Jacqueline: il Genii di Kala e altri imprevisti
"Broken girls blossom into warriors"
"Dovete assolutamente fermare Neear, la mia reggia non aveva mai subito attacchi del genere. Certo, le civette sono sempre state dei terribili predoni, ma mai avevano osato entrare a palazzo. Se non intervenite e non riportate la pace Auriah sarà devastato dal male"
Quelle parole gravi spensero l'entusiasmo di tutti e calò un silenzio pesante come la pietra. I raggi dell'alba sfiorarono il viso degli artefici, illuminando i loro occhi con la luce dorata del sole.
"Suppongo che non ci rimanga altra scelta, nonostante il re Caesaar sia morto, noi dobbiamo portare a termine la nostre missione, liberare le cugine di Thomas, vendicare i dodici saggi e riportare l'equilibrio nel regno" sentenziò Henry.
"Nenja, ti ringraziamo per la tua generosa ospitalità e ti preghiamo di aiutare i ribelli a gestire la situazione a palazzo, ora che il re è morto, Auriah è senza una guida. Le Terre Oltre il Fiume hanno già inviato un contingente di supporto nella capitale, ma se vogliamo sconfiggere l'oscurità ci serviranno altre truppe" proseguì. Jacqueline si paralizzò: non aveva mai sentito l'anziano artefice parlare in quel modo, avvertì l'imminenza della guerra e di tutto ciò che essa avrebbe comportato: dolori, sofferenze, responsabilità...
"Non temete, quando avrete bisogno di armigeri basterà inviarmi un messaggero, io allerterò mia sorella e raccoglieremo truppe da tutto il regno"
"Grazie" mormorarono tutti.
"Prima, però, dovete conquistare l'ultimo mantello dell'invisibilità" aggiunse la ninfa. Jacqueline si sentì improvvisamente amareggiata, la festa le aveva fatto dimenticare quell'importante particolare. Chi avrebbe combattuto questa volta?
Gli animi dei presenti si tesero come corde di violino e ognuno ricadde nell'abisso dei suoi pensieri.
"Andrò io" annunciò la voce sicura di Jona.
"Non se ne parla nemmeno!" risposero Jacqueline ed Elija all'unisono.
"Hai appena rischiato di morire!" esclamò l'artefice della terra mugolando per il dolore che gli provocava la ferita alla gamba.
"Un momento! Ragioniamo" disse Henry.
"Thomas è stato ferito, Elija pure e né io né Nenja possiamo svolgere le prove. Le uniche indicate sarebbero Jacqueline e Jona"
"Non permetterò che un' artefice potente come Jacqueline corra questo rischio, lei è fondamentale per determinare le sorti della guerra: la sua discendenza diretta da Mitre significa molte cose..." affermò Jona additando l'amica. L'artefice del fuoco la guardò stupita e interrogò Henry con lo sguardo. Perchè la ritenevano tutti così importante? Persino Neear desiderava che la portassero al suo cospetto viva, forse era solo una questione di abilità con la magia o di trattava semplicemente della sua discendenza, come aveva detto Jona...
Henry rispose con un cenno di assenso.
"Cosa? Henry spero che tu stia scherzando!" strepitò Elija. Jona pregò Nenja di indicarle un posto dove i feriti, probabilmente deliranti, potessero essere accompagnati per essere curati. La ninfa, ignorando le imprecazioni di Elija disse che stavano allestendo una sorta di campo di cura nell'ala nord del palazzo. Thomas salutò Jaqueline e i suoi amici mentre accompagnava, o meglio trasportava di peso, l'artefice della terra verso l'ala nord.
"Io mi oppongo!" gridava Elija imprecando.
"Dai amico, è una guerriera potente, non le succederà nulla" tentò di rassicurarlo Thomas strizzando l'occhio agli altri artefici, Jacqueline gli sorrise, tuttavia non riuscì a togliersi di dosso l'orribile sensazione di inadeguatezza che stava provando: perché l'amica avrebbe dovuto rischiare per lei di nuovo? Cos'aveva di tanto speciale?
L'artefice della terra si girò verso gli amici esclamando:"Jona se provi anche solo a farti del male giuro che ti do il resto!" l'artefice dell'aria sbuffò spazientita e chiese dove dovesse andare per affrontare quelle maledette prove, la luce dell'alba decorava tutto d'oro, rendendo il palazzo ancor più splendente e accendendo la speranza nei cuori di tutti.
Nenja si lasciò sfuggire un delicato sorriso e si addentrò nelle viscere del palazzo seguita dagli artefici rimasti.
Si diresse davanti a un bassorilievo colorato, in esso erano ritratte le tre ninfe sorelle, circondate rispettivamente da una foresta, un bosco innevato e le dolci gobbe di un deserto. Nel cielo splendeva il simbolo di una stella, o forse era un sole, Jacqueline non seppe definirlo con precisione. Sotto il simbolo era incisa una frase in una lingua sconosciuta, che Jacqueline aveva notato anche nelle stanze delle prove dei castelli di Edomen e Keya.
