CAPITOLO 6 - IL DIAMANTE CANTERINO

"Era ora" esclamò secca Mae, roteando gli occhi.
Isabella non aveva fiato per rispondere. Era stremata dopo un'arrampicata che le era parsa durare ore, inginocchiata a terra con il respiro accelerato e il cuore martellante. Quando, finalmente, aveva raggiunto il cuore dell'albero, dove la stavano aspettando Mae e uno sconosciuto adorno di strani fronzoli, la stanchezza, unita alla meraviglia, l'avevano trascinata a terra, inginocchiata come fosse in contemplazione.

Immerso completamente nel candore pulsante della luce lunare che penetrava a scaglie e che riverberava nel moto incessante dei fiori bianchi, un ometto piccolo piccolo accolse l'arrivo di Isabella spalancando le braccia con un movimento teatrale. Dalle maniche della tunica arancione tintinnarono un'infinità di pendagli che si aprirono, seguendo il suo gesto e trasformandolo in uno strano ed esotico uccello variopinto. Era alto più o meno come Isabella, ma la superava di una spanna grazie a un copricapo in stoffa rossa che culminava in tre pennacchi verdi. Anch'esso era adornato di medagliette e pendenti, alcuni dei quali scendevano fino a toccargli le spalle.
Il volto d'ebano era attraversato da un sorriso tirato fino alle orecchie, da cui pendevano due grossi rubini.

"Benvenuta Babelle".
"Buonasera - borbottò mentre si rimetteva dritta con rapidità, rossa in volto - il mio nome è Isabella". Mae osservava la scena da un angolo, le braccia conserte e un broncio ben stampato sul viso.
"Conosco il tuo nome, Babelle - replicò l'uomo, senza mai rilassare le labbra da quell'ampio sorriso - tu, invece, dovresti chiederti chi io sia".
Isabella aggrottò la fronte: non sapeva cosa volesse dire l'uomo e si sentiva a disagio, incapace di dire o di fare alcunché senza sembrare fuori luogo.
"Lui è Mondo, Isabella" intervenne Mae con tono sbrigativo.
"Sono, invero, molto più complesso di una parola - precisò con aria pensierosa, tastando, con la mano piena di anelli di varie forme e dimensioni, lo spazio attorno al mento come se si aspettasse di trovarvi una lunga barba - ma si, tenendo conto dell'attuale e mutevole situazione, puoi chiamarmi Mondo".
Mae roteò gli occhi all'indietro: era stato proprio Mondo a dirle che non avevano tempo da perdere e ora aveva preso a blaterare quelle assurdità che erano stravaganti persino per lui.

Isabella non ebbe neanche il tempo di ragionare sulle parole dell'ometto. Con una rapidità insospettabile per la pesante veste che indossava, Mondo la travolse e prese a girarle attorno, ora sussurrando strane parole senza senso, ora prendendola per un braccio e facendole fare lente piroette.
La stava studiando, capì Isabella rossa di vergogna quando il piccolo naso di Mondo le si avvicinò alla testa e trasse pochi rapidi respiri. Non vide la smorfia sul volto di Mondo e, per sua fortuna, lui non fece commenti: si limitò a proseguire nella sua minuziosa analisi.
"Dove siamo?".
"Uniti siam tutti nelle terre d'Ardesia, Ardesia dei fuochi indomiti, Ardesia delle invitte lame... - recitò Mondo senza una particolare intonazione - conosci l'inno dell'Impero, giusto?". Un'occhiata eloquente fu quello che seguì e Isabella fu scossa da un fremito. Abbassò lo sguardo, tentando malamente di non sembrare tanto imbarazzata.
"Ma forse non era quello che volevi sapere. Suvvia, Babelle, chiedi esattamente quello che vuoi sapere!".
"Che...che p-posto è questo? - ritentò Isabella - Voglio dire, questo albero... Non ho mai visto niente di simile...".

"Meglio. Non perfetto, ma meglio" disse Mondo con entusiasmo. Si voltò con un frullio della veste e si diresse verso Mae, allargò di nuovo le braccia e con un'altra giravolta aggraziata, che fece ondeggiare la tunica come una corolla al vento, si sedette a terra.
"Molti nomi sono stati dati a questo albero, nessuno dei quali gli sia mai piaciuto peraltro. Albero della vita...nah! - Mondo si prese una pausa, come riflettendo sulle sue stesse parole - Potrebbe andare bene se la vita che sgorga da esso fosse custodita come il più miracoloso dei doni, non trovi?".
Isabella non sapeva cosa dire e si limitò ad annuire.

