmi arrabbiare dolcezza: Il tuo amichetto mi ha già alterato abbastanza!" le abbaiò la guardia entrando nella sua cella, afferrarono Jacqueline per il braccio e la trascinarono fuori nel corridoio buio, l'azione fu così rapida che lei non ebbe nemmeno il tempo di domandarsi chi fossero e di chi stessero parlando.
Le guardie scortarono Jacqueline fino all'esterno delle mura dove era posizionato un carro trainato da cavalli dotati di ali bianchissime e luminose, i loro zoccoli dorati rilucevano nel chiarore lunare. Il retro del carro era abbastanza ampio ed era ricoperto da un telo bianco. La ragazza venne trascinata dentro a una gabbia di ferro come se fosse stata un animale, una bestia selvaggia. Probabilmente ritenevano quella precauzione necessaria perché temevano il suo potere.
Il cocchiere che conduceva il carro fece schioccare le briglie che tenevano legati i cavalli alati. Gli animali nitrirono e si lanciarono al galoppo sfrecciando nella vallata tratteggiata da colate d'argento. Il mezzo sobbalzava spesso per le buche che incontrava nella strada sterrata. I cavalli correvano velocissimi frustati dal cocchiere e , in un battere di ciglia, il volto di Jacqueline venne illuminato dai raggi solari dell'alba che rischiarava il cielo penetrando i teli bianchi del retro del carro.
I polsi le facevano male e si sentì stanchissima, chiuse gli occhi nel tentativo di addormentarsi, sentiva il Cerchio sulla sua testa lentamente riprendere vita e la stretta dei legacci diminuire gradualmente, era come riemergere da un lungo sogno, una paralisi, a un tratto non fu più in grado di capire se stesse per mettersi a dormire o se invece quella fosse la fine di un incubo.
Jacqueline pensò ai suoi amici: chissà cosa avevano fatto ad Henry che considerava ormai un parente, il suo ruolo di guida e di sostegno in quel regno sconosciuto non era mai venuto meno e si era sempre dimostrato degno di fiducia, pensare di perdere il suo appoggio era terribile. Pensò al sorriso solare di Elija e di come avevano fatto amicizia in fretta, l'eco della sua risata allegra e della scintilla furba dei suoi occhi avevano lasciato un segno difficile da dimenticare. E Thomas? Non sapeva cosa pensare, gli mancava già terribilmente, si sorprese a sorridere pensando alle loro parole a Seita e al bacio che si erano scambiati a Keya, una dolce nostalgia sciolse le sue membra e cadde in un sonno leggero.
Verso mezzogiorno il cocchiere rallentò la sua corsa e mandò una guardia nel retro del carro per dare il pasto alla prigioniera. L'armigero entrò nel retro del mezzo e raggiunse Jacqueline porgendole una ciotola con del pane e una brocca piena d'acqua.
"Grazie" mormorò la ragazza sfregandosi gli occhi.
La guardia la guardò e parve che qualcosa nel sua animo si fosse spezzato , negli occhi azzurro cielo di quell'uomo che non doveva avere più di vent'anni era crollato qualcosa e una terribile tempesta infuriava dentro di lui. Borbottò qualcosa in risposta e se ne andò.
Probabilmente pochi erano stati così gentili con lui fino a quel momento, pensò Jacqueline. La giovane mangiò il pane e ricordò le parole di Thomas a proposito dell'anello, versò l'acqua nella ciotola vuota e ammirò il liquido trasparente. Fece un respiro profondo, mise l'anello nella ciotola e vide i suoi amici comparire sulla superficie dell'acqua avvolti da un bagliore azzurrino.
Nella ciotola Jacqueline distinse le figure di Henry e di un'altra donna che non conosceva, l'artefice dell'aria appariva sereno e camminava deciso seguendo una pista nel bosco. La ragazza al suo fianco appariva molto affascinante, parlando gesticolava e faceva ondeggiare la sua chioma bianco-azzurrina.
Elija, d'altro canto, appariva molto meno baldanzoso: esibiva un occhio nero e un labbro tagliato mentre seminava coi passi dei papaveri. Sorrise vedendo quell'immagine.
Thomas, che camminava al suo fianco quasi aggrappato all'amico, non era certo conciato meglio. Jacqueline si portò una mano alla bocca quando lo vide: il suo volto affilato era sfigurato da cicatrici e segni violacei di contusioni, camminava appoggiandosi ad Elija e contraeva il viso in smorfie di dolore a ogni passo. Sentì la rabbia montarle dentro, ripensò alla gentilezza gratuita che aveva usato con la guardia e al fatto che avrebbe potuto benissimo essere stato lui a picchiare il ragazzo.
