CAPITOLO 5 - LA SCORTESIA DEI LEONI

La prima favola che Nora avesse mai raccontato ad Ago aveva riaperto voragini che il giovane teneva ben chiuse da sette anni. C'era stato un prima del Campo Undici e Ago non sapeva dire cosa fosse peggio tra il ricordarlo e il pensiero di non averlo mai ricordato per tutto quel tempo.

Ricordare, credere e dare un senso. Era sembrato facile, finché non si era ritrovato impantanato in un dedalo di memorie difficili da districare, figurarsi da credere. Poi quella rabbia che Ago provava nei confronti del padre. Rinunciare all'indifferenza per concedersi un barlume di speranza significò, al contempo, scoperchiare il calderone in cui la rabbia non aveva mai smesso di ribollire.

Non era cambiato niente, eppure era cambiato tutto. Il cortile era lo stesso crocevia dove le persone si incontravano per il saluto mattutino. Con la coda dell'occhio, senza mai avvicinarsi più del necessario, Ago riconobbe il volto scavato di un uomo. Era la prima volta che si ricordava la faccia di qualcuno che non fosse uno dei suoi carnefici e questo lo sorprese. Aveva iniziato a guardare gli altri detenuti, a guardarli e a vederli veramente. Erano ancora i mostri senza speranza in cui, fino a qualche giorno prima, aveva visto riflessa la propria immagine. Erano vuoti, scavati dentro dal Campo Undici ma, per la prima volta, li vedeva.

"Per l'Impero, con l'Impero e nell'Impero. Eterna vita all'Unico Impero e all'Unico Imperatore".
Impresse nella voce quell'enfasi sufficiente a non farsi pestare dai soldati e sciolse le righe. Un'altra cosa che notò furono gli scambi silenziosi che avvenivano tra gli uomini e le donne del Campo. Cibo, piccoli oggetti utili per la vita quotidiana, bigliettini. Coraggio. Sotto gli sguardi annoiati dei soldati, i detenuti camminavano ognuno dritto per la propria strada, indossando sul volto maschere incolori, ma muovendo rapidi le mani quando incontravano i destinatari delle missive. Si scambiavano il coraggio.
Era incredibile, secondo Ago. Come era incredibile il fatto che per sette lunghi anni non si fosse accorto di nessuno di quei piccoli gesti di ribellione. Il Campo Undici non era solo un luogo sperduto di sofferenze e perdizione. Il Campo Undici, a suo modo, viveva.
Un movimento fulmineo alla sua destra lo costrinse a girare la testa di scatto. Era come se una macchia scura avesse deciso di correre tra la folla. Ago inclinò la testa di lato e provò a mettere a fuoco, seguendo l'insolita scia.

"Io non so dove devo andare".
Distolse lo sguardo da quello strano movimento e indagò l'aria attorno a se. La vista sfarfallò per un secondo, tant'era stato rapido il cambio di prospettiva. Voleva tirare dritto per la sua strada, come istinto e abitudine gli consigliavano, ma quella voce così piccola e fragile l'aveva colpito. Un bambino poco più grande di lui all'ingresso a Campo Undici aspettava un suo cenno, con gli occhi vibranti di lacrime e il mento arricciato.
"Aiutami!".
"Non sono di certo io che posso farlo".
Scrollò impercettibilmente le spalle e riprese la marcia: stavano succedendo cose strane, al Punto di Non Ritorno. Dopo pochi passi si bloccò.
Indifferente a tutto, si impose. E ripartì.

Ebbe giusto il tempo di considerare che erano anni che non si vedevano così tanti bambini in giro per il Campo quando, dopo aver superato il cortile centrale, si ritrovò sul vialetto ciottolato che conduceva ai laboratori. Era delimitato, su entrambi i lati, da due lunghe serie di statue di bronzo: uomini e donne, i cui sguardi indagatori seguivano l'ingresso alla baracca. Salutò l'uomo scolpito in un lungo camice e con un cranio aperto a metà tra le mani ed entrò nel laboratorio.
Quella sarebbe stata una giornata di esercizi. Noiose prove di disegno e scrittura, manipolazione di oggetti e prestanza fisica. Compiva tutto meccanicamente, come un automa, ma nella sua testa c'era il fermento del giorno prima della festa.