"Alcuni, poi, lo hanno chiamato Albero incantato - Mondo allargò le mani, facendo cenno ad Isabella di guardarsi attorno - ti sembra questa una magia?".
Isabella, che a fatica aveva seguito l'uomo nella sua spiegazione, si rese conto che Mondo aspettava una risposta. Con la mente vuota, scrutò le fronde e poi i fiori e, di nuovo le fronde.
"Beh... - cominciò Isabella, tentando di mettere insieme qualcosa, qualsiasi cosa che avesse senso compiuto - potrebbe esserlo, suppongo, se la magia esistesse".
Di tutte le parole che esistevano, era chiaro che aveva scelto quelle più sbagliate. Mondo si voltò di scatto per condividere l'incredulità con Mae che, dal canto suo, era divertita. Stava soffocando una risata alle spalle dell'ometto e, quando vide che la osservava, tentò malamente di ricomporsi.
"Il retaggio dell'istruzione imperiale mi scompone sempre - si giustificò Mondo, tornando su Isabella con un certo disappunto - ritengo inammissibile che, tra tutte le cose, anche la conoscenza possa essere ridotta in schiavitù".
"E questo che significa?" sbottò Isabella, con una foga che non era proprio nelle sue intenzioni. Mae alzò un sopracciglio.
"Cara Babelle! - Mondo sorrise con accondiscendenza - Credo che la più grande sconfitta dell'uomo sia cominciata nell'esatto momento in cui ha smesso di vedere ciò che voleva conoscere e ha cominciato a conoscere unicamente quanto gli veniva mostrato".
"Quale sarebbe la differenza?".
"E' chiaro che c'è tutta la differenza di questo mondo! La libertà è la differenza!".
Le parole restarono nell'aria, come riecheggiando tra le fronde dell'albero. Isabella notò curiosamente che, in quel giorno in cui si era sentita libera per la prima volta, Mondo era la seconda persona che parlava di libertà.

"Ma la conoscenza resta sempre la stessa..." obiettò Isabella.
Gli occhi di Mondo lampeggiarono. Isabella si sentì improvvisamente svuotata, come se qualcosa in quello sguardo le avesse tolto tutta la sicurezza. Con un gesto rapido, l'uomo tese una mano, sul cui palmo i petali di un fiore bianco si aprivano e si richiudevano con ritmo lento.
"Ne sei così sicura?".
Isabella non rispose: non avrebbe saputo cosa dire neanche se avesse avuto il fiato per farlo. Il silenzio calato in quel piccolo spazio era denso e carico di tensione. Mae si schiarì la voce più volte prima che Mondo tornasse alla realtà, focalizzando su Isabella il suo sorriso acceso.
"Capirai, Babelle, non temere".

"La ragazza è Isabella e non Bab...etta, o come l'hai chiamata" intervenne Mae. Mondo aveva un modo tutto suo di vedere le cose, lo sapeva bene. Non lo condivideva di certo: tutti quei giri di parole, tutte quelle strane considerazioni che tanto aprivano e niente risolvevano, erano quanto di più lontano esistesse dalla pratica Mae. "Uno dei suoi compiti è farci accettare ciò che sembra impossibile" aveva detto Giselle anni addietro e poi aveva sorriso, con la sua solita dolcezza. Mae avrebbe continuato volentieri nelle sue rimostranze contro Mondo, ma tutto perdeva un po' di senso quando Giselle sorrideva.
"...e, infine, per rispondere alla tua domanda iniziale, cara Babelle: Albero Madre. A me piace chiamarlo così. Non so se gli piaccia, non gliel'ho mai chiesto, a dire il vero. Ma penso che sia un nome che esprime grandi cose, non credi?".

Da quando il Consiglio dei Nove aveva abolito, anzi, aveva abbandonato il Setaccio, spettava a Mondo giudicare se un novizio avesse tutte le carte in regola per entrare a pieno titolo nel Rifugio. Di solito, gli bastava uno sguardo e poco altro. Invece, in quel giorno che sembrava proprio non voler finire, si era comportato in modo bizzarro. Allarmante, a tratti. Doveva ricordarsi di parlarne con Giselle.
"E' un bel nome" convenne Isabella e, dalla sua espressione spaesata, Mae fu certa che aveva parlato più per educazione che per altro.
"E' solo un nome. Vedi: come ti dicevo poc'anzi, spesso i nomi non hanno la capacità di riflettere a pieno la potenza di un'entità, per questo ce ne vuole più di uno...".

