PROLOGO

0 - LE BESTIE AL MACELLO
Il Punto di Non Ritorno. Era così che Campo Undici veniva chiamato da chi aveva vissuto lì abbastanza a lungo da capire come andavano le cose.

Ago fu il primo a notarlo e gli mancò il fiato. Come se fosse stato lì ad aspettarlo da sempre, il muro si stagliò all'orizzonte imponente e minaccioso, immobile anche quello al pari del deserto. Mano a mano che si avvicinavano, la tranquillità delle dune lasciò il posto a un fremito di angoscia unanime che fece sentire ad Ago un gran bisogno di correre in bagno.

Ma non ve n'erano, nel vagone numero sette. Dopo qualche ora dall'inizio di quell'interminabile viaggio, le altre persone avevano preso a fare i loro bisogni un po' dove capitava, davanti a tutti gli altri. Ago si era indignato perché sapeva benissimo che era una cosa sbagliata. Voleva lamentarsene con il padre, ma le parole gli erano morte in gola: con un sussulto, aveva notato una vergognosa chiazza proprio ai piedi dell'uomo che gli aveva insegnato l'importanza delle buone maniere. Come era potuto succedere? Inizialmente aveva pensato ad uno sbaglio poi, mentre distoglieva rapidamente gli occhi dall'orlo dei pantaloni che gocciolava sul suolo lurido, il terrore l'aveva travolto. Aveva indagato furtivamente il volto del papà, ma vi aveva trovato solo il solito sguardo impassibile e fiero, fisso sul muro. Da quel momento, non aveva più avuto il coraggio di fare niente, neanche di pensare.

Ago e il padre varcarono l'enorme cancello di ferro mano nella mano, gli occhi del bambino puntati al cielo, quelli dell'adulto dritti sulla folla. Percorsero a piedi un largo vialone, circondati da così tanta gente che riuscì a vedere solo tre cose: le gambe delle persone davanti a lui, le braccia delle persone ai suoi lati e il cielo, di un azzurro che quasi faceva male agli occhi, puntinato di strani batuffoli che calamitarono la sua attenzione.
"Papà! Cosa sono quelli?" chiese di getto, tirando leggermente la mano stretta nella sua. Nel silenzio tombale che gravava sul cortile, rotto solo dai tonfi sordi dei passi sulla sabbia, Ago dovette richiamare l'attenzione del padre altre due o tre volte, prima di ottenere una risposta.
"Ti ricordi - sospirò infine l'uomo, senza mai guardarlo - le favole della mamma? Quella è la neve".
Aspettò che la sorpresa arrivasse, come credeva che sarebbe successo quando finalmente avesse visto la neve, ma tutto ciò che ottenne fu una sensazione di disagio. Suonavano strane, le parole del papà. A quell'epoca, Ago ancora ricordava bene i racconti della mamma: era freddo, quando cadeva la neve; era talmente freddo che, quando toccava terra, si accumulava fino a formare un'incredibile distesa bianca e lucente, fatta di soffice innocenza e misteri invitanti. Invece, ad Ardesia era sempre caldo, così tanto che anche i sassi si sarebbero sciolti volentieri. Certo, la mamma ripeteva sempre che quelle erano fantasie, che avrebbe dovuto ricordarselo e che non avrebbe mai dovuto farne parola con nessuno "...perché in questo mondo anche le fantasie sono pericolose, mio dolce ababa". Anche se erano solo racconti, Ago si era fatto una precisa idea di come doveva essere la neve e quella di certo non lo era.

Qualcuno davanti a lui doveva essersi fermato perché per poco non andò a sbattere contro le gambe di chi lo precedeva. Il padre lo tirò più vicino a se, ma il conforto che provò in quell'istante durò ben poco: presto, infatti, si rese conto che quella era una gigantesca fila e, arricciando il labbro con un pizzico di insoddisfazione, si mise in posizione di paziente attesa.

