Jacqueline: il risveglio
"Non bisogna mai esprimere desideri.
I desideri sono velenosi e hanno
un modo tutto loro di realizzarsi"
-l'occhio della luna
La prima cosa che Jacqueline percepì quando si svegliò fu la luce, il suo campo visivo venne invaso dallo splendore del giorno, ogni cosa sembrava emanare un bagliore troppo forte. Thomas l' abbracciò e si mise a piangere come una fontana.
"N-Non ti permettere più di farmi prendere uno spavento del genere" rideva e singhiozzava allo stesso tempo, Jacqueline pensò che fosse impazzito. Si crogiolò nel conforto di quell'abbraccio, doveva essere rimasta svenuta per molto tempo. Il ragazzo aveva lo stesso profumo del vento dopo la pioggia con un pizzico di cannella, era un odore frizzante e dolce.
Lei però non sapeva dove si trovassero, cos'era successo dopo il suo svenimento? Perché tutti piangevano?
"Ma cos' è successo dopo che sono svenuta?" chiese mentre Thomas la scioglieva dall' abbraccio.
"Sei quasi morta" le disse pieno di gioia mentre anche Henry , dopo un po' di tensione iniziale, andava ad abbracciarla pieno di contentezza.
Una strana sensazione si impadronì di lei, l'aver sfiorato la morte la fece sentire percorsa da un'energia vitale incontenibile.
Condussero Jacqueline alla sala da pranzo per fare colazione dopo che i dottori ebbero finito di visitarla. Il grande corridoio del castello che portava alla sala da pranzo era di pietra grigia, coloratissimi arazzi erano appesi alle pareti tra i quali si alternavano finestre dai vetri variopinti. Attraverso queste trapelavano delicate dita di luce dorata che sfioravano i loro visi. Thomas era al settimo cielo, non smise per un secondo di parlarle e di raccontarle del viaggio verso il castello. Forse, pensò Jacqueline, doveva ancora abituarsi al fatto che fosse viva.
La sala da pranzo era uno spettacolo. Tutte le pareti erano decorate da arazzi e affreschi raffiguranti gesta di eroi che sconfiggevano draghi e che salvavano villaggi. Tutti gli eroi erano avvolti in armature argentate e brandivano una spada luccicante verso il cielo.
Il soffitto blu notte era affrescato con decine di pallini bianchi luminosi collegati tra loro da un filo di seta bianco: rappresentava il cielo e le sue costellazioni di stelle.
Al centro della sala c'era un grande tavolo circolare di legno finemente intagliato, riempito con le leccornie più deliziose che si possano trovare su questo mondo. Si sedettero ed Emmha disse loro: "Prego rifocillatevi" solo allora la ragazza si accorse di essere incredibilmente affamata.
"Oh , scusami Jacqueline, non ci siamo ancora presentate: io sono Emmha, la custode del castello" disse La fanciulla alata stringendo la mano a Jacqueline. Lo sguardo della ragazza indugiò sulle sue magnifiche ali e si domandò che tipo di creatura fosse.
Terminata la colazione Henry chiese un colloquio con Emmha nell' immensa biblioteca del castello: avevano molto di cui parlare, inoltre Voleva capire come prendere il mantello dell'invisibilità di Edomen.
Thomas e Jacqueline andarono, invece, nel giardino del castello a passeggiare.
Esso era situato all'interno delle mura, ma sembrava di essere immersi nella più grande giungla tropicale del mondo: fiori coloratissimi ed enormi sbocciavano dappertutto. Il cielo era quasi oscurato dai rami che si intrecciavano, che si stringevano e che si sfioravano come mani tese.
Il giardino era percorso da un sentiero in terra battuta costeggiato da panchine di pietra. I ragazzi si sedettero su una di esse di fronte a un laghetto nel quale nuotavano dei cigni candidi come la neve e sbocciavano splendide ninfee. Nel laghetto si gettava un torrente cristallino che gorgogliava l'allegra canzone dell'acqua che scorre in eterno.
