CAPITOLO 7 - I TOPI DELLE DUNE
Tiberius e Nora. Il Campo Undici aveva tolto tutto ad Ago, anche l'idea di aver avuto dei genitori.
Non che fosse stato un problema, per lui che era così arrabbiato e aveva chiuso il loro ricordo in un remoto anfratto della mente. Tuttavia, dopo l'incontro con la Sacerdotessa e a causa delle fumose parole di Gunda, fu chiaro che ciò che era e ciò che sarebbe stato era indiscutibilmente legato a loro due.
Non passava notte senza fare i conti con gli occhi pietrificati del bambino cui aveva negato aiuto.
Se avesse avuto tempo per fermarsi a pensare, avrebbe di certo visto la crepa che si era prepotentemente aperta nel muro dell'indifferenza, ma la vita a Campo Undici non dava tregue.
Lo aveva cercato. Ogni mattina, nel cortile centrale, indagava la folla, censiva volti senza nome e, col fiato rubato dai sensi di colpa, frugava in ogni luogo comune. Il bambino era sparito.
Ad ora di pranzo, dopo qualche giorno dall'incontro con Gunda, era talmente frustrato che non sentiva neanche le fitte di dolore elettrico alla testa. In preda alla disperazione, si avvicinò rapido ad una figuretta che camminava ingobbita davanti a lui, la affiancò e, andando contro a tutto ciò che si era sempre imposto di fare, le parlò.
"Hai mica visto un bambino, più o meno alto così, occhi marroni e capelli rasati?". Si rese conto, già mentre le pronunciava, dell'assurdità delle parole. La ragazzina gli diede uno sguardo di puro panico e affrettò il passo, come lui stesso avrebbe fatto.
"Aspetta!" soffiò tra i denti, cercando di mantenere la visuale ferma sulle spalle ricurve che sgattaiolavano via tra la folla.
Bloccato nel garbuglio delle pazze idee che aveva formulato, seguì i passi della ragazza. Attraversò il Campo di tutta fretta, sollevando mugugni di protesta quando si scontrava con gli altri prigionieri e, ogni volta, fu più facile ignorarli che chiedere scusa.
Un violento spintone per poco non lo gettò a terra. Senza neanche il tempo di raddrizzarsi, un nuovo colpo lo centrò in pieno volto e un'altro ancora, sul torace, gli mozzò il fiato. Si ritrovò carponi, inspirando violente vampate di sabbia; solo allora si rese conto di dove l'avesse condotto la ragazzina.
Non poteva vederla, tra la polvere che si alzava furiosa al ritmo di innumerevoli piedi che, tutto attorno a lui, battevano rabbiosi il terreno, ma era certo di essere al cospetto della Baracca del Rancio. Non aveva porte, ne tantomeno mura: era un tetto malandato, tenuto in piedi da una lunga serie di colonne altrettanto sghembe, che ricopriva un terreno perennemente sudicio, pieno di avanzi putrefatti e liquami. Mentre l'odore malsano lo travolgeva, Ago alzò e abbassò dolorosamente le spalle in un sospiro sommesso.
Si curava sempre di evitare quel posto: nella Baracca del Rancio, la rissa era perenne. Si acquattò, piegando le gambe, e non appena intravide uno spazio libero tra i prigionieri urlanti, vi si lanciò più rapido che potè. Schivò tanti colpi quanti ne incassò e, spintonando a sua volta, si defilò dalla rissa nascondendosi dietro una colonna.
Ago non era sorpreso e non si chiese nemmeno per cosa litigassero i detenuti. Tamponò il sangue sul volto, cercando di ricordarsi il perché si era arrischiato a seguire quella ragazza.
Avrebbe dovuto continuare a lambiccarsi sulle Grandi Paludi e il Regno al di la delle Piccole Acque Scure, chiedendosi il perché sua madre gli avesse raccontato di quei posti.
Avrebbe dovuto seguire i consigli della Sacerdotessa: ricordare, credere, dare un senso. Nessuno avrebbe potuto rompergli un labbro nel tentativo di compiere quella missione.