Concentrato su ciò che lo avrebbe atteso durante quell'insolita giornata, Ago per sua fortuna non notò nulla di quanto stava accadendo oltre la massa di persone che lo circondavano. Dopotutto era stato proprio il suo papà a dirgli che sarebbero andati a lavoro insieme, non c'era ragione di dubitarne.
"La marcia dei morti!" salutò con disprezzo un soldato. Ai lati della fila, due lunghe sfilze di uomini in divisa accompagnavano, coi loro grugni, quella che era conosciuta come la Marcia dei Morti. Erano vestiti di nero, con pesanti stivaloni ai piedi ed una sfavillante spilla sul petto. Un grosso serpente arrotolato su se stesso a formare due ampi otto, con le orrende fauci spalancate rivolte verso l'alto.
"Scommetto che il primo sarà proprio questo!". Con un guizzo nell'aria, il calcio di un fucile si abbatté sulla tibia di un giovane.
"O tutto il tuo oro o questa bellezza". Sul lato destro della folla, un gruppo di persone rallentò, per osservare la scena. Il militare fece brillare un sorriso viscido e pieno di denti ingialliti dall'Erba Barba.
"Non ho oro" rispose l'uomo, tirandosi la figlia dietro la schiena, il più lontano possibile dalle mani sudice.
"Esatto!". Il soldato arpionò l'aria in modo convulso, si allungò e infine afferrò il braccio della giovane. Il panico serpeggiò rapido nella calca e, in men che non si dica, un nugolo di militari giunse di corsa levando, alti sopra le loro teste, enormi bastoni neri che calarono senza ritegno colpendo alla cieca. In pochi attimi, si ritrovarono tutti in ginocchio, ciascuno con un'arma puntata alla tempia.
Il soldato abbassò il fucile, si accucciò, portando il volto allo stesso livello dell'uomo che gli era scivolato davanti, atterrito dalle bastonate, e gli sputò dritto su una guancia.
"Sarai morto prima di pulirti".

"Non lasciarmi la mano, per nessuno motivo" si raccomandò il padre e, di nuovo, Ago fu preso da quella impetuosa sensazione di urgenza.
"Tra quanto torneremo dalla mamma?". Sapeva che era una domanda da bambino, ma proprio non potè trattenersi. Per la prima volta da tanto tempo, il papà lo guardò. Gli scompigliò i folti capelli neri e, prima che la fila riprendesse a scorrere, gli rivolse un sorriso tremolante.
"Questo è il nuovo lavoro del papà" disse dandogli un buffetto sulla guancia; sembrò voler aggiungere qualcosa ma, alla fine, serrò la mascella. Il bimbo non potè far altro che annuire, con un po' di incertezza: di solito il papà rispondeva sempre alle sue domande e quella proprio non era una risposta. Comunque, il pensiero di sua madre bastò a farlo star buono per tutta la durata dell'attesa. Che fu lunga e spossante, sotto il sole cocente di mezzogiorno. L'aria del deserto era pesante e densa e, ad ogni respiro, era come inalare una ventata di fuoco.

Ago non notò le persone che si accasciavano, che rimettevano sul terreno sabbioso e che svenivano, tra i gemiti di paura dei vicini. Non si rese conto che poi quelle persone venivano portate via, trascinate a terra come sacchi di patate, lasciando, ad unico segnale del loro passaggio, un profondo solco sulla sabbia.
Chi si fermava era perso per sempre, nella Marcia dei Morti.
Suo padre invece vide tutto e, ogni volta, rafforzò la presa sulla mano del piccolo.

La prima cosa che gli si stagliò davanti, quando fu il loro turno, furono le tozze gambe di un tavolino di legno. Sotto di esso, una serie di scarponi ordinati l'uno accanto all'altro, indicò la presenza di almeno cinque persone sedute al tavolo. In effetti, aveva contato bene: le espressioni sprezzanti di cinque uomini, tutti vestiti di nero, aspettavano che Ago e suo padre coprissero la distanza che li separava dal tavolo.
"Avanti".
Camminarono brevemente, soli in mezzo al cortile, e al bimbo sembrò di sentire un alito fresco tutto attorno. Unì le sopracciglia sulla fronte, prima di ricordarsi che ad Ardesia non faceva mai freddo.
Una lunga serie di baracche spuntava proprio dietro le teste dei cinque. Ora che poteva osservare l'ambiente circostante senza ostacoli, Ago pensò che il posto di lavoro del papà era proprio un luogo triste. Era tutto grigio: dagli edifici bassi e ordinati, ai volti delle persone, fino anche alla sabbia del deserto, che di solito era rossa, ma nel cortile era come scolorita. Senza poi considerare quei fiocchi di neve che continuavano a fluttuare sopra le loro teste. Quelli erano, forse, la cosa più triste di tutte.
Si sollevò sulle punte e sbirciò, più in alto che potè. Avrebbe voluto dire a suo padre che aveva cambiato idea e che preferiva tornare subito dalla mamma; e lo avrebbe fatto davvero, se solo quei terribili serpenti sulle giacche dei cinque uomini non lo avessero impietrito.