La ninfa sfiorò l'immagine che la ritraeva e, al suo tocco, si aprì una porta segreta.
"Che cosa vuol dire quella frase?" chiese l'artefice del fuoco. La ninfa si voltò verso di lei e disse: "Era il motto dei Guerrieri di Fiamma, una nobile stirpe di re che ha governato Auriah per un periodo abbastanza lungo, Caesaar era il loro ultimo discendente. Molti di loro erano artefici del fuoco e Lica Morpha, custodivano un grande potere magico. Poichè Caesaar non aveva avuto discendenti, desiderava che il potere e il valore dei Guerrieri di Fiamma non andassero perduti, e perciò istituì un ordine di cavalieri portanti lo stesso nome, insegnò loro i segreti della stirpe e reclutò solo artefici del fuoco molto potenti che combatterono fino alla fine per difendere gli anelli del re e i dodici saggi..."
"Ma che, a quanto pare, non ci sono riusciti..." intervenne Henry con disappunto.
"Ora i Guerrieri di Fiamma sono estinti, ma il loro motto esiste ancora, perché Caesaar voleva che diventasse l'emblema del regno. Il suo signifcato era: "Bruciare sempre, spegnersi mai""concluse Nenja.
"Come mai non ne hai parlato ai ragazzi? Quegli uomini hanno fatto molto per Auriah..." disse la ninfa con dolcezza.
"Tranne quello che avrebbero dovuto fare! Non vado fiero di quei cavalieri, non vado fiero di quel motto, pur amando la mia terra non credo che quella frase appartenga a questo posto. Auriah è un insieme di creature diverse, non di artefici del fuoco e basta! Auriah non è solo fuoco, Auriah è vita, è luce, è speranza, è armonia. Per di più i "grandi Guerrieri di Fiamma" avrebbero dovuto difenderci, ma non ne sono stati capaci e l'ultimo, vero, Guerriero di Fiamma è morto, ucciso dall'ultimo anello"
"Tuttavia, se Jacqueline discende da Mitre come mi avete detto, ciò potrebbe fare di lei l'ultima dei Guerrieri di Fiamma, avendo lei domato il Cerchio di Foco"
"Apettate un momento! Mia madre era della stirpe dei Guerrieri di Fiamma? Non veniva dai territori di Bellum, fuori Auriah? E poi, perché avete tenuto nascosto a me e Thomas il motto di Auriah? E' una cosa di cui andare fieri!" esclamò Jacqueline.
"Jacqueline, tua madre era una potente regina, ma i territori di Bellum hanno sempre fatto parte di Auriah, lei non faceva parte della stirpe dei Guerrieri di Fiamma, tuttavia l'ordine di cavalieri includeva tra le sue fila molti artefici del fuoco potenti e di nobile discendenza. Nenja intende dire che tu potresti essere una di loro, dati la tua stirpe e il tuo potere" intervenne Henry.
"In secondo luogo vi abbiamo tenuto nascosto il motto di Auriah perché pensavamo che non fosse giusto, non rappresentava l'idea che volevamo darvi di Auriah, non volevamo che ti sentissi resposabile a tal punto del regno e non volevamo che Thomas si sentisse escluso da tutto questo. Dopotutto, lui è abitante di questo regno quanto noi" disse duramente Jona. L'artefice del fuoco assentì pensierosa. Guerrieri di Fiamma. Quel nome rimbombava nella sua testa, carico di fierezza, aveva il sapore della forza, della giustizia e della speranza. Pensò che le sarebbe piaciuto essere una di loro, nonostante Henry li disprezzasse per non essere riusciti a difendere Auriah
Delle scale tortuose conducevano nel sottosuolo della reggia di Nenja, le pareti laterali erano affrescate con uno splendente colore giallo-oro. Un vano tentativo di far sembrare la scalinata meno stretta e soffocante, dissestata e identica a quelle di Edomen e Keya.
Jacqueline ripensava al motto di Auriah sulle fiamme, sentì il Cerchio dardeggiare sul suo capo e capì perché gli altri artefici non gradivano la frase: aveva il sapore dell'inferno, del calore ustionante e della schiavitù. A Jacqueline sembrava davvero di scendere nelle viscere della terra, verso l'inferno. Non sapeva, però, che per lei l'inferno doveva ancora cominciare...
Mille pensieri ronzavano nella testa di Jona, ansia e un senso di pesantezza si mescolavano nel suo petto. Doveva recuperare quel mantello, per Auriah, per vendicare le violenze consumate da Neear, per salvare più vite possibile prima che la guerra si trasformasse in un bagno di sangue, per vendicare sé stessa e tutte le ingiustizie che aveva subito e per restituire ai servi del malvagio tutte le offese dette e fatte i danni dei suoi amici.
Doveva farlo.
Jacqueline non sapeva se esistesse un modo per affrontare le prove due volte, nel caso Jona fosse stata ferita o avesse fallito, dubitava che sarebbe successo ma la preoccupazione la attanagliava.