Invece era apparso Gunda, con le sue assurde parole. Scegli Tiberius, gli aveva detto. Sii forte e potente come lui e, nel frattempo, salva quelli come te. I bambini. Ago lo sapeva, fin dal primo momento.
Prendili tutti.
Quella incalcolabile moltitudine di bambini che arrivava ogni giorno al Campo Undici. Ecco chi erano quelli come lui, ecco chi avrebbe dovuto salvare.
Perché proprio lui? Era questo che non riusciva a spiegarsi. Aveva iniziato a chiederselo già dall'incontro con la Sacerdotessa, ma era stato con Gunda che la domanda l'aveva travolto con più violenza dei colpi che aveva appena incassato.
Ago si sporse dal nascondiglio e scrutò tra la folla che ancora si accapigliava. Se c'era un posto, nell'intero Punto di Non Ritorno, in cui avrebbe potuto facilmente trovare dei bambini, quel posto era la Baracca del Rancio. Piccoli e affamati, riuscivano con poca fatica ad infilarsi nei capannelli di adulti in tumulto, sottraendo loro tutto quello su cui potevano mettere le mani.
Ne individuò uno. Non riuscì ad attribuirgli un'età: era grigio e con l'espressione severa; doveva essere uno di quelli che viveva a Campo Undici già da qualche tempo. Lo seguì prima con gli occhi e poi, vedendolo scattare con la stessa rapidità di un gatto del deserto, si mosse anche lui. Qualche passo incerto e impaurito, per cominciare, poi sempre più rapidi e sconsiderati, per stare al suo stesso ritmo.
Restò sempre ai margini della folla, spostandosi da una colonna all'altra della Baracca del Rancio per evitare di essere nuovamente travolto, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto attraversare lo spazio in cui la rissa non finiva mai. Ne ebbe la conferma quando notò che il bambino, con le mani strette sulla maglietta arrotolata a contenere qualcosa, si stava dirigendo proprio in direzione opposta rispetto a quella in cui si trovava lui.
Valutò per un attimo l'idea di lasciar perdere. Poi la voce di Gunda gli risuonò nelle orecchie e Ago si lanciò nella folla scalmanata, sperando solo di uscirne vivo.
Sbracciò e sgomitò, si abbassò e schivò, corse a perdifiato con la paura di cadere ed essere sotterrato da quella moltitudine dissennata e, infine, ne uscì. Non ebbe neanche il tempo di fare la conta dei danni: quel ragazzino sgusciava via tra le baracche circostanti, ineffabile come l'aria. Riuscì a seguirlo, tenendosi sempre a debita distanza, finché, proprio davanti al cumulo di macerie più alto che Ago avesse mai visto, il bambino si adoperò per spostare un grosso pezzo di lamiera abbandonata e poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, saltò e sparì in un buco nel terreno.
In seguito, ripensando a quel giorno, Ago più e più volte si sarebbe sorpreso della decisione che prese.
Copiò esattamente le mosse dell'esserino che l'aveva preceduto e, come lui, sparì dalla faccia della terra. Si ritrovò a sdrucciolare lungo un cunicolo stretto ma non molto inclinato. Mantenne la posizione eretta per la maggior parte del tempo, strisciando leggermente il fondoschiena lungo qualche tratto sporgente e quando, finalmente, l'ambiente si aprì davanti a lui, Ago rimase esterrefatto.
In quella specie di caverna malamente illuminata, c'erano più bambini che spazio libero. Sgomento e immobile, Ago non ebbe neanche l'istinto di cercare un nascondiglio. Era inesorabilmente rapito. I piccoli, perlopiù, litigavano per il cibo, come gli adulti in superficie, ma c'era qualcosa di curioso nei loro movimenti.
Nel bel mezzo di una mischia rumorosa, un pezzo di pane fu scagliato in aria. Per afferrarlo, uno di essi saltò troppo in alto.
