Jacqueline: la sconfitta delle civette

"Non siamo mai così privi di difese, come nel momento in cui amiamo"

-Sigmund Freud

Jacqueline era circondata da nemici e aveva perso di vista Thomas, domandandosi dove fosse ensentendo la preoccupazione aumentare assestò un altro colpo a uno dei nemici. Le fiamme che le circondavano la testa giunsero ad avvolgerle le spalle e le braccia. Combattè valorosamente, il fuoco la circondava e le faceva da armatura, indietreggió di qualche passo per riprendere fiato quando udì una voce femminile chiamare il suo nome. Si fermó immediatamente, pose fa sè e i nemici la lunghezza della sua arma. A chiamarla era stata una delle figure che la circondavano.

"Chi sei tu? Come conosci il mio nome?" chiese, il respiro affrettato la costrinse a sillabare quelle domande. Il guerriero davanti a lei la guardò intensamente negli occhi, i suoi compagni puntarono le loro armi contro l'artefice del fuoco. Si tolse il velo che celava alla vista il suo volto, si mostrò e disse:

"Io sono Mahal, guida e capo dei miei fratelli e sorelle: le dodici civette del deserto. Il nostro compito, Jacqueline, è quello di consegnare te e l'artefice dell'acqua a Neear, vivi" Mahal non poteva avere più di venticinque anni, lunghi capelli neri incorniciavano il viso affusolato e rotondo, gli occhi a mandorla dorati brillavano nella notte.

L'artefice del fuoco era allarmata: le serviva aiuto, cercò un modo per prendere tempo.
"Perché?"

"Non lo so e non mi interessa saperlo, non tentare di giocare con me, artefice del fuoco. Neear ci pagherà bene per questo" si inumidí le labbra carnose.
"Getta la tua arma se non vuoi vedere il sangue dell'artefice dell'acqua bagnare questa terra"
Si scostò e lasciò che Jacqueline vedesse i suoi compagni tenere Thomas in ostaggio. Quattro civette lo trattenevano avvolgendo le braccia intorno al suo corpo come viscide serpi. L'artefice dell'acqua quasi non respirava, irrigidito, ferito e coi vestiti stracciati, non poteva compiere alcun movimento. Con forza lo costrinsero a sollevare la tesa tirandogli i capelli, il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore.

Jacqueline si morse il labbro e lanciò uno sguardo colmo di odio a Mahal. La sua mente prese a correre freneticamente alla ricerca di un modo per uscire da quella situazione, ma una volta incrociato lo sguardo del capo delle civette comprese che non vi era altra soluzione se non quella di obbedire. Stava per fare come le era stato ordinato quando udì una voce disperata.
"No! Jacqueline non lo fare! Lascia che mi uccidano!"

Jacqueline guardó Thomas mentre pronunciava quelle parole, gli occhi pieni di tristezza. Gettò la sua arma e le fiamme del Cerchio ritornarono al loro posto. L'ekèndal cadde a terra con un rumore metallico e pesante, come se fosse stato fatto di piombo. Il suono dell'umiliazione era quello dell'arma gettata. Subito due civette lo raccolsero.

"Togli anche la corona di fiamme, figlia di Mitre" intimó Mahal.
L'artefice del fuoco assunse un'espressione interdetta. Consegnare il Cerchio sarebbe stato come amputarsi un braccio, era parte di lei. Temeva che privando il suo fuoco della fiamma non sarebbe rimasta che cenere.

Come se quel gesto le costasse un'estrema fatica, portò le mani al capo e strinse il Cerchio con le dita, quasi conficcando le mani nel metallo ardente. Sollevò le braccia lentamente e si tolse il Cerchio di Foco, le fiamme appena staccatesi dai suoi capelli si spensero e il Cerchio assunse la forma di una corona in metallo. Lo guardò con gli occhi che si riempivano di tristezza: stava cedendo il simbolo del suo potere, anzi, stava gettando il suo potere stesso. Non poteva sapere se, senza il Cerchio fosse capace di compiere incantesimi e dominare il fuoco, le restava solo la sua abilità di guerriera. Si rigirò la corona di rame tra le mani, mai aveva notato quanto fossero splendidi i rubini che la decoravano. Si morse un labbro mentre contemplava l'oggetto.