"Ehm, ehm - Mae si schiarì la voce - credo si sia fatto tardi, Mondo. Abbiamo un bel da fare giù al Rifugio, ricordi?". La prospettiva del Setaccio preoccupava Mae più di quanto non fosse disposta ad ammettere.
"Ah, giusto! - disse l'uomo, dandosi una violenta pacca sulla fronte che fece tintinnare tutti i suoi pendenti - le formalità!".
Si tirò in piedi di tutta fretta e, accompagnato dal solito suono, si sbatté forte le mani sulla lunga veste, come a voler togliere la polvere. Si schiarì la voce più volte e, di nuovo, spalancò le braccia.

"Io, Mondo, Guardiano degli Spiriti del Fuoco, designato da forze tra le più antiche e potenti a custodire con onore e dovizia l'Albero Madre e a proteggere il Rifugio degli Ultimi, do la mia benedizione a te, Isabella. Che tu possa trovare la tua casa nel regno dei disperati".
Mae, che aveva sentito quella formula innumerevoli volte, attese mesta la fine delle parole di Mondo e, non appena ebbe pronunciato l'ultima, scattò, pronta per andarsene. Ma Isabella non si mosse. Si guardò invece i piedi, con orrore, come se fossero intrappolati.
Con la voce profonda e cadenzata, Mondo riprese a parlare e lo fece in una lingua che Mae non aveva mai sentito prima. Le si rizzarono immediatamente tutti i peli sulle braccia. Non appena ebbe terminato, Isabella per poco non cadde a terra. Con le gambe improvvisamente libere, fece qualche instabile passo in avanti e riguadagnò a stento l'equilibrio.

Quando Mae, con il volto ancora contratto in una espressione di sconcerto, le fece segno di seguirla, Isabella non perse tempo. Ringraziò Mondo, lo salutò rapidamente e se ne andò. Lui, dal canto suo, parve non sentirla: era ancora in piedi, nel bel mezzo della stanza dei fiori, a braccia aperte e col capo chino, mentre la bocca si muoveva ancora senza emettere alcun suono.
"Questo è inammissibile... - borbottò Mae mentre, con passo militaresco, imboccava il corridoio che risaliva l'Albero Madre - E' lo spirito che gli ha dato il potere di blaterare cose senza senso, non gli Spiriti!".

"Cosa è inammissibile?" chiese Isabella, affrettandosi a seguirla. Se lo era ripromesso più volte, durante quella giornata: d'ora in avanti, avrebbe preteso risposte a tutte le sue domande.
"Arrogante pazzo, insolente e irrispettoso". Ad ogni nuovo insulto, Mae batteva i piedi sul suolo talmente forte che il legno scricchiolò. Isabella la affiancò e ripetè nuovamente la domanda, a voce più alta.
"Mondo! Lui è inammissibile. Lui e quella sua incomprensibile lingua in cui ti ha parlato prima. Non so proprio cosa gli sia preso oggi..."
"Quale lingua incomprensibile?". Mae roteò gli occhi all'indietro.
"Qualche secondo fa, mentre eri lì davanti a lui, come ipnotizzata - disse con tono acido - lui ti parlava in quella lingua sconosciuta. Ti ricordi? Sono sicura che fossi proprio la...".

"Ha utilizzato la nostra lingua - la corresse Isabella, chiedendosi quante altre lingue esistessero oltre la loro - poi ha sussurrato qualcosa che non sono riuscita a sentire, ma per il resto era tutto chiaro...sempre che quello che dice si possa definire chiaro".
"No, ti sbagli. Lui prima...poi lui... - Mae si fermò di botto - tu hai capito quello che ti ha detto dopo?".
"Ma certo, ti dico che era la nostra lingua! Come potrei non aver capito?". Al pari di quanto era accaduto altre volte da che aveva conosciuto Mae, Isabella fu certa di aver detto la cosa sbagliata ancor prima di terminare la frase.
Non parlò più: Mae serrò le labbra, riducendole a due linee sottili e Isabella non fu in grado di decifrare la sua espressione. Avrebbe voluto essere capace di leggerle nella mente, tanto era curiosa: che c'era di sbagliato in quello che era successo? Che c'era di sbagliato in lei, da rendere Mae sempre più ansiosa e insoddisfatta?