Un altro si mosse a velocità innaturale e riuscì a sottrarlo dalle mani del primo. Un altro ancora aprì la bocca, come per urlare, ma non produsse nessun suono. Tuttavia, tutti quelli attorno a lui si tapparono le orecchie con le mani e il pezzo di pane cadde a terra.
La battaglia sembrava vinta ma, proprio mentre il terreno si contorceva, facendo rotolare il pane fino ai piedi di una bambina, questo si bloccò e schizzò via, finendo tra le mani di una ragazza che, immobile come una statua, si era tenuta in disparte fino a quel momento.
"Fanno sempre così - osservò una vocina che fece sobbalzare Ago - solo i più forti finiscono per mangiare".
"Ah". Fu la cosa più intelligente che Ago riuscì a rispondere.
"Tu hai del cibo?".
Ago scosse il capo e osservò l'espressione delusa dipingersi sul volto del piccolo. Era forse quello che l'aveva condotto in quel covo? Si somigliavano tutti incredibilmente: sporchi e con la testa rasata; eppure erano anche incredibilmente diversi l'uno dall'altro, carichi di quella nota di magia che stonava con la vita del Campo Undici.
Ago si riscosse dall'incredulità, gonfiò i polmoni e si preparò a fare quanto mai avrebbe pensato.
"Se vuoi posso portartelo". Lo fece uscire tutto d'un fiato, per evitare di ripensarci, ma fu troppo tardi: il bambino che fino ad un attimo prima lo guardava con occhi imploranti, era già sparito.
Mosso da una forza che di certo non era la sua, Ago si immerse nel marasma. Si perse, o perlomeno così gli parve, completamente immerso tra corpi che ora lo sfioravano ora lo colpivano e la cosa non gli dispiacque. Dopotutto, erano quelli come lui e nonostante faticasse a credere ai propri occhi, una nuova consapevolezza lo scaldò. Che anche lui fosse capace di qualcosa di innaturale e potente?
Le parole di Gunda tornarono a suonare vivide nelle sue orecchie, mentre osservava una sfrigolante rete di scintille blu uscire dalle mani di una ragazza che, all'improvviso, ricambiò il suo sguardo.
"Chi sei?". Perché quelle parole suonavano minacciose?
"Io sono Ago...".
"Tu sei un favorito!" si scandalizzò la ragazza, imprimendo nuova forza nelle saette che aveva tra le mani. Queste, improvvisamente, si unirono, andando a formare una grossa palla, che ardeva furiosa verso Ago.
"No! No, no, no! Sono qua per aiutarvi. Devo prendervi e salvarvi!".
"Favorito! - gli sputò contro un giovane che sembrava fatto d'ombra - Tu non prenderai proprio nessuno!".
Senza sapere come fosse successo, la vista di Ago si fece nera.
"No, vi prego! Sono venuto fin qua giù per aiutarvi" urlò portandosi le mani agli occhi e strofinando prepotentemente. "Cosa mi state facendo?".
"I favoriti vivono bene in superficie" gli sussurrò una voce all'orecchio. Come avevano fatto ad avvicinarsi a lui così in fretta? Sentì delle mani, una miriade di mani, che gli tastavano i pantaloni, le gambe, il dorso e le braccia.
Il panico lo travolse come raramente succedeva nell'indifferenza del Campo Undici.
"Voglio solo aiutarvi". Ago provò ad urlarlo più e più volte ma non seppe dire se le parole uscirono dalla sua bocca.
"Ora dormi!".
Un'ondata di puzzo nauseabondo lo riscosse dal sonno. Ago si sollevò sui gomiti, giusto in tempo per pentirsi della velocità con cui si era alzato. Si ritrovò faccia a faccia con una lunga fila di denti aguzzi e sentì il ringhio possente dell'animale che aveva davanti invadere l'aria farinosa del deserto.
"Soldato! Rispondi a questo indovinello: che fine fa un prigioniero ritrovato di notte, completamente nudo, nel bel mezzo del cortile di Campo Undici?".
"Una fine molto, molto brutta, signore!".
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