Jacqueline: i Syan
"E alla fine, siamo solo umani, ubriachi dell'idea che l'amore, solo l'amore, possa guarire il nostro tormento"
-Anonimo
Jacqueline ammirò la costa verdeggiante. Il regno dei Syan pareva un paradiso: sabbia finissima e candida, foreste lussureggianti colme di fiori e di frutti.
Tuttavia, avvicinandosi sempre di più alla costa, si rese conto che non tutto era così idilliaco come sembrava. Le piante erano prossime a marcire e, nonostante la temperatura, sembrava che ci fosse troppo freddo per un luogo caraibico come quello. Gli scogli e il mare stesso erano tristi e grigi, come svuotati di vita. L'aria, il cielo e la terra erano intrisi di una sconsolata malinconia. Gli uomini e le donne sulla spiaggia avevano uno sguardo deluso e rassegnato, come se si stessero preparando a perdere l'ennesima battaglia. Non appena videro gli animali luminosi scendere sulla battigia li guardarono stupiti e si dissero qualcosa in una lingua sconosciuta. I cinque artefici pagarono Naian il quale diede loro una scialuppa per arrivare sino alla costa. Non appena furono scesi dall' Omnia, il pescatore di Danesh, levò l'ancorà e ripartì verso la città.
Gli artefici scesero dalla scialuppa e andarono incontro ai Syan.
"Veniamo in pace, potenti Syan" decretò Henry. Venne verso di loro quello che sembrava essere il capo degli indigeni. Era un uomo anziano, col volto ricamato dalle rughe. Indossava un mantello di pelliccia e, nonostante il clima, non sembrava soffrire per il caldo. Portava un gonnellino fatto di foglie secche intrecciate con piume che, un tempo, dovevano aver avuto colori sfavillanti. Sulla testa portava un copricapo di foglie di palma e di penne d'uccello, tutto il suo torso, nudo, era costellato di tatuaggi neri che s'intrecciavano lungo le braccia e il petto.
"Lo sappiamo, stranieri, anche se non veniste da noi in pace non ci sarebbe comunque nulla da razziare" cominciò il capo dei Syan, aveva una voce roca e bassa.
"Cosa vi è accaduto?" chiese Jona.
"Neear e i suoi seguaci hanno portato l'inverno su questa terra, hanno distrutto tutto. Rapito innumerevoli persone, ucciso guerrieri potenti e rubato tutto ciò che poteva essere rubato" Jacqueline si rattristò nel sentire quelle parole.
"Ci dispiace molto..." fu tutto quello che riuscì a dire, ma erano parole vuote, un'accozzaglia di sillabe. Non riuscì a esprimere tutto il dolore che provava, sperò che il suo sguardo ci riuscisse. Stringeva il cuore vedere i segni della barbarie, in lontananza si scorgevano ruderi di capanne bruciate, palizzate divelte e alberi abbattuti da una violenza inaudita. La devastazione abitava quel luogo.
"Siete comunque i benvenuti nella nostra terra, io sono Temur, sciamano e capo del popolo Syan" il vecchio sorrise e tese loro la mano, Henry la strinse e sorrise a sua volta. "Vogliamo attraversare il tuo regno, saggio Temur, ci daresti delle guide del tuo popolo che possano condurci sino ai confini di questa terra nel deserto di Nenja?"
"Certamente, ma dovete sapere che questa sponda dello stretto di Danesh è impregnata di magia fino all'ultimo granello di polvere. Prima di attraversarla occorre proteggere la vostra anima dagli incantesimi oscuri di Neear. Gli spiriti della foresta, come tutti quelli di Auriah sono stati negativamente influenzati dalla sua presenza. Se resterete con noi questa notte ad assistere ai nostri riti della sera potrete attraversare questo regno senza pericoli..."
"Abbiamo molta fretta, è davvero necessario?" chiese Jona. "Assolutamente sì, gli ultimi che hanno camminato su questa suolo senza proteggere l'anima ora sono un metro sotto di noi" intervenne una voce squillante.