"Allora, Dominatrice delle fiamme? Se non ti muoverai..." non terminò la frase, ma estrasse la sciabola e tagliò a Thomas un ciuffo di capelli neri che cadde a terra senza rumore.
Consegnò a Mahal la corona con riluttanza e storse la labbra disgustata.

"NO!" gridò Thomas. L'artefice del fuoco chinò la testa, come un soldato umiliato. Si mise in guarda senza mai staccare gli occhi da Mahal chiedendosi cosa le avrebbe fatto. La civetta ordino ai comandi di liberare Thomas. Con una forza inaudita afferó Jacqueline e la spinse addosso all'artefice dell'acqua che la prese tra le braccia. Gettò su di loro una rete nera molto resistente impedendo loro la fuga. L'artefice del fuoco si voltò verso le civette e, rivolgendosi a loro, sibiló numerose maledizioni.

"Perché l'hai fatto?" Chiese l'artefice dell'acqua, gli occhi atterriti e colmi di angoscia. Jacqueline evitò il suo sguardo, versò una lacrima di rabbia, incapace di rispondere. Lui si accasció gemendo per le ferite, ma trovò la forza per sollevare un braccio e accarezzarle i capelli, Jacqueline prese la sua mano tra le sue e rivolse a Mahal uno sguardo fulminante. L'artefice del fuoco cerco di medicare le ferite del ragazzo vergognandosi profondamente di sè stessa e del gesto che aveva compiuto: la resa era così disonorevole. Si rimproveró aspramente , stava per alzare lo sguardo verso Thomas in cerca di conforto quando sentì i suoi muscoli contrarsi prima di gettarsi lateralmente.

Si chiese cosa stesse succedendo e si mise a sedere, cercò di scorgere qualcosa attraverso le maglie della rete e vide che nel punto in cui si trovava pochi istanti prima si era aperta una gigantesca voragine che aveva inghiottito le civette.

Jacqueline s'illuminò di speranza, voragini nella terra significavano presenza di Elija, e presenza di Elija significava aiuto.

Dal fondo della buca arrivarono le imprecazioni di Mahal, sibilate a denti stretti. La civetta, tuttavia, non si diede per vinta e balzò fuori dalla buca ringhiando di rabbia. Jacqueline si guardò intorno ma non vide Elija, cominciava a preoccuparsi per i suoi amici: dovevano aiutarli.

"Thomas" sussurrò. "Tu puoi ancora recuperare la tua arma, il mio ekèndal è caduto nella buca, va' ad aiutare i nostri amici"

"E ti lascio qui, sola e disarmata? Non se ne parla nemmeno" la ragazza stava per replicare quando comparve l'artefice della terra, fu come vedere il cielo rischiararsi dopo una notte tempestosa. Elija trascinava un piede sanguinante e riportava diverse ferite ma era ancora in grado di fronteggiare la nemica. Thomas stava cercando un modo per uscire dalla rete ed aiutare l'amico mentre Jacqueline tentava di richiamare la sua arma. L'ekèndal la raggiunse volteggiando tra gli echi delle grida delle civette.

Per la ragazza fu come stringere una vecchia amica; tagliò con l'ascia bipenne la rete che la imprigionava e si avvicinò di soppiatto a Mahal. Sentiva il clangore delle armi della civetta e di quelle di Elija, i loro respiri concitati e le parole sibilate.

Muovendosi con passo felino Jacqueline giunse alle spalle di Mahal proprio mentre atterrava il povero Elija pestando la sua ferita. L'artefice della terra urlò per il dolore. Jacqueline con un unico fluido gesto ferì la civetta alla gamba e la fece cadere nella buca dopo aver preso il Cerchio che la donna stringeva in una mano. Mahal, però, strinse la presa attorno alla corona e si appigliò ad essa mentre barcollava sull'orlo della voragine.

Aveva un sorriso diabolico.
"Avanti, figlia di Mitre,fallo! Tagliami le mani e gettami nel buco, così riconquisterai il potere che tanto brami" sibilò tagliente.