"Thomas...mi senti?" il ragazzo non si voltò nemmeno, evidentemente non potevano parlare usando gli anelli.
Le parve di vedere Henry indugiare, forse chiedendo se desiderassero fermarsi, e poi Thomas scuotere la testa e stringere i denti. Le si strinse il cuore, ma era contenta che fossero liberi e stessero bene. Osservando la scena per qualche altro istante distinse lo sguardo di Elija guizzare continuamente verso la ragazza coi capelli azzurrini, al punto che rischiò di inciampare trascinando con sè anche Thomas. Jacqueline sorrise e tolse l'anello dalla ciotola.
Improvvisamente la guardia entrò nel retro del carro, prese la ciotola e la brocca senza lasciare a Jacqueline il tempo di finire di bere. Il pomeriggio avanzava e il sole correva sopra la sua testa, le piaceva immaginare, in un cocchio dorato simile a quello su cui stava viaggiando lei. Jacqueline amava l'astro infuocato, la presenza del sole le donava incredibile gioia e la sensazione del caldo tocco dei raggi sulla pelle la rasserenava molto. La sonnolenza e la flemma del caldo pomeriggio permisero alla sua mente di sprofondare nei ricordi.
Quando era una bambina e abitava ancora in Francia trascorreva le vacanze lungo le coste del paese, i suoi genitori possedevano una piccola casa a Marsiglia e vi andavano tutte le estati. La città della Provenza era grande e luminosa, ma non aveva molte spiagge. Jacqueline ricordò che un giorno, mentre stava andando al mercato a fare compere con la madre, aveva trovato un pescatore che rammendava le reti.
"Cosa stai facendo?" aveva chiesto.
"Sistemo le mie reti"
"E a cosa ti servono?"
" A prendere i pesci che stanno nel mare" aveva parlato pazientemente l'uomo.
"Ma, non hai paura dell' acqua? Ho sentito che voi pescatori prendete i pesci di notte: non hai paura di andare per mare al buio?" aveva domandato curiosa.
"No, perchè vedi, io porto sempre con me un piccolo sole. Uso una lampada è vero, ma dentro di me so che anche se sono al buio il sole sorgerà comunque sulla mia testa , basta solo saper essere pazienti. Il sole sorge sempre , ovunque tu sia, è una delle poche certezze che hai. Questo mondo si illumina sempre, tutte le mattine..." il pescatore aveva continuato a rammendare le sue reti.
"In che senso 'un piccolo sole'?" aveva chiesto.
"Il mio piccolo sole è questa certezza, è un motivo che mi spinge ad andare avanti , una piccola sicurezza inconfutabile che illumini l'animo nei momenti più difficili"
"E per il mare? Non hai paura di tutta quell'acqua dal sapore cattivo?" il pescatore aveva sorriso e le aveva detto.
"Il mare non è cattivo, è solo molto volubile, pensi sia cattivo solo perché lo immagini così. Io , per non avere paura, mi immagino che il mare sia una bella signora che mi canta una canzone e che indossa per me un vestito luccicante: Il suo canto sono le onde che sbattono contro la mia barca e il suo vesito è il riflesso delle stelle sul mare..." il pescatore aveva fatto una breve pausa.
"Se ci pensi le stelle sono tanti piccoli soli che ci illuminano anche di notte per non lasciarci mai soli" Jacqueline, nella sua innocenza di bambina, era perplessa.
"Ma quindi il mare è una signora?"
"Dipende da come lo immagini...Può essere un vecchio saggio dalla barba bianca come la sua spuma, un bambino o un bel ragazzo dagli occhi chiari e i capelli scuri come i suoi fondali... Scommetto che se te lo immagini così non ti fa più paura" Jacqueline lo aveva guardato non troppo convinta. Il pescatore aveva scosso la testa mormora di qualcosa riguardo ai bambini e la loro fantasia.
"Tieni questa, l'ho trovata ieri..." l'uomo le aveva regalato una conchiglia che pareva fatta d'oro, riluceva nel sole e brillava nella notte come se fosse stata capace di catturare la luce degli astri.
"Spero che ti aiuti a trovare il tuo piccolo sole..." con queste parole l'aveva salutata dopo che lei lo aveva ringraziato sorridente. Una volta tornata a casa Jacqueline aveva fatto un piccolo foro nella conchiglia e ci aveva infilato uno spago ricavandone una collana che portava tutti i giorni, come memento che il sole sorge sempre, anche nei momenti bui e che il mare non è tanta acqua cattiva e salata, ma un bellissimo ragazzo dagli occhi chiari come il cielo e i capelli scuri come gli abissi.
