Jacqueline: Elija
E il sole disse alla luna: "facciamo un patto, io ti penso e tu mi sogni"
-anonimo
Nel regno di Auriah i sonni non sono mai tranquilli, eccetto quando la mente e il cuore tacciono perchè in presenza di qualcuno che si ama. Jacqueline, si addormentò e dormì , per la prima volta da quando dormiva ad Auriah, un lungo sonno senza sogni. Privo di qualsiasi fonte di paura o di inquietudine.
La mattina dopo si svegliò sentendo il caldo respiro di Thomas che le accarezzava il collo. Jacqueline si girò sul fianco e , appoggiandosi al gomito, cominciò ad sfiorare dolcemente i lineamenti del ragazzo. Si prese del tempo per contemplarlo come si fa con un'opera d'arte, per coglierne tutte le sfumature, i dettagli.
Aveva un viso angelico e perfetto, le labbra rosso lampone e gli zigomi arrossati erano l'unica traccia di colore sul suo volto pallido, i suoi capelli erano più mossi che mai, un vortice di conturbanti ricci neri. Le palpebre chiuse e il sorriso sereno gli conferivano un'aria quasi irreale.
"Ho fame" mugugnò Thomas quando si svegliò controvoglia. "Anch'io , è meglio se ci sbrighiamo"
Salutò Thomas ed entrò nella sua stanza per vestirsi.
"Ehm..." tossicchiò il suo riflesso.
"Non mi piace per nulla come ti stai lasciando andare, mia cara" Jacqueline percepì una nota seccata nella voce della ragazza nello specchio.
"Senti , mia cara, sono libera di fare ciò che voglio, rispondo solo io delle mie azioni" le rispose Jacqueline piccata. Si raccolse i capelli spettinati nella solita treccia e corse a chiamare Thomas che stava già urlando contro il suo riflesso nello specchio.
Era una conversazione fatta di parole taglienti come lame, parole che ferivano. Il riflesso accusava Thomas di un milione di cose: debolezza, vigliaccheria, ambiguità. L'artefice dell'acqua rispondeva a tono e si tratteneva dal prendere a pugni lo specchio. 'O dal prendere a pugni sé stesso' pensò Jacqueline.
Quegli oggetti, gli specchi, li mettevano quotidianamente a confronto con loro stessi, coi loro pensieri più reconditi e oscuri. Servivano a fronteggiare le proprie tenebre, ma a Thomas l'ombra aveva sempre fatto paura. La ragazza si accorse che l'artefice dell'acqua non si sforzava di arrivare a un dialogo, rispondeva e basta, insultando il riflesso. Certo non doveva essere facile quando l'interlocutore cominciava le conversazioni con degli insulti...Non potendo sopportare oltre lo scambio di indecorose battute Jacqueline decise di effettuare un colpo di mano. Entrò nella stanza, prese Thomas per il braccio e lo trascinò fuori dalla tenda.
I capelli di Jacqueline , che si erano infiammati di colpo , rischiavano di dare fuoco alle foglie secche del bosco.
"Che ti prende?" Le chiese Thomas stupito.
"Non devi permettere più al riflesso di parlarti così " esclamò mentre le fiamme si espandevano sulle sue spalle. "Non mi interessa quello che dice quel riflesso, è solo un incantesimo" rispose lui.
"Quel riflesso è la nostra ombra, serve al confronto e all'abbattimento dell'oscurità dentro di noi. Non puoi rispondere al fuoco col fuoco. Se lui sputa insulti devi metterlo a tacere con l'astuzia, non rispondendo a tono"
"Io sono diverso da te" rispose il ragazzo, anche questo era vero.
"Comunque dovresti farti valere in un'altra maniera, in quel modo non arriverai da nessuna parte e sarà sempre peggio" affermò convinta.
"Lo sai che sei bellissima quando ti arrabbi?"
Jacqueline sbuffò e volse lo sguardo altrove:" lo dicevo per il tuo bene" quel ragazzo era davvero incorreggibile.
Improvvisamente un lampo nero passò in mezzo a loro, non ebbero nemmeno il tempo di capire di cosa si trattasse. Con un sibilo una piccola ascia bipenne volteggiò e si conficcò a terra nello spazio tra i due ragazzi. A Jacqueline si gelò il sangue nelle vene, pensando che si trattasse di Zimeniani si mise in allerta.
"Chiedo perdono, non volevo interrompere alcunché" disse una voce imbarazzata che veniva dal folto del bosco.
"Chi sei?" chiese Jacqueline con sguardo vigile.