Aveva analizzato la favola di Nora con una costanza e una perizia degne del più meticoloso tra gli operai: aveva provato a capirla, a sezionarla parola per parola, a ribaltarla. Eppure non era riuscito a trovarne il senso. In che modo una favola per bambini avrebbe potuto aiutarlo ad uscire dall'inferno?
"Qui cosa abbiamo?". La voce subdola di Febo, uno dei tirapiedi della Signora Vestita di Neve, accompagnò la discesa di un naso dalla punta insolitamente lunga, proprio vicino al braccio di Ago.
Come poteva essere stato così stupido? Inorridì per ciò che lui stesso, senza nemmeno rendersene conto, aveva fatto: davanti a lui, in bella mostra sul foglio bianco, si stagliavano le Grandi Paludi. O, perlomeno, le Grandi Paludi come Ago immaginava che fossero.

"Disegni luoghi piuttosto bagnati, per essere uno che non vede altro che sabbia" osservò, carico d'eccitazione e con un ghigno che non lasciava presagire niente di buono.
Ago era impantanato nelle stesse paludi che aveva disegnato: mantenne la testa bassa, lo sguardo fisso sul foglio ricoperto dai tratti gentili. Sapeva che se avesse voluto capire qualcosa della favola di Nora, avrebbe dovuto iniziare dalle Grandi Paludi e dal Regno al di la delle Piccole Acque Scure: dai nomi che avevano di certo non potevano appartenere ad Ardesia. Cosa aveva spinto Nora a raccontare una storia al figlio che, solo per quei due luoghi, li avrebbe entrambi resi traditori dell'Impero?

"Credo proprio che mi toccherà avvertire Cleo - continuò Febo, annotando segni febbrili sulla sua cartellina - oppure potrei aprirti il cervello io stesso, per vedere da dove vengono quelle informazioni".
Lo spazio tra i due era carico di gelida tensione; il tempo era scandito dai battiti furiosi del cuore di Ago. Era proprio per quello che, fino all'incontro con la Sacerdotessa, gli era servita l'indifferenza: per evitare di mettersi in pasticci più grandi di quelli in cui già si trovava.
Come quella mattina, Ago vide con la coda dell'occhio una macchia marrone attraversare la finestra alla sua destra. Non si mosse di un millimetro, ma era certo che una figura si fosse soffermata per un attimo a fissarlo.

"No non lo farai" una voce profonda e sicura, che non riconobbe come la sua, ballonzolò per qualche istante sopra le Grandi Paludi. Era completamente fuori controllo: Ago l'indifferente non avrebbe mai detto una cosa simile eppure era certo che quelle parole fossero uscite proprio dalla sua bocca. Nel laboratorio, nessuno sembrava essersi accorto dello scambio di battute. Gli altri prigionieri continuavano a disegnare a testa china, ciascuno sopra il suo foglio, controllati a vista dagli occhi attenti di altrettanti uomini e donne nei loro lunghi camici bianchi.

"Come, prego?".
"Hai visto dune a perdita d'occhio, vecchie baracche grigie e un grosso muro che racchiude tutto. Ora, torna al tuo lavoro".
Come avesse fatto ad uscire vivo dal laboratorio era un mistero che, anche nel pomeriggio assolato del Campo Undici, tormentava Ago. Era sommerso dagli scatoloni, nella Baracca delle Cose Perse, che straripava di tutti gli averi dei prigionieri del Punto di Non Ritorno. Se ne erano accumulati così tanti, negli ultimi giorni, che servivano nuove braccia per smistarle e, quella volta, era toccato ad Ago.

Se non fosse stato così preso da quanto era successo la mattina, di certo avrebbe notato che, per la maggior parte, aveva tra le mani cose che erano appartenute a bambini. Vestiti, scarpette e piccoli pupazzi. Libri di favole, coperte e pigiami. Invece Ago era, con la mente, ancora dentro al laboratorio dove aveva, con poche e rapide parole, convinto uno scagnozzo della Signora a non denunciarlo.
Succedevano cose strane, al Punto di Non Ritorno, e questo era un fatto.

Ago si concentrò sul lavoro: sollevò un pesante scatolone e lo accatastò sulla pila di quelli che aveva già chiuso. Si voltò, pronto a prenderne un altro e si bloccò.
Una macchia marrone attraversò rapida lo spazio tra i mucchi di oggetti in fondo alla baracca.
Il giovane strofinò gli occhi con potenza. Era la terza volta che succedeva, quel giorno, e se non fosse stato certo che quel tipo di cose non erano possibili a Campo Undici, si sarebbe concesso un sorriso. Poi, però, si ricordò della Sacerdotessa, delle favole di Nora, della fantomatica Chiave della Conoscenza e del fatto che, quella mattina, la sua voce aveva assunto una sfumatura tanto suadente e perentoria da piegare Febo al suo volere. Non fu più sicuro di niente.