"Cosa abbiamo qua?" chiese lentamente il più anziano, senza darsi pena di nascondere quanto quell'attività lo tediasse.
"Attività illecite e sovversive, Signore. Denunciato da un vicino, Signore". Nel dire ciò, il soldato passò un fascicolo al più alto in grado.
Ago, che aveva sentito quelle parole ma non se ne preoccupava perché di certo non stavano parlando del suo papà, notò invece che a pochi passi dal tavolo, immobile come una statua, una bella signora vestita di bianco ricambiava con interesse il suo sguardo. Il vestito era candido come la neve delle fantasie di Ago e ne fu attratto perché non aveva mai visto niente di simile. Niente a che vedere, quantomeno, con quella stupida neve grigia che somigliava molto di più alla cenere del camino di casa sua, ora che ci pensava.

Intanto che Ago guardava la donna con occhi carichi di meraviglia, i movimenti al tavolo si fecero concitati. Doveva esserci scritto qualcosa di piuttosto grave, in quei fogli, perché un'imprecazione rabbiosa riempì l'aria già pesante del deserto e, in un attimo, tutti i soldati furono in piedi.

La voce del papà irruppe nella mente di Ago con una violenza tale che il bimbo sentì una fitta di dolore alla fronte. Con il volto contratto da una smorfia, si girò di scatto e nessuno si accorse del cipiglio di curiosità della Signora Vestita di Neve.
Devi ascoltarmi.
Il tono dell'uomo era carico di urgenza ma Ago era incredulo. Anche se non sapeva come fosse possibile, non aveva dubbi: aveva sentito chiaramente le parole, ma la bocca del padre non si era mossa. Mentre un brivido di paura e di eccitazione lo attraversava, pensò di chiedere spiegazioni, ma il padre parlò di nuovo.
Avrei voluto più tempo per spiegarti, per istruirti, per... - la voce si ruppe, giusto un secondo - ora non abbiamo più tempo. L'unica cosa che ci rimane è la fede e tu devi credere profondamente a quello che ti dico.
Fede in cosa? Perché diceva così? Perché non avevano più tempo? Ago iniziò a scuotere il capo: non gli piaceva, quella situazione. Cosa stava succedendo? Dov'era la mamma?

Si guardò attorno: ai suoi lati c'erano solo sabbia e baracche grigie  ma, dietro di lui, un folto gruppo di facce pietrificate ricambiò il suo sguardo. Ora che Ago aveva paura, anche tutte le altre persone parevano terrorizzate. Il papà, invece, sorrise. In un modo strano e diverso, che Ago non aveva mai visto prima: era un sorriso caldo, sicuro e un po' folle. Era stranamente naturale e non stonava affatto con i lineamenti, come se avesse aspettato anni per venire fuori.

Sii forte e ascoltami. Dimmi che lo farai, pensalo e io lo saprò.
Ago ricacciò indietro le lacrime, si impegnò ad essere forte, proprio come voleva il papà, e fece quello che gli aveva chiesto.
Bravo. Ora ripensa alle favole della mamma, ripeti nella mente tutte le cose che ti raccontava e a cui ti diceva di non credere.
Il papà di Ago guardava dritto verso i soldati. Il sorriso era sparito dal volto e l'espressione era concentrata. Dall'esterno, sembrava solo interessato al trambusto che si era creato sul tavolo.
Non erano fantasie, Ago! E' tutto vero. E' importante che tu sappia che tutto ciò che ti ha detto era vero, vero come il fatto che ora ti sto parlando. Devi crederci, con ogni fibra del tuo corpo e devi dar loro un senso.
Quelle parole rimbombarono come un urlo nella mente di Ago.

Dai un senso alle favole.
Senza alcun segnale che Ago potesse notare, arrivarono i rinforzi armati e si schierarono dietro al tavolo. La stretta sulla mano si fece serrata e la voce nella testa accelerò il ritmo, divenendo rapida e incisiva come il rullo di un tamburo.
Affronterai cose difficili, d'ora in avanti, ma devi farti forza...
Il soldato anziano sollevò dalle carte uno sguardo mellifluo e, al contempo, le parole nella testa del piccolo divennero ancora più veloci.
Ricorda, credi e dai un senso.
Il cuore di Ago cominciò a frullare impazzito, tanto aveva paura di non riuscire a capire tutto.
Scava a fondo in te stesso, trova chi sei e ciò di cui sei capace. Non appena sarai in grado di controllarti, scappa. Sarai forte, abbastanza per fuggire da qua.
"Dunque...". Il soldato anziano pronunciò quell'unica parola lentamente, come avesse gusto nel farlo.