Thomas iniziò a raccontarle per l'ennesima volta del loro viaggio sull'albatros bianco e del loro arrivo al castello.
"Emmha mi aveva detto che ti avrebbe portato dentro, ma che noi ci saremmo dovuti trasformare e sono andato nel panico, avevo paura che lei ti prendesse: non mi fidavo di lei. Avevo paura che tu te ne andassi, paura perché non sapevo trasformarmi e paura perché...Perché non lo sapevo nemmeno io il perché" disse mentre quel brutto ricordo lo attanagliava.
Jacqueline provò l'impulso di proteggerlo, di rassicuralo dicendogli che lei non sarebbe morta, ma, ad Auriah (almeno di questi tempi) non si poteva assicurare nulla. Ripensando alla sua recente esperienza si accorse di non potergli nemmeno promettere di sopravvivere.
Jacqueline gli prese la mano e disse :"Ora sono qui, e sono viva"
Gli sorrise più dolcemente possibile e col pollice gli carezzò il dorso della mano.
Rimasero in silenzio per un po', si udiva solo il gorgogliare del torrente. Jacqueline si appoggiò alla sua spalla e inspirò profondamente il profumo dei fiori di quel giardino.
"Thomas, tu credi che riusciremo a prendere il mantello?" gli chiese ad un certo punto.
"Non lo so, non so niente, ho paura di non riuscire, ho paura di tutto questo e..." rispose lui con voce angosciata mentre allargava le mani in un gesto di frustrazione.
"Thomas, zitto per favore" gli disse mettendogli un dito sulle labbra.
"Non serve parlare adesso, solo ascoltare" gli diede un delicato bacio sulla guancia e inspirò il suo profumo di pioggia e cannella. Lui sorrise cercando di nascondere il rossore delle sue gote, Jacqueline lo prese per mano e lo riportò sul sentiero.
Passeggiarono un po' nel giardino, tenendosi per mano, ridendo e dicendo cose insensate, stupide e care. Arrivò l'ora di pranzo e i due tornarono al castello dove li attendevano Emmha e Henry. I due avevano un ' aria turbata. A Jacqueline sembrava di aver trascorso uno dei momenti più felici della sua esistenza. Aveva passeggiato mano nella mano con un ragazzo, in un giorno pieno di sole, in un giardino che sembrava uscito da una favola, in un regno perduto e in un angolo di mondo da tutti dimenticato.
A Jacqueline sembrò che stessero nascondendo qualcosa...Evidentemente li avevano visti così allegri che non avevano avuto il coraggio di spezzare loro il cuore con un brutta notizia,oppure avevano riportato a galla qualcosa di non troppo piacevole dei loro trascorsi.
"Venite, andiamo a pranzare , abbiamo delle cose importanti da dirvi" disse Emmha mestamente. Si sedettero in sala da pranzo e Jacqueline chiese:
"E' una brutta notizia, vero?" Henry annuì guardando la sua porzione di pollo.
"Abbiamo scoperto dove è custodito il mantello, ma temo che recuperarlo sarà difficile" disse Emmha.
"In che senso?"
"Per prenderlo bisogna superare delle prove, e noi non possiamo farlo" disse Henry con rabbia.
"Per accedere alla stanza dove si trova il mantello ci sono delle prove da superare, ma noi non possiamo affrontarle perché davanti alla stanza delle prove, che precede quella del mantello, c'è una lastra di pietra la quale dice che le prove possono essere superate solo da un giovane Lica Morpha o da artefici" concluse Emmha con una vena di rassegnazione.
"Ma, Henry, tu non sei artefice e Lica Morpha?" chiese Jacqueline titubante.
"Si, ma per il mantello non sono abbastanza giovane" rispose stizzito.
"Non permetteremo che uno di voi superi quelle prove, sono troppo pericolose" esclamò Henry intuendo i loro pensieri.