Un ragazzo sulla ventina emerse dal bosco rosso d'autunno mentre Henry sopraggiungeva. Il giovane sfoggiava uno sfavillante sorriso, denti bianchi come mandorle aprivano uno squarcio bianco sulla sua pelle color ambra. I capelli corti e castani culminavano sulla testa in un indomabile ciuffo riccio. Aveva due occhi verdissimi dal delicato taglio orientale, una barba corta e curata gli incorniciava il viso allegro. Nel suo aspetto non era presente nessun dettaglio minaccioso oltre alle due asce bipenni nere che teneva in mano.
Ai suoi piedi fiori di ogni genere crescevano circondandolo e conferendogli un'aura strana, onirica. Non appena muoveva un passo dietro di lui spuntava una scia di erba fresca o fiori colorati. I ragazzi lo guardarono stupiti, non sapevano come comportarsi davanti a un personaggio del genere. Non avevano idea di che creatura fosse, era un artefice? Un Lica Morpha?
"Piacere, io mi chiamo Elija. Sono un artefice della terra" disse tendendo loro la mano, poi vide Henry arrivare e il suo volto si aprì in un sorriso ancora più ampio.
"Henry, sei tornato!" Anche l'artefice dell'aria si lasciò andare in un sorriso e abbracció teneramente l'amico.
Hemry spiegò ai due giovani artefici che lui ed Elija si conoscevano da parecchio tempo.
"Gira sempre in cerca di guai, lo conosco da quando era alto così, Elija loro sono Jacqueline: artefice del fuoco..." Disse indicando la ragazza.
"Salve " sollevó la mano in segno di saluto. Lo sguardo di Elija si soffermò qualche secondo sul viso di Jacqueline e scrutò i suoi occhi in profondità senza smattere di sorridere.
"E lui è Thomas : artefice dell'acqua" anche lui sollevò la mano e mormorò un saluto.
Quando i loro sguardi si incrociarono Elija non riuscì a trattenere una punta di imbarazzo: sentiva di aver interrotto qualcosa tra lui e l'artefice del fuoco e si sentiva dispiaciuto.
Henry, per rompere quel silenzio pesante, invitò Elija a colazione. Insieme si avviarono verso la tenda facendo conoscenza e lasciandosi alle spalle una scia di erba tenera, l'artefice della terra era molto simpatico e solare. Si rivelò essere una persona estremamente genuina, altruista e astuta.
Mentre mangiavano Jacqueline chiese a Elija dove vivesse.
Egli rispose :"Beh, diciamo che vivo nel bosco, ma scendo dalla montagna numerose volte per recarmi in città..."
"Qui c'è una città?" chiese stupita.
"Henry, pensavo che avessi insegnato un po' di geografia a questi ragazzi. Comunque sì , la città esiste e si chiama Seita" disse sorridendo, un luccichio animó i suoi occhi verdi.
"Si istruiranno strada facendo, sto andando di fretta a Nenja" rispose il l'artefice di aria.
"Per via del mantello?"
"Come fai a saperlo?" chiese Thomas guardingo.
"Ho le mie fonti, ma non vi preoccupate, so essere discreto. Inoltre a Seita siete ricercati dagli zimeniani con una bella taglia sulla testa"
Elija bevve un sorso d'acqua mentre gli altri tre artefici si scambiavano sguardi confusi e allarmati.
"Soprattutto sulla nostra artefice del fuoco" disse indicando Jacqueline. Lei sentì Thomas che le stringeva la mano da sotto il tavolo con fare protettivo, le fiammelle sul suo capo guizzarono.
"Su di me?" domandò lei perplessa.
"Precisamente ,come mai state cercando il mantello di Nenja? Credevo fosse andato perduto per sempre" chiese, i suoi occhi verdi scintillarono.
"Anche se tu sei sempre stato diffidente nei loro confronti e piuttosto individualista, i ribelli hanno avuto una buona idea" cominció Henry.
"Sarebbe la prima volta" interruppe Elija continuando a sorseggiare la sua bevanda.
"Mi hanno inviato in missione a sconfiggere Neear e a liberare le cugine di questi ragazzi che sono state prese in ostaggio. Per entrare ad Ahir Zimenia abbiamo bisogno dei Mantelli e li stiamo recuperando. Quello di Nenja è l'ultimo" chiarì Henry ignorando il commento dell'artefice della terra.
"Insomma sei proprio in un bel pasticcio, dopotutto ho sempre sostenuto che i ribelli fossero troppo avventati. Henry, ho sempre ammirato la tua saggezza e il tuo coraggio, ma questa è una missione suicida" rispose l'artefice della terra. Inarcò le sopracciglia e borbottò qualcosa che sentì solo Henry.