Scappa a Fulgida e trova il Rifugio. Da lì, cerca l'Uno che è Due, Ago. Devi unirti a loro: hanno bisogno di te, più di quanto tu avrai bisogno di loro. Ricorda le mie parole: devi cercare l'Un...

"Separateli". L'ordine arrivò rapido come una pugnalata al cuore, ma quello che sorprese Ago più di tutto fu la velocità con cui si ritrovò circondato. In quel momento, senza dire una parola, strinse la mano del padre, vi si aggrappò con una forza di cui non si pensava capace. Perché credere alle favole della mamma significava credere che se avesse voluto una cosa con tutte le sue forze, se avesse lottato per essa con tutto se stesso, infine l'avrebbe ottenuta. E non era possibile volere qualcosa tanto intensamente quanto Ago voleva restare con il suo papà.

Vai al Rifugio, di che sei il figlio di...
"Tiberius di Carbo". Per un attimo, sembrò che il soldato volesse salutarlo, poi quell'attimo passò e questi scattò, afferrando il braccio di Tiberius. Al contempo, gli altri militari si avvicinarono all'unisono, tanto vicini che uno di essi artigliò la spalla di Ago.
Tiberius di Carbo uscì dai gangheri: se c'era una cosa che proprio non sopportava era sentirsi inerme davanti a suo figlio in pericolo. E lui non era un essere inerme. Così, con un lento sospiro, reagì nell'unico modo che sapeva avrebbe funzionato: si mostrò, lasciando fluire all'esterno ciò che per anni e anni aveva dominato e represso.
Un'espressione folle fu l'ultima cosa che vide l'uomo davanti a lui, prima di essere sollevato e scaraventato a metri di distanza. Tiberius si voltò rapidamente, ancor prima che la folla dietro di lui iniziasse ad urlare e a disperdersi, e con una manata abbatté due soldati. Quando si rivolse verso l'uomo che teneva stretto Ago, ebbe un attimo di esitazione. La rabbia cieca calò sul volto e gli occhi si fecero neri come la pece. Serrò la mascella più forte che potè ed espirò fuori dal corpo tutto il suo potere. Mentre i militari alle sue spalle si ricomponevano e puntavano le armi dritte sulla sua schiena, l'aguzzino di suo figlio si afflosciò, richiudendosi su se stesso.
"Non sparate! - sbraitò il soldato anziano, gesticolando in modo furente verso i suoi - Prendetelo vivo!".

Tiberius di Carbo era solo in mezzo al cortile, con Ago stretto ad una gamba e poteva sentire chiaramente i passi delle le truppe che martellavano il suolo, accorrendo da ogni punto del Campo Undici. Il piccolo era terrorizzato e, forse, lo era più da suo padre che da tutto il resto. Non erano di certo questi i suoi piani per la vita di Ago: avrebbe voluto spiegargli la sua natura anziché mostrargliela nel peggiore dei modi, ma, in quel momento, aveva finito le parole per suo figlio e potè solo sperare che quanto già gli aveva detto fosse sufficiente.
Fece scivolare la mano per un'ultima, lunga volta sul volto del figlio. Poi si eresse, allargò le braccia ed evocò tutta l'energia di cui era capace, accumulandola nel punto più caldo. Un'onda di forza distruttrice si sprigionò dal suo corpo, divorando tutto quello che trovava sul suo cammino. Scaraventò in aria i corpi inermi dei soldati, polverizzò il tavolo di legno e rase al suolo la prima fila di baracche.

La sabbia ancora vorticava nervosamente in aria quando le truppe di rinforzo si avvicinarono, sghembe figure nere nella foschia della devastazione. Tiberius di Carbo era a terra, in ginocchio, esausto ed ansante, ma sapeva che ancora non aveva finito.
"Proveranno a toglierti tutto - disse Tiberius ad Ago, con un fil di voce - ma l'unica cosa che non devi mai dargli è la tua fede. Abbi fede, Ago!". Tiberius si rimise in piedi sulle gambe tremanti e attese che i soldati fossero tanto vicini da poterlo sentire.
"Io sono la Resistenza! - urlò a nessuno in particolare, con tutta la voce che aveva nel corpo spossato - Io sono quello che volevate e quello che non potrete mai avere".
"NO!".

Tiberius di Carbo non seppe dire se quell'urlo provenisse da suo figlio o dai soldati. Una lama scintillò tra le sue mani, giusto il tempo di rivolgere un ultimo, potente sguardo ad Ago. Lasciò che le immagini del figlio e della sua amata Nora gli inondassero occhi e poi si infilò il pugnale nel torace.
Tiberius di Carbo abbandonò quel folle mondo per sempre.

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