Jacqueline serrò la mascella e chiuse gli occhi, si concentrò sulla mano con cui stringeva il Cerchio: sentiva che l'oggetto desiderava tornare al suo posto. Ordinò alla corona di scaldarsi, la fece diventare incandescente ed i suoi occhi si riempirono dei bagliori delle fiamme. La civetta fu costretta a lasciare la presa urlando per il dolore mentre la ragazza riportava il Cerchio di Foco sulla sua testa. La corona era tornata sul capo della regina.

"Ricordami di non farti mai arrabbiare sul serio" gemette Elija mentre Jacqueline lo aiutava a rialzarsi.

Thomas si trovava a qualche metri di distanza era incapace di parlare. Balbettò qualcosa e poi l'aiutò a sorreggere l'artefice della terra.

"Sei stata straordinaria" le disse sorridendo. Jacqueline arrossì e chiese: "Elija, dov'è Jona?" l'uomo si rabbuiò immediatamente, contrasse la mascella mentre calde lacrime percorrevano il suo volto.

"Jona è...è" Thomas e Jacqueline si guardarono allarmati, accelerarono il passo tra i lamenti di Elija e raggiunsero il salone del ballo.

Tutto era stato devastato dalle dodici civette, c'erano crepe ovunque sul fine marmo arancione, le tende erano strappate e le vetrate rotte. Qua e là giacevano guerrieri feriti o uccisi. Jacqueline spostò lo sguardo sulla sala e le si gelò il sangue nelle vene: al centro, avvolta da una sottile nebbiolina era di stesa Jona, pallidissima e immersa in una pozza di sangue. I due ragazzi si pietrificarono sul posto, agghiacciati e troppo sconvolti anche solo per compiere un passo.

Elija, colto dalla disperazione, corse zoppicando e singhiozzando verso di lei. Si gettò a terra lordando il suo bel mantello verde col sangue. Urlò per il dolore e il suo grido scosse anche le viscere della terra. I fiori intorno a lui smisero di sbocciare e si seccarono all'istante. Le stelle ancora brillavano nel cielo color zaffiro.

Più volte sussurrò il suo nome mentre l'abbracciava sperando che si svegliasse e magari che gli mollasse uno schiaffo. Ma non accadde, le sfiorò il viso dolcemente piangendo. Era straziante vederlo così. Thomas e Jacqueline si guardarono con le lacrime agli occhi e si abbracciarono singhiozzando. Non potevano sopportare quella vista.

La ragazza sentì un passo leggero come un refolo di vento percorrere la sala, vide Henry e Nenja che correvano verso di loro, un fremito di speranza percorse il suo corpo: forse uno di loro avrebbe potuto aiutare Jona.

Non appena l'artefice e la ninfa sopraggiunsero, Henry guardò Jona e si portò le mani al viso, sconvolto. Jacqueline vide gli occhi di Nenja riempirsi di lacrime, tuttavia la ragazza non si perse d'animo e, imponendo le sue mani sul corpo della donna ferita, cominciò a salmodinare in una lingua sconosciuta.
Un flusso dorato e scintillante sgorgò dalle sue mani per illuminare il volto pallido di Jona e avvolgerla. Elija sollevò lo sguardo e una luce di speranza illuminò il suo volto. Dopo qualche istante Nenja smise di cantilenare e, esausta, annunciò: "L'artefice è viva" tutti esultarono e l'artefice della terra abbracciò Jona stringendola a sé, come se avesse avuto paura che qualcuno gliela strappasse dalle braccia.

La donna dai capelli azzurrini sbattè le palpebre lentamente e si pose diverse domande ritrovandosi abbracciata ad Elija, accanto ai suoi amici che festeggiavano e con una ninfa esausta di fronte. Tuttavia chiuse gli occhi e si godette la stretta dell'artefice.

Poi, ritornò in sé, iniziando a borbottare imprecazioni e ordinando al poveretto di lasciarla andare.

Jacqueline era felicissima che Jona fosse sopravvissuta e che stesse bene, non avrebbe sopportato il dolore per la perdita dell'amica sommato a tutto quello che stavano vivendo. Erano ancora intenti a festeggiare, quando Nenja parlò con una voce insolitamente profonda.
Dalle grandi vetrate in frantumi cominciò a penetrare la tenera luce dell'aurora.

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