"Possiamo provarci" disse Thomas.
"Ci hai lasciato affrontare quei lupi da soli" aggiunse l'artefice dell'acqua.
"Non è la stessa cosa, questo è molto più pericoloso di un branco di Lica Morpha"
"Non potrai proteggerci per sempre, abbiamo deciso di venire qui assumendoci ogni rischio che questo avrebbe comportato, ora è venuto il momento di metterci in gioco" continuò il ragazzo con sguardo determinato.
"Ne riparleremo domani, oggi è meglio riposare" intervenne Emmha.
Finito il pranzo Jacqueline e Thomas se ne andarono nel cortile, dove Henry li istruí sulle tecniche di combattimento che avrebbero potuto adottare. Insegnò loro a difendersi, a usare la magia e a chiamare la loro arma, sarebbe stato sufficiente un piccolo richiamo e questa sarebbe corsa nel loro palmo.
Venne la sera, una dama vestita del tramonto coi capelli di nuvole rosa e arancio, gli occhi pieni di pallide e neonate stelle. Le dita di oro e le unghie d'argento, che scioglie il cuore degli amanti e indirizza gli uomini al meritato riposo. Colei che coi suoi abiti di tramonto, ogni volta diversi, strugge le menti dei poeti e regala il sonno che tutto placa.
Dopo aver abbondantemente cenato Jacqueline e Thomas decisero che dovevano parlare del giorno successivo.
"Jacqueline..." cominciò Thomas, lei lo bloccò prima che cominciasse.
"Parliamo in un luogo più riservato"
Fuori il vento ululava, i vetri della finestra iniziarono a coprirsi di delicata brina notturna.
"Che tu affronti quelle prove è decisamente fuori discussione" cominciò Thomas mettendole le mani sulle spalle, lo sguardo duro, determinato.
"Non ho certo bisogno del tuo permesso per combattere per questa causa, quando abbiamo deciso di venire qui sapevamo che avremmo corso dei rischi e io me li assumerò tutti. È quello che hai detto anche
tu" lo interruppe Jacqueline, la voce trasudava irritazione e sdegno.
"Pensi che io sia codarda? Debole?" Thomas tolse le sua mani dalle spalle della ragazza e il suo volto si dipinse di rassegnazione.
"Non penso che tu sia codarda, men che meno debole. Ho solo paura di perderti di nuovo..." Jacqueline si morse il labbro. Fuori c'era quasi buio, il gioielliere della notte stendeva i suoi diamanti luminosi sulla volta scura del cielo.
"Tiriamo a sorte: chi di noi sarà scelto dal caso dovrà affrontare le prove" propose Jacqueline, ma Thomas non era d'accordo.
"Non possiamo eludere il destino, Thomas, ciò che deve accadere accadrà e non potremo fare nulla per impedirlo, come hai detto tu, non possiamo pensare di proteggere gli altri da tutto" gli posò una mano sulla spalla e si sforzò di decifrare i suoi pensieri, nascosti dalle sue iridi azzurre.
"Immagino che debba arrendermi, convincerti a fare il contrario sarebbe impossibile" sospirò il ragazzo. Jacqueline lo abbracciò, felice che avesse compreso. Sentì il suo corpo irrigidirsi per quel contatto inaspettato e sciogliersi subito dopo, le passò una mano sulla schiena per accarezzarla dolcemente increspando il mantello della ragazza.
Jacqueline prese una moneta che aveva trovato quel giorno nel giardino, dimenticata da qualcuno.
Scintillò di speranza.
"Testa" proclamò Jacqueline. "Croce" disse Thomas
La ragazza mise la moneta sul suo palmo.
La lanciò e la riafferrò al volo. L'oggetto metallico tintinnò, il suono dell'attesa rimbombava nel loro petto e nelle loro orecchie.
La depose sul suo polso.
La moneta sentenziava inderogabilmente.
Testa.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top