"Lei è mia figlia Oto, dovete scusarla: non è abituata a ricevere stranieri" aggiunse Temur. Oto era una ragazza di circa diciassette anni, muscolosa e snella. Indossava una fascia che le copriva il torso fin sopra l'ombelico. Alla vita portava una lunga gonna di pelliccia con degli spacchi laterali che lasciavano intravedere dei pantaloni in pelle. I suoi capelli erano di uno strano colore grigiastro con delle ciocche rosso vivo. Aveva i lati della testa rasati e un ciuffo le ricadeva sulla guancia dalla sommità del capo. Anch'ella aveva il corpo ricamato da tatuaggi neri che s'intrecciavano sul suo addome scoperto. Elija e Thomas si guardarono, Jona scoccò loro un' occhiata di fuoco.
"Nessun problema, Temur, assisteremo ai vostri riti della sera" convenne Henry.
"Oh, ma non bisogna solo assistere, è necessario anche partecipare..." sul volto di Oto sbucò un ghigno benevolo.
"Ora basta, Oto, non essere irriverente" la rimproverò Temur.
"Ma, ditemi, gentili stranieri, cosa vi porta a recarvi nel deserto di Nenja? Con tutta questa magia oscura in giro non è certo il luogo più sicuro di Auriah" domandò l'anziano sciamano. "So che con te è inutile mentire, saggio Temur, ti dirò la verità: siamo cinque artefici abitanti di Auriah: veniamo dalle montagne di Settentrione, nei pressi di Edomen. Abbiamo iniziato a peregrinare per il regno con uno scopo ben preciso: vogliamo sconfiggere il malvagio Neear e salvare il sovrano Caesaar..." Oto non lo lasciò finire la frase: "Allora la vostra missione è parzialmente fallita!" suo padre la fulminò con lo sguardo.
"E perchè?" chiese Jona la quale non poteva sopportare la vista di quella ragazza impertinente.
"Ma come? Non avete saputo? Il re Caesaar è morto ieri: l'ultimo anello è stato distrutto da Neear ed ora Auriah è senza un sovrano!"
"Oto, vattene! Sai che non sopporto questa tua indelicatezza!" disse Temur, la voce vibrante di autoritá, la ragazza se ne andò saltellando come se nulla fosse accaduto.
"Dovete scusarmi, lei è fatta così..." cominciò lo sciamano.
"M-ma quello che ha detto è vero? Caesaar è veramente morto?" domandò Henry con voce tremante. Per la prima volta l'artefice del fuoco vide qualcosa spezzarsi nel suo sguardo.
"Ahimè, sì" per Jacqueline fu come se si fosse aperta una voragine sotto i suoi piedi, si sentì svuotata, derubata. Non aveva mai conosciuto il re Caesaar, ma loro avevano fatto tutta quella strada, superato tutte quelle prove, perchè speravano di poter restituire ad Auriah il re saggio che aveva avuto...
Una pesante sensazione di impotenza le pervase le membra, si sentiva improvvisamente così stanca.
Vide lo stupore e la tristezza comparire sui volti dei compagni: Henry si portò una mano alla fronte e cominiò a balbettare cose prive di senso. Il volto di Jona era una maschera di pietra.
Elija, rimasto interdetto, tentava di anascondere il tremolio delle labbra. Troppo scioccato per muovere un solo muscolo. Per diversi minuti i fiori smisero di sbocciare ai suoi piedi.
Tutti si sentivano così profondamente svuotati, delusi, angosciati. La missione non era ancora completamente fallita, una speranza c'era ancora, ma Auriah era rimasto senza una guida, come una nave senza nocchiero in una grande tempesta.
"Ed ora? Chi amministra il regno?" chiese Thomas.
"I ribelli hanno assunto il controllo del palazzo ma, purtroppo, gli emissari di Neear persistono nella capitale nonostante la ribellione cerchi di ostacolarli. Se la situazione non si evolverà, temo che ai ribelli toccherà capitolare e sottometersi al malvagio: non si può sconfiggere un male così potente" concluse Temur melanconicamente.