Tentò un'ultima volta a protestare dicendo che avrebbe potuto affrontare lei le prove, ma nessuno le diede ascolto e le lanciarono uno sguardo strano, carico di aspettative.
Giunsero infine in una grande sala di pietra, in terra la solita linea bianca segnava il confine tra luce e tenebre, conosciuto e ignoto. Quali prove nascondeva l'oscurita di Nenja?
L'artefice dell'aria fece un respiro profondo, si voltò e disse: "Se non dovessi farcela, mollate un ultimo cartone ad Elija da parte mia" oltrepassò la linea.
Un' impenetrabile parete magica isolante la condannò a una momentanea separazione.
Jona estrasse lentamente il suo coltellaccio candido, lungo quasi quanto una sciabola, l'arma brillò nell'oscurità, ancora sporca del sangue delle civette.
"Avanti, vieni fuori, dove sei?" mormorò l'artefice dell'aria a denti stretti, mentre si guardava intorno. Le risposero il silenzio e il buio. Fece un passo avanti, verso le tenebre. Ancora nessun suono, nessuna luce. Alla disperata ricerca di un segnale fece comparire la sua aquila coronata. Lo splendido volatile d'argento volteggiò illuminando la grotta con la sua accecante luce bianca.
Ad un tratto si posò su qualcosa, qalcosa di enome, e Jona vide accendersi due occhi, gialli come girasoli e grandi come le ruote di un tir.
"Il- il Genii di Kala" balbettò Henry, pallido come un lenzuolo lavato con la candeggina.
Jona ebbe un attimo di esitazione, poi si gettò di lato: la creatura a cui appartenevano i due bulbi oculari emise una fiammata degna di un'eruzione vulcanica. Jacqueline, per lo spavento, fece un salto di due metri, ma vide che la fiamma non poteva raggiungerli poiché il vetro magico faceva loro da schermo. La prima prova mostrò il suo volto: un enorme Genii verde scuro con le squame screziate prese a inseguire Jona, lanciandole fiammate roventi e tentando di calpestarla; l'animale lanciò un sonoro ruggito, che scosse la reggia da cima a fondo.
Nenja si portò le mani al volto, in un'espressione sconvolta: mai avrebbe immaginato che sotto il suo palazzo si annidasse una così grande minaccia.
L'artefice dell'aria si fece inseguire per un po', con dei soffi di vento deviava le fiammate dell'animale. Ad un certo punto il Genii la spazzò via un una zampata, facendola sbattere contro il vetro, Jacqueline corse accanto a lei, pur non potendo fare nulla per aiutarla. Jona si rialzò barcollando e fissò negli occhi la creatura. Un attimo prima che il rettile emettesse la micidiale fiammata si lanciò all'attacco, ferendolo in un occhio. Il Genii ruggì terribilmente e Jona ritornò coi piedi per terra. Il drago si preparò a soffiare l'ennesima fiammata, ma Jona cominciò a vorticare chiudendo gli occhi; venne avvolta da spirali di fumo e vento freddo che, con un unico e fluido gesto spedì verso la creatura.
Il Genii piegò il muso all'indietro, irritato e con un occhio sanguinante, la bestia ruggì con ancora più veemenza spingendosi verso l'artefice.
La inseguì e, senza darle il tempo di difendersi, con un'altra zampata la fece ruzzolare più lontano. Jona si mosse debolmente, sembrava ferita.
"No!" gridò Jacqueline, vedendo che il drago si avvicinava alla sua amica con intenzioni sicuramente poco amichevoli.
Si rialzò faticosamente in piedi, tremando e fissando il drago con gli occhi lucidi per il dolore e la rabbia.
E se non ce l'avesse fatta? No, DOVEVA farcela, doveva la vita ai suoi amici e deluderli sarebbe stato imperdonabile. Fece un respiro profondo, fu come se l'aria che aveva appena respirato fosse stata fatta di puro coraggio. Si disse che doveva tentare di nuovo, per il suo regno, per il suo onore, perché lei non era vigliacca come suo padre, lei non si sarebbe allontanata dalle difficoltà come aveva fatto in passato, fuggendo. No, lei avrebbe affrontato il drago e lo avrebbe sconfitto. Con la leggerezza dell'aria e la fermezza del vento, con la forza dell'uragano e la precisione della brezza di primavera. Perché lei era questo, pura, eterea e leggera, potente, veloce e forte, esattamente come il vento. Era nata nella tempesta, col tuono nel cuore e lampi negli occhi.
Facendosi sospingere dall'aria, Jona montò sul dorso della bestia e, dopo un po' di acrobazie infilzò l'arma nel collo del drago. Quest'ultimo lanciò un ruggito terribile, ben più potente dei precedenti, che scosse le pareti della sala. Gli artefici guardavano Jona col fiato sospeso. Lei, a cavalcioni sul collo del drago, estrasse la spada sporca di sangue per poi piantarla nuovamente nella carne del Genii. La creatura emise un'ultima fiammata, poi cadde fragorosamente a terra.
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