Un altro sobbalzo del carro la riscosse facendola emergere da quel piacevole ricordo, portò le mani legate in alto e toccò il ciondolo a forma di conchiglia che portava ancora appesa al collo, riluceva come il primo giorno che l'aveva vista e le fece pensare a quella piccola ma solida affermazione a cui aggrapparsi che le aveva regalato il pescatore marsigliese.
Si rese immediatamente conto che la descrizione del mare fatta dall'uomo poteva facilmente essere associata a Thomas e sorrise pensando a quanto potesse essere ricco di fatalità il destino.
Thomas, il suo amato mare... Non riuscì atrettenere un tenue risolino. Le piacevano da morire i suoi occhi azzurri, il suo umorismo, la sua sagacia, la sua attenzione e la sua determinazione. Non le piacevano invece la sua bassa autostima, il suo poco autocontrollo e la sua impulsività.
Il sole stava scendendo verso le montagne quando il carro frenò bruscamente. Jacqueline sentì delle urla e vide dei lampi provenire dall'esterno del mezzo, un misto di angoscia e speranza si impadronì di lei. Chi poteva essere? Chi poteva avere interesse ad aggredire un carro come quello se non i suoi amici giunti a soccorrerla? Si impose di ragionare lucidamente: avrebbero potuto essere dei banditi e in quel caso sarebbe stata completamente alla loro mercè poiché non aveva alcuna arma ed era imprigionata. I colpi della battaglia tra i suoi carcerieri e gli intrepidi sconosciuti scossero il terreno. Lampi illuminavano il cielo filtrato dal telo bianco. Jacqueline si alzò in piedi e sentì il carro tremare un'altra volta. Preoccupata cercò di aprire la gabbia nella quale si trovava ma le mani legate non le consentivano di muoversi agilmente. Vide un'ombra nera entrare nel retro del carro.
"Chi sei?" chiese con voce ferma, una voce nota rise e rispose.
"Vediamo se indovini..." il volto della ragazza si distese e le sue labbra si piegarono in un sorriso sollevato. La figura col mantello si mostrò controluce perciò Jacqueline non ne distinse il volto, si mise a scardinare la serratura della gabbia e aprì la porta. Non appena potè uscire la ragazza si gettò addosso alla sagoma, si lasciò stringere in un caldo abbraccio e poi guardò il ragazzo negli occhi.
"Grazie per essere venuti a liberarmi"
"Non c'è di che, ma cherie" rispose.
Jacqueline chiese a Thomas.
"Cosa ti è successo a Seita? " chiese seria masticando qualche imprecazione . Lui sorrise amaramente e rispose:"Metodi di interrogatorio poco ortodossi, ma Henry mi ha quasi guarito" la ragazza notò che molti dei suoi tagli erano spariti, ma le cicatrici rimanevano sul suo volto.
Jacqueline chiamò la sua arma e questa la raggiunse, come sempre, il contatto con la sua ekèndal la rassicurò. Il Cerchio di Foco avvampò e inondò i suoi capelli di fiamme.
"Sei sufficientemente inferocita?" chiese Thomas ridendo.
"Quanto basta"
"Ora hai l'occasione di dimostrarlo anche a loro" disse Thomas indicando le guardie che si stavano scontrando con Henry, Elija e la ragazza coi capelli bianco-azzurri. I due artefici uscirono dal carro e si lanciarono in battaglia. Le guardie di Seita erano poche, ma molto potenti e ben addestrate. Thomas, benché indebolito, si impegnó a restituire loro le angherie che aveva subito e Jacqueline gli dava manforte con aggressività. Ad un certo punto i fasci emessi dalle loro armi si intrecciarono imprigionando gli armigeri in una gabbia di fuoco e ghiaccio.
La battaglia rimase sospesa per qualche istante, poi le guardie presero a ribellarsi. Elija intervenne prontamente aprendo una voragine e facendoli sprofondare nel terreno. La terra si chiuse sopra di loro e la la valle tornò quieta e silenziosa.
Gli amici si scambiarono uno sguardo d'intesa e si diedero alla fuga. Una freccia emerse dalla terra, dal luogo esatto in cui la gabbia era scomparsa nel suolo e colpì un punto pericolosamente vicino all'orecchio di Jacquelie, probabilmente a opera di qualche guardia artefice della terra.
Una seconda freccia venne scagliata, uscì dalla terra e si piantò nella caviglia di Jona la quale gridò di dolore e cadde a terra. Elija corse verso di lei , le prese il polso ma, vedendo che non riusciva a camminare da sola, la prese in braccio senza troppi complimenti per inoltrarsi nella foresta. Jona gridava: "Mettimi giù! Posso andare avanti da sola!" aggiungendo a questo una buona dose di imprecazioni.
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