Il sole volgeva a occidente quando Jacqueline iniziò a camminare verso la spiaggia, i suoi piedi scalzi sfioravano la sabbia che andava raffreddandosi. Tutto il popolo Syan era riunito davanti al fuoco per la cena, ma lei non aveva fame. Desiderava solamente correre e sfogare la sua frustrazione. Il Cerchio di Foco lanciava vampate color zucca dalla sommità del suo capo, sentì nuovamente le lacrime della rabbia appannarle la vista e trafiggerle gli occhi. Si lanciò in una corsa verso il mare, i suoi polmoni erano scossi dai singhiozzi. Scaglie di sole luccicanti illuminavano la spiaggia e le onde s'infrangevano dolcemente contro gli scogli. I gabbiani lanciavano il loro triste lamento volteggiando nel cielo limpido. Desidero poter fare lo stesso, volare via assieme a loro, librarsi nella volta celeste insanguinata dal bagliore rossastro del tramonto. Mentre si avvicinava alla battigia Jacqueline distinse una figura: Thomas, intento a lanciare dei sassolini nell'acqua cercando di farli rimbalzare sulla superficie del mare, l'acqua che gli lambiva le caviglie.
L'artefice del fuoco si avvicinò silenziosamente poggiando solo le punte dei piedi sulla sabbia per non fare rumore. Come un felino che si acquatta prima di saltare addosso alla preda stette lì, in silenzio, a osservare il ragazzo che cercava di scagliare lontano la sua rabbia. Avrebbe odiato interrompere in momento così intenso.
Thomas si voltò di scatto e la guardò intensamente negli occhi, probabilmente aveva percepito la sua presenza. Gli tremavano le labbra ed era sull'orlo delle lacrime. I due artefici non potevano veramente dirsi in lutto per la morte del re, tuttavia la sua scomparsa significava vedere le loro speranze venire distrutte. La sensazione di aver attraversato l'inferno per un pugno di polvere li riempiva di rabbia.
"Senti, so che cosa provi, anch'io sono frustrata. Ma abbiamo ancora una speranza, non tutto è perduto..." disse Jacqueline parlando più a se stessa che all'artefice dell'acqua. Lui sospirò e si avvicinò a lei.
"Hai ragione, tuttavia le parole di Oto sono per me come un chiodo piantato nella fronte" la voce del ragazzo era atona e triste. L'artefice del fuoco gli posò una mano sulla spalla e, col pollice, asciugò una lacrima dalla sua guancia.
"Non pensarci, ho la sensazione che siamo solo a metà strada e che la parte difficile debba ancora arrivare" quelle parole le sembrarono le più inutili dell'universo.
"Sembra un pensiero confortante" sorrise amaramente Thomas mettendole un braccio intorno alla vita
"Comunque, hai ragione anche su questo. Mi viene da pensare che fino ad sia stata una passeggiata. Voglio dire, affrontare una Chimarahy e delle lucciole assassine, domare una creazione magica millenaria, conquistare dei mantelli che nessuno era mai riuscito nemmeno a vedere, sconfiggere una dozzina di Zimeniani tutti assieme, liberarsi dalle prigioni di una città fortificata, combattere un artefice del fuoco potente come Woka e uccidere delle sirene di montagna sembrano delle sciocchezze in confronto a quello che ci aspetta..." continuò.
"Sembra confortante" esclamò Jacqueline ed entrambi risero. Forse non era una battuta molto brillante, ma avevano bisogno di qualcosa che facesse tornare loro il sorriso.
Il sole tramontò ad occidente e restarono a guardarlo scivolare silenziosamente sotto la linea dell'orizzonte. Il Cerchio di Foco ardeva placidamente, Jacqueline si sentì molto più serena. Thomas le diede un bacio sulla guancia e le sussurrò dolcemente che forse era giunto il momento di raggiungere gli altri.
"Non possiamo aspettare ancora qualche istante?" chiese la ragazza sorridendo e appoggiando la testa sulla sua spalla.
"Assolutamente no!" la voce squillante di Oto li riportò alla realtà.
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