Ancora una volta, un scatto alla sua sinistra lo distolse dai suoi pensieri. Qualunque cosa fosse, si stava avvicinando, rapido e silenzioso come la morte.
Le mani di Ago, sospese a metà sopra i cartoni, cominciarono a tremare. Era completamente immobile, incapace di scappare e incapace di difendersi.

Di nuovo, vide il lampo marrone: questa volta, si era spostato tutto sulla destra. Chiuse gli occhi. Una vampa di calore si impossessò del suo corpo; gocce di sudore bagnarono gelide la fronte, tornò a guardare e la macchia era ovunque. Volava da un lato ad un altro della Baracca a velocità impressionante, ora più in alto ora più in basso, sempre più vicina ad Ago.

"Li perderai tutti se continui così, Ago di Carbo". In un attimo finì tutto.
Dovette strofinarsi gli occhi svariate volte prima di concedersi il lusso di credere. Seduto in cima alla pila di scatoloni che aveva appena sistemato, c'era l'essere più strano che avesse mai visto. La prima cosa che notò fu il volto peloso, proprio come un animale. Il busto, tuttavia, era quello di un piccolo uomo, mentre le gambe tornavano ad essere scimmiesche, con una lunga coda ondeggiante che rendeva il tutto troppo incredibile per essere vero.

"Ti ho detto che li perderai tutti!".
"Cos'è che perderò?" Ago sperò di non ottenere risposta.
"Tutti quelli che devi prendere, mi pare chiaro! Ad ogni modo, mi chiamo Gunda".
Ago scosse il capo e tornò al suo dovere: non aveva tempo per altri discorsi insensati che lo avrebbero distratto dall'unica cosa utile per la sua sopravvivenza. Indifferenza. Non era facile, tuttavia, imporsi il distacco quando, con la coda dell'occhio, vedeva quel piccolo animaletto che, seduto a gambe incrociate, si spiluccava il pelo delle spalle portando poi le mani alla bocca.

"Ti manda la Sacerdotessa? Dille che ho capito e grazie tante!" tagliò corto.
"Non so chi sia".
"Allora cosa vuoi da me?".
"Controllo se stai facendo quanto devi. Mi sembra di no" Gunda scattò, come per sollevarsi, e cacciò un breve ma potente urlo, che riecheggiò per un attimo tra gli scatoloni.
"Fai silenzio! - lo riprese Ago burbero - L'unica cosa che devo fare è sopravvivere, qua dentro, e avrò seri problemi a farlo, se non te ne vai subito".
"Problemi come quelli che hai causato stamane al bambino che ti ha chiesto aiuto e che hai ignorato?".
"Shh! Ci sto provando, va bene? Ricorda, credi e dai un senso! - sussurrò Ago, cominciando a sentire vigorose fiammate di calore invadere tutto il corpo - Ci sto provando!".

"Provare non è fare! Li perderai tutti, in questo modo".
"Parla a voce bassa! Chi perderò?".
"Loro! Quelli che devi prendere! Quelli come te!".
"Siete tutti così informati su ciò che devo e che non devo fare: sono solo io che non capisco cosa volete da me!". Ago si era innervosito e, senza volerlo, aveva urlato tutta la sua frustrazione. Rapidi rumori metallici sulla lamiera della baracca non fecero presagire niente di buono. Gunda, dal canto suo, gonfiò il petto e si sporse in avanti, con la coda ritta di tensione. Allargò le nari al loro massimo e sollevò la grosse labbra da una lunga fila di piccoli denti regolari.
"Devi scegliere chi vuoi essere: l'anima di tua madre e quella di tuo padre vivono in te e tu non puoi essere l'uno e l'altra. Non perdere tempo nel ricordare: devi prenderli tutti".
"Oh! Così è tutto molto più chiaro, grazie mille!".

"Devi prenderli, Ago. Prenderli tutti!".
"SHH! - si raccomandò - E poi cos'è questa storia delle due anime? Come fanno...?". Ago si stoppò subito, con le orecchie che avevano preso a fischiare sommessamente. Una voce lontana, una voce che aveva tentato di reprimere con tutto se stesso, si affacciò nella sua testa: "...cerca l'Uno che è Due...". Al contempo la porta della Baracca si aprì. Un'espressione di terrore si dipinse sul volto di Ago, che sbracciò, facendo cenno a Gunda di andarsene.
"Devi sceglierne una sola - ripetè l'animaletto, saltellando sulle gambe arcuate - scegli la forza, la scaltrezza e l'impetuosa potenza e poi prendili, Ago di Carbo, prendi tutti quelli come te!
"Scegli Tiberius".

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