"Elija, non vedi come è stata ridotta la nostra terra senza che noi potessimo fare nulla? Seita, che una volta era una città prospera, è diventata pericolosa e inaffidabile, abbiamo assistito impotenti al crollo della nostra monarchia e alla resurrezione delle tenebre. Persino sulla tua solitaria montagna si avvertono i danni di questo regno dell'oscurità..." Elija abbassò il suo sguardo verde remissivamente e si mordicchiò il labbro con fare pensieroso.
"Per quanto sia disperata, suicida, come l'hai definita tu, la nostra missione è l'ultima speranza dei ribelli di infiltrarsi nella reggia nera e sconfiggere Neear" i ragazzi si scambiarono uno sguardo preoccupato, l'importanza del loro viaggio era davvero enorme, il destino del regno giaceva nelle loro mani.
L'artefice della terra sospirò e, dopo una lunga pausa di riflessione, decretò che si sarebbe aggregato a loro, la sua ironica giustificazione fu che doveva dimostrare ai ribelli come una missione suicida poteva trasformarsi in un trionfo assoluto.
"Verresti con noi solo per questo?" chiese Thomas sospettoso.
"No, artefice del fuoco, Henry mi ha aperto gli occhi, come ha sempre fatto. Auriah è ormai devastato dalla prepotenza di Neear e se non facciamo qualcosa presto tutto sarà perduto. E' vero, persino sulla mia pacifica montagna gli zimeniani minacciano di piantare le loro basi militari, se ne vedono ovunque di questi tempi, arruolano artefici e chiunque voglia seguire Neear. Pertanto, se mi accetterete, verrò con voi ad Ahir Zimenia"
L'anziano artefice sorrise all'amico e lo abbracciò con le lacrime agli occhi.
"Sapevo che non eri solo un brigante, hai un cuore grande Elija, questa terra ti sarà grata per sempre" disse sommessamente.
"E poi mi sono stancato di operare in solitudine, un bel lavoro di squadra è quello di cui abbiamo bisogno per uscire da questa nera situazione, vi guiderò attraverso Seita e verrò con voi a Nenja"
Travolti dal suo entusiasmo i due ragazzi insignirono l'artefice della terra del titolo di loro complice, erano contenti di fare qualche altra amicizia e di vedere qualche altra persona buona in tutta quella desolazione.
Jacqueline chiese se fosse proprio necessario attraversare la città, Elija rispose che non avevano moltissima scelta: i boschi erano pattugliati dagli Zimeninani che avevano anche preso il controllo di Seita la quale copriva tutta la valle.
"Bene, allora dobbiamo partire subito se vogliamo essere a metà percorso prima di sera" Henry richiamò le tende, presero le armi e si avviarono per il bosco ancora avvolto nella foschia, mentre Jacqueline richiamava la sua alabarda ramata sentì Elija che diceva :"Sarebbe meglio che voi indossaste questi per entrare in città" ed estrasse dalla sua bisaccia tre mantelli scuri con grandi cappucci.
"Li metteremo quando avvisteremo Seita " continuò mentre ai suoi piedi crescevano delle coloratissime peonie.
Si misero a camminare in mezzo al bosco, Henry e Elija che aprivano la strada scherzando allegramente e ricordando i bei tempi andati in cui regnava la pace. Le loro voci festose riempivano la foresta, dietro di loro una scia di peonie ed erba faceva sì che venissero seguiti senza difficoltà.
Thomas e Jacqueline camminavano dietro di loro aiutandosi con le loro armi, l'ekèndal brillava di rosso nel folto degli alberi mentre l'Aiglos luccicava di argento.
Thomas fermò la ragazza per alcuni secondi dicendo.
"Ascolta" lei tese l'orecchio e udì un battito ritmico molto veloce somigliante a un applauso.
"Viene da destra" disse il ragazzo indicando un punto nel folto degli alberi.
"C'è un picchio che batte il becco sul tronco di un albero " notò lei vedendo l'uccello.
"Non riesco a vederlo, ma lo sento"rispose Thomas.
"Sai, mio padre diceva sempre che i picchio fanno il nido nel cavo degli alberi quando sono innamorati perché non sanno più dove sbattere la testa" raccontò Jacqueline. Non aveva idea del perché le fosse improvvisamente tornata in mente quell'informazione.
Si sarebbe aspettata un commento di qualche tipo da parte del ragazzo, ma lui si limitò a sfiorarle la mano e a proseguire silenziosamente.
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