Percorsero a gran velocità due o tre piani che si arrotolavano attorno al tronco dell'Albero Madre, come se impegnarsi a camminare il più in fretta possibile potesse aiutarle a dimenticare quello che era successo.
Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando si rese conto di camminare da sola. Si fermò di botto, terrorizzata dal fatto che Mae potesse essere scomparsa di nuovo. Si voltò e, con un moto di sollievo, vide che la stava aspettando qualche passo prima, con aria interrogativa.
Non appena Isabella la raggiunse, Mae, che ancora aveva le labbra tirate e nessuna intenzione di parlare, batté il pugno su un grosso nodo di corteccia.
"Perché bussi? Chi ti aspetti che risp...".
Le parole si spensero nella bocca di Isabella. Risuonarono altri tre colpi, che sembravano provenire dalle viscere del mondo. Come fosse la cosa più naturale, l'albero si aprì: un grosso pannello si abbassò, con un fastidioso stridio di meccanismi, lasciando scoperto l'imbocco di un tubo intagliato nel legno. Il canale, che si tuffava verso il basso, era tanto grande da contenere almeno tre persone e, mentre la parte bassa dello scivolo era perfettamente levigata, la restante circonferenza era piena di protuberanze, costellate qua e la da piccoli ciuffi di muschio. Proprio sopra di esso, un intarsio nel tronco attirò l'attenzione di Isabella.

"Non è lo stesso disegno che hai sotto la lingua?" chiese di getto, senza riuscire a frenare le parole. Mae grugnì qualcosa in risposta ma Isabella aveva già pronta la domanda seguente.

"Cerca l'Uno che è Due. Che cos'è l'Uno che è Due?".
"Una vecchia Tradizione - sussurrò Mae dopo un lungo silenzio - una tra le più antiche, a dire il vero...". Come calamitati da una forza che andava oltre la volontà, gli occhi increduli di Mae incontrarono quelli grigi di Isabella.
Come diamine fa a conoscere l'Uno che è Due?
"E' scritto proprio la sopra!" si esasperò Isabella indicando il grosso disegno della foglia a cinque punte che campeggiava placido sopra l'apertura nell'albero.

"Mi sembra chiaro". Il commento sardonico della donna arrivò giusto un attimo prima di una vigorosa scossa di capo. Poi si aggrappò con le mani al punto più alto della circonferenza e saltò, dandosi una potente spinta con le gambe. Si infilò con naturalezza nel cunicolo, sparendo in pochi secondi.
Isabella era rimasta sola, di nuovo. Aveva il cuore in gola per la tensione, di nuovo, e le gambe sembravano pronte per afflosciarsi, di nuovo. Saltellò nervosamente tra un piede e l'altro, con la mente che, al contempo, ballonzolava confusa tra le certezze che aveva avuto sino a quel momento e gli sconvolgimenti della giornata. Riusciva a fatica a tenere a bada la curiosità e qualcosa le diceva che i suoi interrogativi non sarebbero finiti con l'Uno che è Due. Ciò che, tuttavia, non poteva proprio accettare era il dubbio che tutto ciò che credeva di conoscere fosse inesorabilmente sbagliato.

"Interrogarsi sul giusto e sbagliato è, talvolta, una tediosa perdita di tempo".
Isabella si voltò di scatto, giusto in tempo per osservare Mondo che muoveva gli ultimi passi verso di lei.
"C'è differenza tra conoscere una verità o una bugia".
"Oh, Babelle, non voglio dire di certo il contrario! Dico solo che non è mai tardi per correggere una cosa sbagliata".
"Anche...anche quando le cose sbagliate sono tante? O anche...anche quando ci sembrano insormontabili?".
"Non è mai troppo tardi e noi non siamo mai troppo deboli".
"Se, invece, siamo troppo forti?". Ancora una volta, la lingua lunga aveva avuto la meglio: davanti al sorriso accondiscendente di Mondo, Isabella avrebbe voluto sprofondare nel vuoto.
"Non temere Babelle, avremo modo di occuparci insieme del controllo. Per superare ciò che ti aspetta fino ad allora, tieni a mente che i mali sono maggiori in numero, ma non in potenza!".
"Questo cosa significa? Maggiori rispetto a cosa?".
"Prendilo come l'inizio del nostro percorso, il cui primo passo - Mondo indicò l'apertura nel tronco dell'Albero Madre - è andare avanti!".

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